Sunday, July 14, 2024
Virus nelle Piante
I virus delle piante sono il grande nemico dimenticato. Eppure anche questi si combattono solo aumentando la capacità di resistenza del vegetale ed evitando il più possibile i contagi.
Non fa molto notizia ma siamo in continua allerta per virosi che riguardano l’agricoltura. Una lotta senza tregua verso malattie che non infettano l’uomo, ma che all’uomo possono fare mancare il cibo. È stato sempre così, ma oggi, nel mondo connesso e dell’agricoltura intensiva, i “fito” virus possono arrivare in un attimo e piegare intere economie agricole, interi territori e cambiare le quotazioni delle commodity alimentari con conseguenze economiche sulle filiere produttive e sui prezzi del cibo.
Dunque, i virus vegetali non fanno ammalare l’uomo e gli animali ma solo le piante. Ogni giorno, senza saperlo, mangiamo e tocchiamo tantissimi virus con le foglie di insalata, addentando la frutta, tagliando le patate, pulendo ortaggi, ma sempre senza nessuna conseguenza per la nostra salute, sempre che frutta e verdura non siano già piene di marciumi.
Eppure molti virus vegetali sono simili a quelli che ci fanno ammalare e, soprattutto, si comportano allo stesso modo: danno inizio al processo di infezione di una pianta penetrando in una o poche cellule, ne sovvertono il metabolismo per costringerle a replicare l’RNA virale e a formare nuovi virioni che, a loro volta, infetteranno le cellule vicine, fino a fare ammalare l'intera pianta.
Così simili alle nostre malattie che, in questi giorni, c’è chi sta studiando certi meccanismi di rapporto virus-cellula vegetale per applicare le scoperte nella lotta contro il coronavirus.
È proprio dallo studio delle malattie delle piante che è arrivata la scoperta dei virus.
Per la precisione, è stata una malattia del tabacco a fare pensare che gli abitanti più piccoli del mondo naturale non fossero i conosciuti batteri ma qualcosa di infinitamente più microscopico. Gli fu dato il nome di “virus” che in latino è sinonimo di veleno e la loro scoperta è relativamente recente.
Nel 1879, Adolf Eduard Mayer, direttore della Stazione sperimentale della allora Scuola di agricoltura di Wageningen (NL), fu chiamato a studiare una sconosciuta malattia del tabacco, che causava un mosaico di macchie sulle foglie infette e che non era riconducibile a nessun patogeno conosciuto. Nel 1886 la definì “mosaico del tabacco” (è ancora conosciuta con questo nome) e provò la trasmissibilità attraverso l’inoculazione con succo estratto da piante infette. Pur riuscendo a trasmettere la malattia, Mayer non fu in grado di isolarne l’agente, ma ipotizzò l’esistenza di batteri di natura sconosciuta, invisibili al microscopio.
L’esistenza di un agente infettivo più piccolo dei batteri venne descritta in Germania da F. Loeffler e P. Frosch nel caso dell’afta epizootica degli animali e, nel 1901, da un medico statunitense, Walter Reed, che identificò il virus della febbre gialla, il primo virus umano conosciuto.
Ma per altri 30 anni la scienza non riuscì a indentificare con certezza i virus. A Dimitri Ivanovsky si devono le descrizioni di corpi di inclusione cristallini nelle cellule infette (1903), poi identificati come aggregati del virus del mosaico del tabacco (TMV), visibili solo con le prime immagini al microscopio elettronico nel 1939.
Dunque si è partiti dalle piante per arrivare all’Uomo.
Nel mondo agricolo ci sono virus storici e virus emergenti, proprio come nel caso del mondo animale e umano.
Molti non si conoscono ancora, ma il mondo dei virus è anche in eterno movimento: durante la replicazione essi possono mutare generando nuovi virus con caratteristiche leggermente differenti. Virus nuovi possono anche nascere da due virioni “genitori” per ricombinazione dell’RNA.
Le piante mostrano sintomi caratteristici (come per le infezioni virali umane). Si va dalle maculature sulle foglie ai “mosaici”, dall’alterazione del colore o della forma della pianta che assume aspetti non naturali alla malformazione dei fiori.
