Friday, February 25, 2022

Ingegneri o Architetti

Corte di Giustizia Europea - Direttiva 85/384/CEE – Reciproco riconoscimento dei titoli del settore dell’architettura – Articoli 10 e 11, lettera g) – Normativa nazionale che riconosce l’equivalenza tra i titoli di architetto e di ingegnere civile, ma riserva agli architetti i lavori riguardanti immobili vincolati appartenenti al patrimonio artistico – Principio della parità di trattamento – Situazione puramente interna a uno Stato membro Nella causa C‑111/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato, con decisione del 6 dicembre 2011, pervenuta in cancelleria il 29 febbraio 2012, nel procedimento Ministero per i beni e le attività culturali, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Venezia, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Padova, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Treviso, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Vicenza, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Verona, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Rovigo, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Belluno contro Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia, Consiglio Nazionale degli Ingegneri, Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona, Alessandro Mosconi, Comune di San Martino Buon Albergo, Istituzione di Ricovero e di Educazione di Venezia (IRE), Ordine degli Architetti della Provincia di Venezia, nei confronti di: Faccio Engineering Srl, LA CORTE (Quinta Sezione), composta dal sig. T. von Danwitz (relatore), presidente di sezione, dai sigg. A. Rosas, E. Juhász, D. Šváby e C. Vajda, giudici, avvocato generale: sig. N. Wahl cancelliere: sig. A. Calot Escobar vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate: – per l’Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia ed A. Mosconi, da L. Manzi, G. Sardos Albertini e P. Piva, avvocati; – per il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, da B. Nascimbene, avvocato; – per il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori e l’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona, da F. Vanni, avvocato; – per il governo ceco, da M. Smolek, in qualità di agente; – per il governo spagnolo, da S. Centeno Huerta, in qualità di agente; – per il governo austriaco, da A. Posch, in qualità di agente; – per la Commissione europea, da H. Støvlbæk ed E. Montaguti, in qualità di agenti, vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 85/384/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1985, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli del settore dell’architettura e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi (GU L 223, pag. 15). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di due controversie in merito all’eventuale abilitazione degli ingegneri civili ad espletare l’incarico di direzione dei lavori su immobili di interesse storico e artistico. Contesto normativo Il diritto dell’Unione 3 Il decimo considerando della direttiva 85/384 enuncia quanto segue: «considerando che nella maggior parte degli [S]tati membri le attività pertinenti all’architettura sono esercitate, di diritto o di fatto, da persone che hanno la denominazione di architetti, accompagnata o meno da altre denominazioni, senza però che tali persone detengano il monopolio nell’esercizio di tali attività, salvo disposizioni legislative contrarie; che le summenzionate attività, o talune di esse, possono altresì essere esercitate da altri professionisti e, in particolare, da ingegneri che abbiano ricevuto una formazione specifica nel settore delle costruzioni o dell’arte edilizia». 4 Ai sensi dell’articolo 1 di detta direttiva: «1. La presente direttiva si applica alle attività del settore dell’architettura. 2. Ai sensi della presente direttiva, per attività del settore dell’architettura si intendono quelle esercitate abitualmente col titolo professionale di architetto». 5 Gli articoli 2‑9 della direttiva 85/384 costituiscono il capitolo II della medesima, rubricato «Diplomi, certificati ed altri titoli che danno accesso alle attività del settore dell’architettura con il titolo professionale di architetto». 6 L’articolo 2 di tale direttiva dispone in tal senso che «[o]gni [S]tato membro riconosce i diplomi, certificati e altri titoli conseguiti durante un ciclo di formazione rispondente ai requisiti di cui agli articoli 3 e 4, e rilasciati ai cittadini degli [S]tati membri dagli altri [S]tati membri (...)». 7 Conformemente al procedimento previsto all’articolo 7 della suddetta direttiva, i diplomi, i certificati e gli altri titoli di formazione che rispondono ai requisiti di cui agli articoli 3 e 4 della medesima figurano negli elenchi e nei relativi aggiornamenti pubblicati dalla Commissione delle Comunità europee, a titolo informativo, sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. 8 Gli articoli 10‑15 della stessa direttiva costituiscono il suo capitolo III, rubricato «Diplomi, certificati e altri titoli che consentono di accedere alle attività del settore dell’architettura in virtù di diritti acquisiti o di disposizioni nazionali vigenti». 9 Ai sensi dell’articolo 10 della direttiva 85/384, «[o]gni [S]tato membro riconosce i diplomi, i certificati e gli altri titoli, di cui all’articolo 11, rilasciati dagli altri [S]tati membri ai cittadini degli [S]tati membri, che siano già in possesso di tali qualifiche alla data della notifica della presente direttiva o che abbiano iniziato la loro formazione, sanzionata da tali diplomi, certificati e altri titoli, al massimo durante il terzo anno accademico successivo a tale notifica, anche se non rispondono ai requisiti minimi dei titoli di cui al capitolo II (...)». 10 Tra i titoli che beneficiano del regime transitorio, l’articolo 11, lettera g), della suddetta direttiva menziona, per la Repubblica italiana, i seguenti: «(...) – i diplomi di “laurea in architettura” rilasciati dalle università, dagli istituti politecnici e dagli istituti superiori di architettura di Venezia e di Reggio Calabria, accompagnati dal diploma di abilitazione all’esercizio indipendente della professione di architetto, rilasciato dal ministro della Pubblica Istruzione una volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un’apposita commissione, l’esame di [S]tato che abilita all’esercizio indipendente della professione di architetto (dott. architetto); – i diplomi di “laurea in ingegneria” nel settore della costruzione civile rilasciati dalle università e dagli istituti politecnici, accompagnati dal diploma di abilitazione all’esercizio indipendente di una professione nel settore dell’architettura, rilasciato dal ministro della Pubblica Istruzione una volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un’apposita commissione, l’esame di [S]tato che lo abilita all’esercizio indipendente della professione (dott. ing. architetto o dott. ing. in ingegneria civile)». 