I virus possono essere presenti dentro una pianta in modo asintomatico per poi manifestare i sintomi quando attaccano una pianta appartenente a una specie diversa. Oppure, possono restare latenti in piante asintomatiche per poi “svegliarsi” e infettare la stessa pianta ospite anche molto lontano nel tempo. Di solito, hanno un rapporto molto stretto con la specie a cui si sono adattati ma possono anche attaccare specie di famiglie diverse.
Ma le piante sanno difendersi.
«A differenza dell’Uomo, una pianta non può produrre anticorpi – spiega Luisa Rubino virologa molecolare dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR e membro dell'Accademia dei Georgofili – La difesa da parte della pianta è molto diversa. Per esempio, può sviluppare una reazione di ipersensibilità. Il virus entra in una cellula e svolge il primo ciclo di replicazione, ma la pianta lo “sente” e uccide le cellule che circondano quella infettata e, in questo modo, uccide anche il virus. Sacrifica una piccola parte di se stessa per salvarsi. Un altro meccanismo è stato scoperto appena negli anni anni ’90 ed è chiamato “silenziamento genico”. Circa l'80% dei virus conosciuti possiede un genoma composto da RNA a singola elica, proprio come è fatto il coronavirus. Nella cellula infetta il virus libera il genoma per indurla a sintetizzare le proteine necessarie a creare nuovi RNA virali. Al momento della replicazione si formano delle molecole a doppia elica, in pratica una copia del genoma che serva da “stampo” per replicare il nuovo RNA ed il nuovo genoma. Ecco, in quel preciso istante, la pianta "sente" l'attacco e reagisce con alcuni enzimi che “tagliano” l'RNA in piccoli pezzi e lo rendono inoffensivo. Naturalmente anche i virus hanno sviluppato delle strategie di protezione dalle difese della pianta, e nelle cellule vegetali si svolge una lotta senza quartiere tra patogeno e ospite».
Quindi l’unica soluzione è avere piante forti, in grado di mettere in atto i loro meccanismi di protezione.
«L’unica difesa che abbiamo è ottenere una maggiore resistenza della pianta. In natura questo avviene in modo casuale, ma in agricoltura si possono ottenere piante più resistenti ai virus utilizzando la genetica classica, ovvero il vecchio sistema degli incroci. Si incrociano piante della stessa specie che abbiamo visto essere meno attaccate dalla malattia. Otterremo dei semi di piante più forti che potremo incrociare ancora fino ad avere una varietà resistente. Non dobbiamo dimenticare i moderni metodi di ingegneria genetica, anche se poco applicati, che permettono di accelerare moltissimo i tempi della genetica tradizionale. Con la cisgenesi si permette il trasferimento di un gene di resistenza da una specie interfertile, e non da una pianta completamente estranea come nel caso della transgenesi, quindi imitando la tecnica dell'incrocio».
Come fanno a diffondersi i virus nelle piante?
«Possono entrare attraverso microferite sulla pianta. Oppure sono trasmessi da vettori, cioè insetti portatori dei virus (afidi, cicaline, cimici per esempio) che, pungendo la pianta per succhiare la linfa, inoculano i virioni nella pianta. I virus più pericolosi che conosciamo si trasmettono con gli insetti: per questo si combatte l’insetto oltre che per ridurre il danno che esso anche per ostacolare la dispersione dei virus di cui potrebbe essere portatore. Dove si posizionano reti antinsetto o dove si tratta la coltivazione con insetticidi assistiamo a una minore incidenza dei virus. Ma un altro possibile meccanismo di diffusione dei virus è la trasmissione attraverso l’intervento umano. Un taglio effettuato su una pianta infetta seguito da un altro taglio su una pianta sana con lo stesso strumento infettato propaga la malattia tramite la lama dell’attrezzo».
L’agricoltura intensiva è naturalmente più esposta ai virus… «Sì, certo. Basta un seme di lattuga infetto su un milione per attaccare l’intero campo. Ne sanno qualcosa gli agricoltori che coltivano in serra: in ambienti chiusi occorre fare molta attenzione. Un caso classico è il divieto di fumo: una sigaretta può essere vettore del virus del mosaico del tabacco se con le mani si toccano poi le piante di una serra, e si può infettare l’intera coltivazione se si coltiva una specie attaccabile dallo stesso virus. È una buona norma rimuovere e distruggere le piante infette per evitare che fungano da sorgenti di inoculo».