11 L’articolo 16 della medesima direttiva, che costituisce il capitolo IV di questa, rubricato «Uso del titolo di formazione», enuncia quanto segue: «1. Fatto salvo l’articolo 23, gli [S]tati membri ospiti fanno sì che ai cittadini degli [S]tati membri che soddisfino le condizioni di cui ai capitoli II o III, sia riconosciuto il diritto di far uso del loro titolo di formazione legittimo, ed eventualmente della relativa abbreviazione, dello [S]tato membro di origine o di provenienza, nella lingua di tale [S]tato. Gli [S]tati membri ospiti possono prescrivere che il titolo sia seguito dal nome e dal luogo dell’istituto o della commissione che lo ha rilasciato. 2. Quando il titolo di formazione dello [S]tato membro di origine o di provenienza può essere confuso nello [S]tato membro ospite con un titolo che richieda in detto [S]tato una formazione complementare che il beneficiario non ha compiuto, lo [S]tato membro ospite può prescrivere che il beneficiario usi il titolo di formazione dello [S]tato membro d’origine o di provenienza in una formula adeguata indicata dallo [S]tato ospite». Il diritto italiano 12 La direttiva 85/384 è stata trasposta nell’ordinamento giuridico interno italiano dal decreto legislativo n. 129, del 27 gennaio 1992 (GURI n. 41, del 19 febbraio 1992, pag. 18). 13 L’articolo 1, paragrafo 2, di tale decreto legislativo così disponeva: «Restano in vigore le disposizioni che regolano l’esercizio in Italia delle attività [nel settore dell’architettura] da parte di persone in possesso di titolo professionale idoneo in base alle norme vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto». 14 L’articolo 51 del regio decreto n. 2537, del 23 ottobre 1925, recante approvazione del regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto (GURI n. 37, del 15 febbraio 1925; in prosieguo: il «regio decreto n. 2537/25»), prevede quanto segue: «Sono di spettanza della professione d’ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo». 15 Ai sensi dell’articolo 52 del regio decreto n. 2537/25: «Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla [legge] 20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere». Procedimenti principali e questioni pregiudiziali 16 Le controversie principali trovano origine in una norma di diritto italiano, vale a dire l’articolo 52, secondo comma, del regio decreto n. 2537/25, secondo cui agli ingegneri civili che hanno ottenuto i propri titoli in Italia non competono le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici di interesse culturale. 17 Da lungo tempo gli ingegneri civili che hanno ottenuto i propri titoli in Italia contestano tale restrizione del loro campo di attività, facendo leva, segnatamente, sulla direttiva 85/384. 18 Nella fattispecie, il Consiglio di Stato è stato adito con due ricorsi in appello avverso due contrastanti sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Veneto. 19 Il primo ricorso trova origine nella decisione implicita di diniego della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Verona, nei confronti del sig. Mosconi, riguardo al conferimento dell’incarico di direzione dei lavori su un immobile di interesse storico e artistico. Il sig. Mosconi e l’Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia hanno proposto ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Veneto, sostenendo che l’esclusione degli ingegneri civili da simili lavori è contraria alla direttiva 85/384. 20 Nel 2002 tale giudice ha sottoposto alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale per sapere se il diritto dell’Unione e, segnatamente, la direttiva 85/384 dovesse essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale siffatta. 21 La Corte, con ordinanza del 5 aprile 2004, Mosconi e Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia (C‑3/02), ha risposto che, trattandosi di una situazione puramente interna, né la direttiva 85/384 né il principio della parità di trattamento ostano ad una normativa nazionale che riconosce, in linea di principio, l’equivalenza dei titoli di architetto e di ingegnere civile, ma riserva ai soli architetti i lavori riguardanti in particolare gli immobili vincolati appartenenti al patrimonio artistico. 22 In tale ordinanza, la Corte ha rilevato che una discriminazione alla rovescia può risultare dal fatto che gli ingegneri civili che hanno conseguito i loro titoli in Italia non hanno accesso, in questo Stato membro, all’attività indicata all’articolo 52, secondo comma, del regio decreto n. 2537/25, mentre tale accesso non può essere negato alle persone in possesso di un diploma di ingegnere civile rilasciato in un altro Stato membro e menzionato nell’elenco redatto ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 85/384 o in quello di cui all’articolo 11 della medesima. Tuttavia, la Corte ha dichiarato che, trattandosi di una situazione puramente interna, il principio della parità di trattamento sancito dal diritto dell’Unione non può essere fatto valere, ma che spetta al giudice del rinvio stabilire se vi sia una discriminazione vietata dal diritto nazionale e, se del caso, decidere come essa debba essere eliminata. 23 A seguito di tale ordinanza, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha rimesso alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell’articolo 52, secondo comma, del regio decreto n. 2537/25. Con ordinanza n. 130 del 16-19 aprile 2007, la Corte costituzionale ha dichiarato la questione manifestamente inammissibile, stante la natura regolamentare e non legislativa delle disposizioni censurate. 24 Con sentenza n. 3630 del 15 novembre 2007, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha accolto il ricorso ritenendo che occorresse disapplicare l’articolo 52, secondo comma, del regio decreto n. 2537/25, in quanto tale disposizione è incompatibile con il principio della parità di trattamento come interpretato dalla Corte costituzionale, a causa del fatto che i professionisti nazionali non possono essere trattati in maniera discriminatoria rispetto ai professionisti provenienti da altri Stati membri. 25 Tale sentenza è stata oggetto di ricorso in appello dinanzi al giudice del rinvio da parte del Ministero per i beni e le attività culturali. 26 Il secondo ricorso sottoposto al Consiglio di Stato trae origine da un bando di gara redatto dalle Istituzioni di Ricovero e di Educazione di Venezia per l’affidamento del servizio di direzione lavori e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori di restauro e recupero funzionale di Palazzo Contarini del Bovolo a Venezia. 27 Gli ordini provinciali veneti degli ingegneri hanno impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Veneto tale bando di gara unitamente agli atti di aggiudicazione, nella parte in cui l’autorità aggiudicatrice riservava le attività professionali oggetto di affidamento ai soli architetti. 28 Con sentenza n. 3651 del 25 novembre 2008, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha respinto il ricorso dichiarando che, secondo l’interpretazione della Corte, la direttiva 85/384 si riferisce al mutuo riconoscimento dei corsi di formazione e non riguarda le condizioni d’accesso alle distinte professioni, non implicando quindi la piena equiordinazione del titolo di «laurea in ingegneria» a quello di «laurea in architettura». 29 Avverso tale sentenza, gli ordini provinciali degli ingegneri hanno proposto ricorso dinanzi al Consiglio di Stato. 