Per questo, la prevenzione è fondamentale nella lotta contro i virus delle piante. La difesa dalla propagazione dei virus in Italia è all’avanguardia. La nostra normativa è spesso stata pioniera. In generale è vietato importare piante da paesi extra Ue che non siano certificate. Anche le sementi devono essere certificate come immuni da virus. Ed è buona norma limitare le generazioni dei semi fai da te a meno che non si producano in ambienti meno vulnerabili.
Ma l’agricoltura italiana introduce sempre nuove varietà e sempre nuove specie, per le richieste dei mercati ma anche per adattarsi ai cambiamenti climatici. Arrivano quindi piante nuove e spesso piantiamo specie in ambienti non adatti a loro portando in campo esemplari che si indeboliscono e sono più soggetti alle malattie.
«Certo, piantare il mango al posto del grano non è una buona idea se si vogliono avere piante forti; e nemmeno ci aiutano le varietà antiche, che sono state selezionate soprattutto per resistere ad altri fattori più che ai virus. Direi che le migliori difese sono queste: semi certificati immuni, materiali di impianto il più possibile dal buon fitness generale e soprattutto esenti da virus, difesa dagli insetti vettori. Altrimenti, se in campo o in frutteto arriva il virus giusto si perde l’intero raccolto e si possono perdere anche i successivi».
A proposito, ecco le virosi più famose presenti nelle nostre coltivazioni. Quelle in grado di farci perdere grandi quantità di cibo in pochi giorni.
Pomodoro: i virus più classici sono il virus dell'accartocciamento fogliare giallo del pomodoro (tomato yellow leaf curl virus) e il virus dell'avvizzimento maculato del pomodoro (tomato spotted wilt virus), cui si possono aggiungere il virus del mosaico del cetriolo (cucumber mosaic virus) che ha messo in ginocchio la coltivazione del pomodoro in Italia meridionale nel 1988. Tra i virus emergenti, è importante il virus dell'imbrunimento rugoso dei frutti, il tomato brown o rugose fruit virus.
Vite: tra i virus più antichi c'è il principale agente che causa la malattia della degenerazione infettiva della vite (grapevine fan leaf virus, virus dell'arricciamento fogliare della vite). Due virus emergenti che stanno assumendo una certa importanza sono il virus della maculatura fogliare rossa della vite e il virus del Pinot grigio (grapevine red blotch virus e grapevine Pinot gris virus).
Agrumi: il virus della “tristezza” degli agrumi (Citrus tristeza virus), “tristemente” famoso in Sicilia.
Saturday, July 13, 2024
CTU
Il DM n. 109/2023 del 11 agosto istituisce l’Albo unico dei CTU e introduce diverse novità: 5 anni di esperienza professionale come requisito, continuità dell’attività e aggiornamento obbligatorio per il mantenimento dell’iscrizione.
Le aree di competenza e specializzazioni aumentano, con la possibilità di iscriversi in più campi.
È introdotta la certificazione UNI come prova alternativa di esperienza.
Sulla G.U. di venerdì 11 agosto, è stato pubblicato il DM n. 109/2023 con cui il ministro Carlo Nordio istituisce l’Albo unico dei CTU e il Ministero ha comunque 6 mesi per implementare gli aspetti informatici).