30 Il Consiglio di Stato afferma che sarebbe contrario ai principi di diritto nazionale, confermati dalla giurisprudenza costituzionale, autorizzare gli ingegneri civili che hanno conseguito i loro titoli in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana a prestare in quest’ultimo Stato membro la loro attività professionale nell’ambito di interventi sugli immobili di interesse culturale senza autorizzare allo stesso modo gli ingegneri civili che hanno conseguito i loro titoli in Italia. 31 Esso si domanda se il meccanismo di mutuo riconoscimento istituito dalla direttiva 85/384 debba effettivamente essere inteso nel senso che gli ingegneri civili che hanno conseguito i loro titoli in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana possono esercitare in quest’ultimo Stato membro le attività riservate dal regio decreto n. 2537/25 ai soli architetti, oppure se la Repubblica italiana possa richiedere alle persone munite di un titolo che consente l’esercizio delle attività rientranti nel settore dell’architettura di sottoporsi, per quanto riguarda le attività riservate da detto regio decreto ai soli architetti, ad una specifica verifica della loro idoneità professionale. 32 In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) [S]e la [direttiva 85/384], nella parte in cui ammette (artt. 10 e 11), in via transitoria, all’esercizio delle attività nel settore dell’architettura i soggetti migranti muniti dei titoli specificamente indicati, non osta a che in Italia sia ritenuta legittima una prassi amministrativa, avente come base giuridica l’art. 52, comma secondo, parte prima del [regio decreto n. 2537/25], che riservi specificamente taluni interventi sugli immobili di interesse artistico soltanto ai candidati muniti del titolo di “architetto” ovvero ai candidati che dimostrino di possedere particolari requisiti curriculari, specifici nel settore dei beni culturali e aggiuntivi rispetto a quelli genericamente abilitanti l’accesso alle attività rientranti nell’architettura ai sensi della citata direttiva; 2) se in particolare tale prassi può consistere nel sottoporre anche i professionisti provenienti da Paesi membri diversi [dalla Repubblica italiana], ancorché muniti di titolo astrattamente idoneo all’esercizio delle attività rientranti nel settore dell’architettura, alla specifica verifica di idoneità professionale (ciò che avviene anche per i professionisti italiani in sede di esame di abilitazione alla professione di architetto) ai limitati fini dell’accesso alle attività professionali contemplate nell’art. 52, comma secondo, prima parte del [regio decreto n. 2537/25]». Sulla competenza della Corte 33 Il governo spagnolo sostiene in sostanza che, dato che le controversie di cui al procedimento principale vertono su situazioni puramente interne, la Corte non è competente a rispondere alle questioni pregiudiziali. 34 Tuttavia, pur essendo pacifico che dette controversie hanno ad oggetto situazioni puramente interne, alle quali non si applica la direttiva 85/384 (v., a tale riguardo, ordinanza Mosconi e Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia, cit., punto 51), dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che il giudice del rinvio ritiene contrario ai principi di diritto nazionale, confermati dalla giurisprudenza costituzionale, consentire una discriminazione alla rovescia autorizzando gli ingegneri civili che hanno ottenuto i loro titoli in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana, e non gli ingegneri civili che hanno ottenuto i loro titoli in Italia, ad esercitare in quest’ultimo Stato membro attività riguardanti immobili di interesse culturale. 35 A tale riguardo, occorre ricordare che, indubbiamente, la Corte non è competente a rispondere ad una questione pregiudiziale quando è manifesto che la disposizione di diritto dell’Unione sottoposta alla sua interpretazione non può trovare applicazione, come, ad esempio, nel caso di situazioni puramente interne. Tuttavia, anche in una simile situazione, la Corte può procedere all’interpretazione richiesta nell’ipotesi in cui il diritto nazionale imponga al giudice del rinvio, in procedimenti come quello principale, di riconoscere ad un cittadino nazionale gli stessi diritti di cui il cittadino di un altro Stato membro, nella stessa situazione, beneficerebbe in forza del diritto dell’Unione (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 1° giugno 2010, Blanco Pérez e Chao Gómez, C‑570/07 e C‑571/07, Racc. pag. I‑4629, punto 39; del 22 dicembre 2010, Omalet, C‑245/09, Racc. pag. I‑13771, punto 15, nonché del 21 giugno 2012, Susisalo e a., C‑84/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 17 e 20). Sussiste quindi un interesse certo dell’Unione a che la Corte proceda all’interpretazione della disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi. 36 Si deve pertanto dichiarare che la Corte è competente a rispondere alle questioni pregiudiziali. Sulle questioni pregiudiziali 37 Con le sue questioni, da esaminarsi congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 10 e 11 della direttiva 85/384 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale secondo cui persone in possesso di un titolo rilasciato da uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante, titolo abilitante all’esercizio di attività nel settore dell’architettura ed espressamente menzionato al citato articolo 11, possono svolgere, in quest’ultimo Stato, attività riguardanti immobili di interesse artistico solamente qualora dimostrino, eventualmente nell’ambito di una specifica verifica della loro idoneità professionale, di possedere particolari qualifiche nel settore dei beni culturali. 38 Alla luce di una norma di diritto interno che assicura che persone munite di un titolo relativo al settore dell’architettura rilasciato dalla Repubblica italiana e che esercitano la loro professione in Italia non subiscano una discriminazione alla rovescia rispetto alle persone in possesso di un titolo siffatto rilasciato da un altro Stato membro, occorre, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, esaminare la portata degli obblighi stabiliti dagli articoli 10 e 11 della direttiva 85/384 per il riconoscimento, da parte dello Stato membro ospitante, di questi ultimi titoli. 39 Nell’ambito di tale esame, si deve rammentare che la direttiva 85/384 prevede il mutuo riconoscimento automatico dei diplomi, dei certificati e degli altri titoli del settore dell’architettura che soddisfano le condizioni di formazione fissate in tale direttiva (sentenza del 24 maggio 2007, Commissione/Portogallo, C‑43/06, punto 24). 40 L’oggetto essenziale di detto mutuo riconoscimento si trova espresso nell’articolo 2 della direttiva 85/384, a termini del quale ogni Stato membro è tenuto a riconoscere i diplomi, i certificati e gli altri titoli conseguiti durante un ciclo di formazione rispondente ai requisiti di cui agli articoli 3 e 4 della direttiva stessa, rilasciati ai cittadini degli Stati membri dagli altri Stati membri, e ad attribuire loro, sul proprio territorio, per quanto riguarda l’accesso alle attività abitualmente svolte in base al titolo professionale di architetto, lo stesso effetto dei diplomi, certificati ed altri titoli dal medesimo rilasciati. Quanto all’articolo 10 della suddetta direttiva, esso estende, in via transitoria, il citato riconoscimento a taluni altri diplomi che non soddisfano le condizioni di cui al capitolo II della medesima direttiva, ivi comprese quelle indicate ai suoi articoli 3 e 4 (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 25 e giurisprudenza ivi citata). 41 Le questioni sottoposte riguardano dunque la portata dell’obbligo di mutuo riconoscimento dei diplomi istituito dall’articolo 10 della direttiva 85/384 e la facoltà dello Stato membro ospitante di esigere, dalle persone titolari dei diplomi rilasciati in un altro Stato membro e indicati nell’elenco di cui all’articolo 11 della direttiva 85/384, la dimostrazione del possesso di particolari qualifiche nel settore dei beni culturali al fine di poter esercitare attività relative ad immobili di interesse artistico. 42 A tale riguardo, è pur vero che la direttiva 85/384 non si propone di disciplinare le condizioni di accesso alla professione di architetto, né di definire la natura delle attività svolte da chi la esercita. Dal nono considerando di tale direttiva risulta infatti che il suo articolo 1, paragrafo 2, non intende fornire una definizione giuridica delle attività del settore dell’architettura. Spetta quindi alla normativa nazionale dello Stato membro ospitante individuare le attività rientranti in tale settore (ordinanza Mosconi e Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia, cit., punto 45). 43 Tuttavia, contrariamente alla tesi difesa dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori e dall’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona, da tale competenza dello Stato membro ospitante non può dedursi che la direttiva 85/384 consenta a detto Stato membro di subordinare l’esercizio delle attività aventi ad oggetto immobili di interesse artistico alla verifica delle qualifiche degli interessati in questo settore. 44 Infatti, in primo luogo, riconoscere allo Stato membro ospitante una siffatta facoltà equivarrebbe a consentirgli di richiedere prove aggiuntive, il che pregiudicherebbe il riconoscimento automatico dei diplomi e sarebbe pertanto, come dichiarato dalla Corte al punto 28 della citata sentenza Commissione/Portogallo, contrario alla direttiva 85/384. 45 In secondo luogo, come emerge dal punto 37 della sentenza del 23 novembre 2000, Commissione/Spagna (C‑421/98, Racc. pag. I‑10375), ai sensi degli articoli 2 e 10 della direttiva 85/384, quando un’attività è abitualmente svolta da architetti titolari di un diploma rilasciato dallo Stato membro ospitante, un architetto migrante titolare di un diploma, certificato o altro titolo ricompreso nella sfera di applicazione della direttiva deve poter parimenti accedere a tale attività, ancorché i suoi diplomi, certificati o altri titoli non implichino necessariamente un’equivalenza sostanziale con riguardo alla formazione conseguita. 46 A tale proposito, la direttiva 85/384 stabilisce le misure da adottare quando non sussista equivalenza sostanziale tra la formazione conseguita nello Stato membro di origine o di provenienza e quella fornita nello Stato membro ospitante (sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 43). 47 Infatti, a termini dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 85/384, quando il titolo di formazione dello Stato membro di origine o di provenienza può essere confuso, nello Stato membro ospitante, con un titolo che richieda, in detto Stato, una formazione complementare che il beneficiario della direttiva non ha compiuto, lo Stato membro ospitante può prescrivere che quest’ultimo usi il proprio titolo di formazione in una formula adeguata che gli verrà indicata da tale Stato (sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 44). 48 Così, se è pur vero che compete alla legislazione nazionale dello Stato membro ospitante definire il settore di attività della professione di architetto, quando una determinata attività sia considerata da uno Stato membro ricompresa in detto settore, l’esigenza del mutuo riconoscimento implica che gli architetti migranti debbano poter parimenti accedere a tale attività (sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 38). 49 Orbene, nella fattispecie, è pacifico che le attività riguardanti immobili di interesse artistico rientrano nel settore di attività della professione di architetto e ricadono quindi nella sfera di applicazione della direttiva 85/384. 50 In ultimo luogo, la conclusione secondo cui lo Stato membro ospitante non può imporre, nell’ambito del meccanismo di mutuo riconoscimento istituito dall’articolo 11 della direttiva 85/384, condizioni aggiuntive, come quelle controverse nel procedimento principale, per l’esercizio delle attività rientranti nel settore della professione di architetto trova peraltro conferma in quanto dichiarato dalla Corte al punto 52 della citata ordinanza Mosconi e Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia. 51 Secondo questo punto, infatti, l’accesso alle attività previste all’articolo 52, secondo comma, del regio decreto n. 2537/25, vale a dire alle attività riguardanti immobili di interesse artistico, non può essere negato alle persone in possesso di un diploma di ingegnere civile o di un titolo analogo rilasciato in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana, qualora tale titolo sia menzionato nell’elenco redatto ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 85/384 o in quello di cui all’articolo 11 di detta direttiva. 52 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle questioni sottoposte che gli articoli 10 e 11 della direttiva 85/384 devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale secondo cui persone in possesso di un titolo rilasciato da uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante, titolo abilitante all’esercizio di attività nel settore dell’architettura ed espressamente menzionato al citato articolo 11, possono svolgere, in quest’ultimo Stato, attività riguardanti immobili di interesse artistico solamente qualora dimostrino, eventualmente nell’ambito di una specifica verifica della loro idoneità professionale, di possedere particolari qualifiche nel settore dei beni culturali. Sulle spese 53 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: Gli articoli 10 e 11 della direttiva 85/384/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1985, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli del settore dell’architettura e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi, devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale secondo cui persone in possesso di un titolo rilasciato da uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante, titolo abilitante all’esercizio di attività nel settore dell’architettura ed espressamente menzionato al citato articolo 11, possono svolgere, in quest’ultimo Stato, attività riguardanti immobili di interesse artistico solamente qualora dimostrino, eventualmente nell’ambito di una specifica verifica della loro idoneità professionale, di possedere particolari qualifiche nel settore dei beni culturali.