Tante le novità del nuovo Albo Nazionale dei CTU
si uniforma a 5 anni l’anzianità professionale minima di iscrizione all’Ordine/Collegio di appartenenza (oggi ogni Tribunale aveva le sue regole: 3 o 5 anni, ma anche nessuna anzianità)
l’attività della specializzazione indicata come CTU deve essere stata esercitata per almeno 5 anni “in modo effettivo e continuativo”, con poche possibili deroghe;
il mantenimento dell’iscrizione è legato allo “svolgimento continuativo” dell’attività professionale e al rispetto degli obblighi di aggiornamento professionale (peccato non esistano obblighi per molte categorie, quindi già cominciamo con le discriminazioni tra chi esercita una professione ordinistica e quindi ingegnere, architetto, geometra, perito industriale, ecc. e chi è iscritto altrove, ad esempio al Ruolo Periti e Esperti delle CCIAA oppure ad albi di associazioni ex L. 4/2013, visto che non tutti impongono la formazione e l’aggiornamento continuo);
per ogni singolo CTU sarà indicato il numero di incarichi ricevuti/revocati;
finalmente aumentano le aree di competenze e relative specializzazioni (contenute all’all. A, di ben 28 pagg., mentre l’all. B è una tabella di equipollenza in ambito medico) e ci si potrà iscrivere in più specializzazioni, ricorrendo i requisiti (un passo vanti: fino ad oggi nella maggior parte dei Tribunali ci si poteva iscrivere al massimo in 3 ambiti);
una primizia è l’introduzione della certificazione UNI relativa all’attività professionale quale strumento alternativo per dimostrare di aver esercitato “in modo effettivo e continuativo” per almeno 5 anni una specifica attività; l’art. 5 del DM prevede infatti che, alternativamente, sia riconosciuta la specifica competenza al realizzarsi di almeno 2 delle seguenti circostanze:
a) adeguati titoli di specializzazione post-universitari, purché l’iscrizione all’Ordine/Collegio sia di almeno 5 anni;
b) possesso di adeguato cv, comprendente ad esempio attività di docenza o ricerca, pubblicazioni su riviste scientifiche, ecc.;
c) certificazione UNI relativa all’attività professionale: si tratta di norme UNI relative alla certificazione delle competenze professionali sulle attività non regolamentate.
Certo la certificazione UNI potrebbe anche costituire una scorciatoia legale, in quanto viene normalmente richiesta una anzianità di “soli” 3 anni, rispetto ai 5 richiesti dall’art. 4 del DM.
Non si capisce se la certificazione CERTING (rilasciata dal CNI), essendo riconosciuta da Accredia al pari delle certificazioni UNI, sarà equiparata alle UNI?
Il CTU potrà infine chiedere la sospensione volontaria, finora non prevista (anche se di fatto capitava di chiedere ai giudici di non ricevere incarichi per un po’, per motivi professionali o personali), per un periodo non superiore a 9 mesi o più richieste, purché complessivamente non superiori a 18 mesi in un quadriennio.
Naturalmente, ci si potrà anche cancellare volontariamente dall’albo o anche solo da alcune specializzazioni.
Insomma, un bel po’ di novità ci attendono, quasi tutte positive.
La nota stonata è costituita dall’allegato A relativo alle specializzazioni previste nel nostro settore :
Allegato A – CATEGORIE e SPECIALIZZAZIONI
|ASSICURAZIONI |ASSICURAZIONI AUTOMOBILISTICHE
|ASSICURAZIONI |ASSICURAZIONI DANNI
|ASSICURAZIONI |ASSICURAZIONI IN GENERE
|ASSICURAZIONI |ASSICURAZIONI TRASPORTI
|ASSICURAZIONI |ASSICURAZIONI VITA
|ASSICURAZIONI |RICOSTRUZIONE DEGLI INCIDENTI STRADALI
|ASSICURAZIONI |STATISTICA ASSICURATIVA
Saturday, July 6, 2024
TABELLE MILLESIMALI
Il D.Lgs 102/2014 pare obblighi alla redazione di tutte le tabelle millesimali del riscaldamento indipendentemente dagli interventi di termoregolazione e contabilizzazione. Di seguito pongo l'attenzione sul quesito da me formulato presso le istituzioni competenti al fine suggerire le giuste modalità di intervento.
E' vero che dall'entrata in vigore del D.Lgs 102/2014, il condominio alimentato da teleriscaldamento o da teleraffrescamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento al fine di non incorrere in sanzione amministrativa ha l'obbligo di ripartire le spese in conformità alla normativa UNI10200, qualora sia applicabile,indipendentemente dalle risultanze della relazione di fattibilità tecnica ed economica avente ad oggetto l'installazione di dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione ovvero a prescindere dalla loro installazione?