Procedimenti disciplinari

Wednesday, February 23, 2022

Concorso

Banca d'Italia

Puritanesimo

Banche

SIM

Questa volta non scrivo per parlare di strumenti, strategie o pianificazione. Questa volta scrivo per farvi conoscere l’evoluzione, ma sarebbe meglio parlare di involuzione, che riguarda il sistema finanziario. Quale é la differenza tra promotore finanziario e consulente finanziario indipendente? Negli ultimi giorni ho letto e partecipato a diverse conversazioni che hanno visto la partecipazione di diversi consulenti finanziari che giustamente mettevano alla gogna diverse banche. Ma chi sono i consulenti finanziari? Vediamo insieme di capire le differenze, perché nell’ambiente ci sono consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede (ex promotori finanziari che lavorano per una struttura) e consulenti finanziari autonomi (indipendenti). Chi è e come lavora il consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede (ex promotore finanziario). Esiste un albo unico dei consulenti finanziari che risulta diviso tra quelli abilitati all’offerta fuori sede (ex promotori finanziari) ed i consulenti finanziari autonomi (consulenti indipendenti). L’accesso per l’iscrizione all’albo avviene attraverso un esame. Il promotore finanziario (consulente abilitato all’offerta fuori sede) come dice la parola è colui che promuove (attraverso la vendita) un servizio o uno strumento finanziario. Per operare, il promotore finanziario (consulente abilitato all’offerta fuori sede), ha bisogno di avere un mandato da parte di una società mandante ovvero di un intermediario finanziario. Per legge non può avere rapporti commerciali con più società mandanti. In forza di questo mandato, il promotore finanziario propone gli strumenti che la sua mandante (la banca) gli consente di vendere (fondi comuni, polizze assicurative, gestioni patrimoniali). A fronte della vendita eseguita, su cui voi pagate delle commissioni (pur non vedendo alcun addebito diretto), il promotore viene remunerato. Ne consegue che il promotore finanziario (consulente abilitato all’offerta fuori sede) non può suggerire di stare liquidi o di valutare un investimento che la sua banca non vende. Questo perché altrimenti non vedrebbe il becco di un quattrino e di conseguenza non ha alcun interesse a valutare altre forme di investimento se non quelle squisitamente finanziarie presenti nell’offerta della sua mandante. Il cambio di nome: da promotore finanziario a consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede. Da qualche anno ormai è entrata in vigore una modifica per cui è stata cambiata la denominazione da promotore finanziario a consulente finanziario. In particolare il promotore finanziario oggi si chiama consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede. Cambia il nome, ma non la sostanza… Ovvero è sempre una figura che opera in nome e per conto di un intermediario finanziario. Chi è e come lavora il consulente finanziario indipendente o consulente autonomo. Il consulente finanziario indipendente, come il lavoro che svolgo io, non ha e non può avere per definizione accordi commerciali di nessun tipo con banche ed assicurazioni ovvero con intermediari finanziari. Quindi svolge la sua attività di pura consulenza lasciando il rapporto con la banca al cliente. Il consulente finanziario indipendente è pagato solo ed esclusivamente dal cliente per la consulenza che svolge. Non percepisce alcuna commissione sul prodotto o strumento che consiglia. Quindi è libero di suggerire la forma di investimento più adatto oppure semplicemente di rimanere liquidi perché il momento non è propizio e questo perché il business è la consulenza. In questo modo viene messo il cliente, ovvero voi, al centro, e non la vendita dello strumento finanziario. Capite bene che questo va contro l’interesse delle lobby bancarie e quindi siccome diamo molto fastidio, non potendoci eliminare, chi ha il potere di indirizzare le scelte legislative ha pensato bene di creare confusione sul mercato per cui oggi vi trovate di fronte due figure: il consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede (ex promotore finanziario) il consulente finanziario autonomo (consulente finanziario indipendente). Quali sono le differenze tra promotore finanziario e consulente finanziario indipendente? A parte quello che ho descritto nel precedente paragrafo, l’altra differenza consiste nel fatto che il consulente finanziario indipendente funge da “direttore” d’orchestra di tutto il patrimonio di una persona che potrebbe annoverare nel suo patrimonio più di un conto bancario oltre ad altri investimenti non finanziari. Ha quindi una visione globale del patrimonio di una persona. Il promotore finanziario, pur volendo, rimane sempre legato al suo intermediario mandante. Questo non vuol dire che ci sia una figura professionale più preparata di un’altra. Conosco tantissimi promotori finanziari che sono molto in gamba. È necessario però comprendere che c’è una sostanziale differenza tra le due figure. Ecco spiegata la vera differenza tra promotore finanziario e consulente finanziario indipendente. Da chi vorreste essere seguiti? Ve lo siete mai chiesti? Per quali motivi avete quegli strumenti finanziari in portafoglio? Sono serviti a voi oppure sono serviti a chi ve li doveva vendere? Volete aumentare il vostro grado di consapevolezza? Contattatemi per il corso “Imparare a gestire il proprio patrimonio”

Tuesday, February 22, 2022

Banche e consulenti

Consulente finanziario

Il promotore finanziario è quella figura professionale che oggi chiamiamo consulente finanziario. In pratica la vecchia denominazione è stata semplicemente sostituita con “consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede”. Si tratta di un operatore regolarmente iscritto all’albo professionale dell’OCF (Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari), che ha superato una prova di idoneità e quindi è autorizzato a svolgere la consulenza finanziaria. In pratica, quindi, il consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede è un professionista del settore finanziario che ricalca la figura del vecchio promotore. Esercita l’offerta e la consulenza su determinati servizi finanziari fuori sede. Può presentarsi al cliente come dipendente, mandatario o intermediario di un agente finanziario, come per esempio una società di gestione di risparmio (sgr), una società di intermediazione mobiliare (sim), una banca, un’impresa d’investimento o un gestore patrimoniale. Ha comunque il dovere di dichiarare sempre in che veste e per conto di quale società opera. Cosa fa Il consulente finanziario assiste i suoi clienti, propone, vende e promuove prodotti e servizi finanziari sulla base delle loro esigenze. Infatti la vicinanza al cliente si esprime attraverso un’offerta di servizi personalizzati. Una parte del suo lavoro consiste dunque proprio nell’incontrare e ascoltare le esigenze dei clienti, e in base a queste consigliarli nel modo migliore. In un certo senso, è proprio la fiducia il bene più importante che i consulenti devono saper conquistare con la loro professionalità. Inoltre, sulla base dell’impulso di Mifid2, il consulente informa e aggiorna il suo cliente sull’andamento degli investimenti con una cadenza regolare e più frequente che in passato. Il guadagno del consulente finanziario è la provvigione corrisposta dal mandatario finanziario. Quindi i clienti non dovranno corrispondere nulla al professionista. Tuttavia, sulla base dei criteri di trasparenza della consulenza, i costi di gestione devono essere sempre sottoposti e approvati dai clienti, così come indicato dalle ultime linee generali del Mifid2. Per quanto riguarda la deontologia professionale, l’associazione di categoria Anasf elenca precisi criteri di comportamento del consulente che possiamo riassumente in 3 doveri: diligenza, correttezza e trasparenza. La loro professionalità è comunque monitorata dai soggetti abilitati che li hanno incaricati come “agenti collegati” > (tied agent). In caso di eventuali inottemperanze l'impresa stessa può essere considerata responsabile per i danni arrecati dal consulente a terzi. Approfondimenti Per approfondire questo argomento ti invitiamo a leggere anche: Come diventare un consulente finanziario Consulenti finanziari indipendenti o autonomi Infine ti ricordiamo che su MoneyController puoi trovare il promotore finanziario più vicino a te grazie alla pagina: Cerca il consulente finanziario che fa per te - Scegli la località

isteria di massa

Monday, February 14, 2022

Modulo di riconversione

Articolo di edoardo varon

Pubblichiamo di seguito i messaggi inviati all'arch. Stefano Valabrega a sostegno del progetto di riqualificazione del Giardino dei Giusti del Monte Stella Caro Stefano, sono venuto a conoscenza del contenzioso che ti riguarda circa il tuo progetto di “Giardino dei Giusti” al Monte Stella, che è avversato da una compagine di residenti sedicenti sportivi capitanati da Giancarlo Consonni e Graziella Tonon. Mi sono documentato, ho cercato di capire, soprattutto dove fosse la cementificazione, lo stupro del Monte Stella e l'impatto lesivo alla dignità del progetto di Piero Bottoni. Ho cercato di guardare il progetto da molteplici punti di vista e, se devo muovere una critica, lo trovo eccessivamente garbato in rapporto al tema del “Giardino dei Giusti”, che a mio avviso forse richiederebbe una maggior incisività. Però vorrei essere chiaro: non ho trovato traccia di cementificazione e neppure di stupro del paesaggio. Mi sembra anzi, tenendo conto del fatto che è un luogo che trova il suo massimo utilizzo in occasione di eventi commemorativi che si tengono soprattutto in stagioni impervie, che le opere previste siano minimali e indispensabili per consentire a chi interviene di avere i piedi asciutti. Bottoni ne sarebbe contento, lui che ha dimostrato tanta delicatezza e sensibilità in particolare negli studi sul colore e che ad ogni occasione possibile indossava i sandali. Per quanto riguarda la formazione dell'anfiteatro didattico, che forse potrebbe essere considerato l'elemento più invasivo, va detto che la funzione pedagogica è la funzione principe per un luogo della memoria. Inoltre mi pare opportuna una considerazione forse banale ma non per questo evidente a tutti: quando si parla di “Giusti” si usa il termine in modo sintetico e/o sincopato perché d’ufficio sono comprese altre figure: le vittime (reali o designate) e il boia. Senza il boia non esiste il giusto. D’altra parte sono convinto che il buon insegnamento sia sempre mirato a riconoscere il bene dal male in qualunque forme si presentino e non per creare proseliti attorno a idee che possono usurarsi. È banale, ma è importante spiegarlo correttamente per permettere a chi segue di operare scelte consapevoli e responsabili. L'ultima considerazione di merito che mi viene da fare è che non vedo le ragioni profonde del contenzioso. La porzione di terreno per il “Giardino dei Giusti” è stata assegnata dal 2003. Il progetto è stato approvato dal Comune e Soprintendenza e si è assunto maggiori vincoli rispetto a quelli dovuti per la normativa vigente. Non è lesivo della proprietà né dell'interesse di alcuno, quindi non vedo perché non possa avere un seguito realizzativo in tempi brevi. Non è più il tempo in cui si possano invocare fantomatici tribunali del popolo, dove ribaltare la normativa del diritto. Il progetto non ha ricercato in nessun modo alcuna sorta di monumentalismo e tuttavia è di fatto un monumento alla memoria, a una memoria che deve essere trasmessa e della quale ne vanno insegnati i valori. Edoardo Varon Pensionato, già docente di Progettazione Architettonica e del Paesaggio alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano

Abilitazione nazionale scientifica

Pappalardo

Ricorsi , sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'uomo

Sunday, February 13, 2022

Le logge

offerte in SANLORENZO

Stato di emergenza

Dopo due anni potrebbe cadere lo Stato d'emergenza, criticato da più parti come inutile forzatura in questa ultima fase della pandemia. Scadrà il 31 marzo ed è "probabile che non sarà prorogato" ha affermato il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri. Via l'emergenza infinita, e via anche alcune delle misure anti-Covid in vigore. "Per fine marzo abbandoneremo tante delle attuali restrizioni" ha detto Sileri nella trasmissione Metropolis di GEDI-Repubblica. "La circolazione del virus sarà più limitata - ha spiegato - pian piano toglieremo le mascherine prima all’aperto e successivamente al chiuso e andrà poi rimodulato il green pass e la campagna vaccinale, sulla base della reale esigenza sanitaria". Obbligo di mascherine all'aperto, spunta la proroga: doccia fredda nel Cdm "L’Italia è come un paziente che sta uscendo dalla fase acuta e la terapia va adesso modulata in base al decorso" commenta il sottosegretario, "andiamo verso una fase nella quale all’emergenza si sostituirà la convivenza col virus e molte delle restrizioni alle quali ci siamo abituati, come il distanziamento o l’uso delle mascherine, andranno progressivamente ridotte sino al ritorno ad una nuova normalità. Dovranno rimanere invece le buone abitudini che abbiamo imparato a praticare in questi anni: per esempio, andare al lavoro con la febbre a 38° sarà da evitare per non favorire la diffusione di tutte le infezioni, non soltanto di quella da coronavirus". Il governo non molla la mascherina, resta l'obbligo all'aperto. Sileri è, inoltre, tornato sulla distinzione tra casi positivi e malati: "Nella nuova normalità che dovremo raggiungere, non subito ma quando i dati ce lo consentiranno, dovremo rimodulare le misure per chi è più protetto dal virus grazie al vaccino o a precedenti infezioni. Col tempo potremo quindi abbandonare tante delle attuali restrizioni- conclude- e rivedere il green pass e la campagna vaccinale sulla base della reale esigenza sanitaria di ciascuno". Con la rimozioni dello stato di emergenza molte misure del governo potrebbero essere messe in discussione, a partire dagli obblighi di vaccino e green pass generalizzati per tutti gli ove 50.