Esposizione analitica della situazione concreta che ha generato il dubbio interpretativo
Tale domanda trova merito in ragione dell'art. 16 comma 8 del D.Lgs 102/2014
"Il condominio alimentato da (...) sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, che non ripartisce le spese in conformità alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 5, lettera d), è soggetto ad una sanzione amministrativa da 500 a 2500 euro."
In particolare si riporta di seguito lo stralcio dell'art. 9, comma 5, lettera d):
"d) quando i condomini (...) sono alimentati da (...) sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento, il raffreddamento delle unità immobiliari e delle aree comuni (...) l'importo complessivo è suddiviso tra gli utenti finali, in base alla norma tecnica UNI 10200 e successive modifiche e aggiornamenti. Ove tale norma non sia applicabile o laddove siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l'edificio polifunzionale superiori al 50 per cento, è possibile suddividere l'importo complessivo tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 70 per cento agli effettivi prelievi volontari di energia termica. In tal caso gli importi rimanenti possono essere ripartiti, a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate. E' fatta salva la possibilità, per la prima stagione termica successiva all'installazione dei dispositivi di cui al presente comma, che la suddivisione si determini in base ai soli millesimi di proprietà. Le disposizioni di cui alla presente lettera sono facoltative nei condomini (...) ove alla data di entrata in vigore del presente decreto si sia già provveduto all'installazione dei dispositivi di cui al presente comma e si sia già provveduto alla relativa suddivisione delle spese."
Inoltre è da osservare che la norma UNI10200 dal titolo "Impianti di riscaldamento centralizzati. Ripartizione delle spese di riscaldamento", nata già nel 1993 e successivamente, a far data dalla versione del 2013, ha modificato il titolo in "Impianti termici centralizzati di climatizzazione invernale e produzione di acqua calda sanitaria - Criteri di ripartizione delle spese di climatizzazione invernale ed acqua calda sanitaria" tratta in generale il riparto spese generato dagli impianti comuni di riscaldamento indipendentemente dalla presenza o meno dei dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione ovvero trattando il riparto spese in maniera differente laddove sia presente la contabilizzazione e termoregolazione o laddove essa risulti assente.
Da quanto constatato fin'ora quasi tutte le tabelle millesimali del riscaldamento presenti, non sono conformi alla UNI10200 e ciò anche in considerazione della loro redazione nel periodo di non cogenza della norma.
E' da dire che tale norma premia l'efficienza energetica dando la possibilità al singolo condomino di ridurre la propria aliquota millesimale qualora effettui interventi tali da ridurre il fabbisogno energetico per climatizzazione invernale della sua unità immobiliare anche qualora risulti non efficiente in termini di costi l'installazione dei dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione.
Il dubbio interpretativo è determinato dall'avere associato il criterio di riparto spese previsto dalla UNI10200 unicamente al caso specifico della termoregolazione e contabilizzazione del calore e quindi dall'avere erroneamente ritenuto la norma UNI10200 non applicabile qualora l'installazione dei dispositivi di termoregolazione e contabilizzazione del calore non venisse effettuata in quanto non efficiente in termine di costi. E' da dire, inoltre, che in caso di non installazione dei dispositivi di termoregolazione e contabilizzazione non trova applicazione quanto previsto dalla stralcio che segue di cui all'art. 9 comma 5 lettera d.
"(...) E' fatta salva la possibilità, per la prima stagione termica successiva all'installazione dei dispositivi di cui al presente comma, che la suddivisione si determini in base ai soli millesimi di proprietà.(...)"
Va ancora osservato che quantunque sussistano differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l'edificio polifunzionale superiori al 50 per cento, la quota dei prelievi volontari non può che essere divisa con la UNI10200.
La soluzione interpretativa proposta
Indipendentemente dall'installazione dei dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione le spese sono da ripartirsi in maniera obbligatoria secondo la norma UNI10200 salvo i casi di non applicabilità che non corrispondono alla mancata installazione dei dispositivi di termoregolazione contabilizzazione del calore. E' fatta eccezione, qualora si proceda nell'installazione dei dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione, per la prima stagione termica successiva all'installazione di detti dispositivi, la possibilità di suddivisione delle spese in base ai soli millesimi di proprietà.
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