Berlusconi Riabilitato

Scontata la pena inflittagli (con sentenza irrevocabile o decreto penale esecutivo) è possibile per il soggetto condannato (decorso un certo lasso di tempo e a certe condizioni. V. oltre) richiedere la riabilitazione. Si tratta di una causa di estinzione delle pene accessorie (es. interdizione dai pubblici uffici, interdizione legale, incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, estinzione del rapporto di impiego o di lavoro, decadenza o sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale) e degli effetti penali della condanna. Alla condanna, infatti, sono connessi effetti di diversa natura civile ed amministrativa che sono spesso ostacolo per l’ammissione a concorsi pubblici oppure importano la perdita del diritto elettorale (attivo e passivo), di gradi o dignità accademiche. L’istituto in parola ha una funzione premiale e promozionale collegata al pieno reinserimento sociale del condannato. In altre parole, l’istituto ha lo scopo di restituire a chi provi di essersi ravveduto e dopo che è decorso un certo lasso di tempo dall’ espiazione della pena, alcune facoltà perse in conseguenza della condanna penale. La capacità giuridica del condannato è, quindi, reintegrata com’era prima della condanna. La riabilitazione può essere richiesta e concessa anche quando si riferisca ad una condanna per la quale sia stata applicata la sospensione condizionale della pena e il reato si sia estinto per il decorso del tempo previsto. I presupposti per la concessione della riabilitazione. I presupposti per la concessione sono due: 1. il decorso di un lasso di tempo di almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si sia in altro modo estinta. E’ importante segnalare che per espiazione della pena si intende anche il pagamento della pena pecuniaria (multa o ammenda) inflitta con la Sentenza. Periodi di tempo più lunghi sono previsti se è stata dichiarata la recidiva ex art. 99 c.p. (almeno otto anni) nonché l’abitualità o la professionalità o la tendenza a delinquere (almeno dieci anni); 2. la raggiunta prova di effettiva e costante buona condotta. La buona condotta non consiste soltanto nella mera astensione dal compimento di fatti costituenti reato ma esige l’instaurazione e il mantenimento di uno stile di vita improntato al rispetto delle norme di comportamento comunemente osservate dalla generalità dei consociati ovvero anche di regole non sanzionate penalmente, bensì semplicemente condivise e alla base della convivenza sociale. Il requisito della buona condotta è per certi aspetti di assai difficile dimostrazione. Il dettato normativo si può ridurre infatti ad una c.d. clausola generale (ovvero un concetto assai ampio) interpretabile in maniera elastica tanto che il difetto del requisito è spesso alla base di epiloghi negativi opinabili in tema di richieste di riabilitazione. Ci si deve dunque chiedere: quali sono gli elementi che il richiedente deve addurre per dimostrare l’accettazione delle regole del vivere civile (episodicamente) violate con le condotte poi oggetto delle Sentenze per cui si chiede la riabilitazione ? Ebbene, innanzitutto, bisogna considerare che la valutazione della “buona condotta” di cui si tratta non può che essere – giustamente – rapportata alla (e valutata alla luce della) gravità del reato per il quale si chiede la riabilitazione. Gravità che deve essere considerata nel suo aspetto più ampio ovvero circa la natura del bene giuridico leso, la permanenza di eventuali effetti negativi per la persona offesa (e/o gli altri consociati), la sussistenza di altre condotte criminali e quant’altro sia utile e necessario per valutare la “misura” della violazione del diritto a presidio del quale è posta la norma penale violata dall’istante. La corretta valutazione della gravità del reato, infatti, è di fondamentale importanza nella determinazione della “buona condotta” tipica della riabilitazione poiché, ovviamente, maggiore sarà la gravità (intesa in quel senso ampio di cui sopra) del reato connesso alla richiesta di riabilitazione e “maggiore” (ma sarebbe meglio dire “più solida”) dovrà essere la portata della “condotta positiva” addotta dall’istante. È bene precisare che ciò che è indispensabile è che il condannato abbia mostrato di essersi ravveduto, serbando buona condotta ed astenendosi dal compiere atti riprovevoli; non è, invece, necessario che il condannato ponga in essere comportamenti moralmente positivi e indicativi di volontà di riscatto dal passato. La valutazione del comportamento tenuto dall’interessato deve comprendere non solo il periodo minimo di tre anni dall’esecuzione o dall’estinzione della pena inflitta, ma anche quello successivo, fino alla data della decisione sull’istanza prodotta. Denunce e condanne per fatti successivi alla sentenza a cui si riferisce l’istanza di riabilitazione non sono automaticamente ostative alla concessione della stessa, ma sono valutate caso per caso dal Tribunale per trarre elementi di convincimento rispetto al giudizio globale, positivo o negativo, del requisito della buona condotta e del conseguimento del ravvedimento. In ogni caso, il Tribunale deve adeguatamente motivare circa le ragioni per cui ritiene che le indagini svolte sui fatti denunciati (o riguardo ai procedimenti svolti successivamente alla condanna per cui si chiede la riabilitazione) siano tali da asseverare la permanenza di atteggiamenti antisociali. Influenzerà la decisione del Tribunale la tipologia del reato contestato o accertato, gli elementi raccolti, le circostanze dei fatti, l’intensità del dolo o della colpa, eccetera. *** In presenza del decorso del tempo e della buona condotta, il condannato ha diritto di ottenere la riabilitazione. Come è agevole intuire, se la condizione del decorso del tempo è di pronto (e oggettivo) accertamento, quella della buona condotta – come detto – andrà argomentata ed illustrata in modo appropriato al fine di illustrare efficacemente ai Giudici la buona condotta. La riabilitazione non può essere concessa se il condannato sia sottoposto a misure di sicurezza (ad esclusione dell’espulsione dello straniero e della confisca) o si sia reso inadempiente alle obbligazioni civili derivanti dal reato (restituzione o risarcimento). Se non sono adempiute le obbligazioni civili viene meno il requisito della buona condotta e, con esso, uno dei presupposti alla riabilitazione. Se è individuata una parte offesa, il ristoro della stessa è elemento imprescindibile per l’accoglimento dell’istanza, perché specificamente previsto dalla legge: il mancato ristoro costituisce un ostacolo insormontabile alla concessione. Deve essere il condannato ad attivarsi e proporre all’offeso un risarcimento adeguato, se non globale, mentre non può ritenersi che l’inerzia del danneggiato costituisca una rinuncia valida in sede di richiesta di riabilitazione. Tuttavia, se la proposta è adeguata, il mero rifiuto del danneggiato al risarcimento offerto, non impedisce di ritenere sussistente la condizione prevista dalla legge: sarà il Tribunale a svolgere le considerazioni del caso e a motivare nel senso dell’adeguatezza, qualora ritenga di accogliere l’istanza. Nessun potere di veto ha in questo senso l’offeso/danneggiato dal reato. In casi particolari, e cioè quando il danno sia di rilevante entità e non possa essere ristorato in toto, sarà onore del richiedente dimostrare l’avvenuto parziale risarcimento e l’impossibilità di adempiere il residuo. Benché un ruolo centrale abbia il richiamato risarcimento alla persona offesa, bisogna anche sottolineare che colui che chiede la riabilitazione può dimostrare l’impossibilità pratica di effettuare il risarcimento, non tanto per l’ingenza della somma, bensì poiché il decorso del tempo, la risalenza del reato, il difetto di qualsivoglia richiesta da parte della vittima rende di fatto impossibile ogni risarcimento. In caso di prova positiva della predetta impossibilità, il richiedente è liberato dall’obbligo di risarcimento e, eventualmente, potrà essere indicato dal Tribunale un destinatario “pubblico” (un ente benefico o altro) al quale versare una somma di denaro a guisa di risarcimento. La procedura per la richiesta di riabilitazione. La procedura volta ad ottenere la riabilitazione può essere attivata una volta che sia avvenuta l’espiazione della pena principale e sia decorso il lasso di tempo richiesto dalla Legge. La domanda di riabilitazione è proposta dall’interessato al Tribunale di Sorveglianza territorialmente competente in relazione al proprio luogo di residenza, indicando i presupposti richiesti dalla legge (il decorso del tempo, l’avvenuta buona condotta e l’avvenuto pagamento degli obblighi risarcitori nascenti da reato). Può essere presentata direttamente dal condannato, ma nel procedimento è indispensabile l’assistenza di un difensore. In ogni caso, è preferibile che il difensore assista il richiedente fin dalla proposizione della domanda per meglio documentare il percorso di buona condotta fino a quel momento effettuato dall’interessato. È opportuno, infatti, che il richiedente produca tutta la documentazione idonea a provare la sussistenza delle condizioni per la pronuncia della riabilitazione come ad esempio: – l’estratto della sentenza irrevocabile; – il certificato di espiata pena in caso di carcerazione; – il certificato dì avvenuto pagamento delle spese di giustizia; – il certificato del casellario giudiziale (tutti documenti, questi, che potranno anche essere acquisiti di ufficio); – la prova dell’avvenuto risarcimento del danno alla parte lesa o la dichiarazione liberatoria della parte lesa di non aver nulla a pretendere; – tutta la documentazione relativa ad un eventuale percorso lavorativo e di studio effettuato dal riabilitando dopo la condanna. È opportuno allegare all’istanza anche prova dell’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato (restituzioni, risarcimento del danno, pagamento spese processuali), perché ciò depone positivamente per l’inesistenza della causa ostativa di cui si è detto e, anzi, per la sussistenza di una condotta di rispetto della convivenza sociale. In ogni caso, il Tribunale di Sorveglianza acquisisce d’ufficio la documentazione ritenuta necessaria. Al termine dell’istruttoria – che è a cura del Tribunale di Sorveglianza – viene fissata udienza di trattazione, di cui viene dato avviso all’interessato e, laddove già nominato, al difensore; per l’udienza è obbligatoria l’assistenza del difensore (in assenza di quello di fiducia ne verrà nominato uno di ufficio). Il procedimento avviene in camera di consiglio sulla base della documentazione prodotta (fino a cinque giorni prima dell’udienza) ed acquisita e l’udienza avviene alla presenza del difensore, del Procuratore Generale (ovvero l’Accusa Pubblica) e del richiedente che, se lo desidera e lo ritiene opportuno, sarà sentito personalmente. In caso di esito sfavorevole, la decisione (ordinanza) può essere impugnata con ricorso in Cassazione. Nel caso in cui l’ordinanza sfavorevole – pronunciata per difetto di prova di buona condotta – diventi irrevocabile, è possibile presentare una nuova istanza, dopo due anni dalla decisione irrevocabile. Quando il Tribunale di Sorveglianza concede la riabilitazione, il provvedimento è annotato nella sentenza di condanna a cura della cancelleria del giudice che lo ha emesso e nel casellario giudiziale. Se con la condanna vi è stata sospensione del diritto elettorale, del provvedimento di riabilitazione deve essere data comunicazione all’ufficio elettorale del Comune nelle cui liste elettorali si trova iscritta la persona alla quale il provvedimento si riferisce e cioè al Comune di residenza o, ove il luogo di residenza non sia conosciuto, a quello di nascita. Il Tribunale di Sorveglianza revoca di diritto l’ordinanza che ha disposto la riabilitazione quando il condannato abbia commesso, entro sette anni dalla riabilitazione, un delitto non colposo per il quale è inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a due anni, o più grave. Effetto della revoca della riabilitazione è quello di fare rivivere le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna. Il provvedimento che revoca la riabilitazione viene comunicato al casellario giudiziale per essere annotato. *** Lo Studio dell’Avv. de La si occupa di assistere coloro che desiderano la concessione del beneficio della riabilitazione offrendo una attenta difesa fin dal momento della redazione dell’istanza. La stessa verrà redatta e presentata dalla difesa allegando tutta la documentazione necessaria ed argomentando in maniera efficace in relazione al requisito della buona condotta. Successivamente alla redazione ed al deposito, lo Studio assicura un “monitoraggio” continuo della richiesta con ripetuti accessi presso gli uffici del Tribunale di Sorveglianza competente e costanti aggiornamenti al cliente. Da ultimo, nel corso dell’udienza, verranno ribadite ed approfondite le argomentazioni anche alla luce dell’intervento della Pubblica Accusa.