Saturday, January 22, 2022

Italia Nostra

Termocamera

Casellario Penale e Civile

La questione concernente il trattamento dei dati relativi a condanne penali e reati appare una delle più salienti in materia di diritto alla privacy, posto che la diffusione di informazioni relative a trascorsi con la giustizia penale – ovvero a carichi pendenti – reca un notevole nocumento a partire al buon nome della persona. Trattandosi il reato di un’azione che viola gravemente l’ordine sociale, i dati relativi a precedenti giudiziari acquistano indubbiamente una dimensione di interesse generale all’interno della società. Pertanto, se da una parte il trattamento di suddetti dati deve essere quanto più scrupoloso e riservato, al fine di rispettare la privacy della persona e di evitare che dalla divulgazione dei propri dati questa subisca un effetto diffamatorio, dall’altra l’eccessiva segretezza di informazioni relative a condanne penali e reati di un individuo collide con la necessità della società civile di conoscere di quelle azioni – i reati – che proprio perché hanno violato l’ordine sociale, coinvolgono l’intera collettività. A ben vedere, le contrapposte posizioni soggettive non sono paritarie: se nel corso degli anni è andato sempre più affermandosi e consolidandosi un diritto alla privacy della persona ed alla riservatezza dei propri dati, il privato che voglia conoscere dei trascorsi giudiziari (o dei carichi pendenti), anche se per leciti motivi quali l’assunzione ad un lavoro, non è che titolare di un mero interesse. La normativa di riferimento per poter risolvere la contrapposizione tra le due posizioni ha riguardo principalmente della disciplina del casellario giudiziale – in particolar modo dei servizi certificativi relativi allo stesso – e all’istituto della non menzione della condanna previsto dal codice penale; il codice della privacy e la normativa internazionale circa il trattamento dei dati a carattere personale, da ultimo integrata con il regolamento (UE) 2016/679 e la direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento e del Consiglio. La problematica di fondo del casellario giudiziale Il «casellario giudiziale» è il registro nazionale che contiene l’insieme dei dati relativi a provvedimenti giudiziari e amministrativi riferiti a soggetti determinati[1]. E’ stato da ultimo riformato con il d.P.R. n. 313 del 2002, ovvero il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti”, che raccoglie l’intera disciplina dell’istituto. Ciò che qui interessa maggiormente non è tanto discutere sull’inscrizione nel casellario di procedimenti penali ed amministrativi – che, ad opinione dello scrivente, appare indiscutibilmente necessaria alla pubblica autorità e di evidente utilità pratica al giudice nella sua attività di valutazione ai sensi dell’art. 133 c.p. – quanto analizzare i servizi certificativi prodotti dagli uffici del casellario giudiziale che comportano la divulgazione di dati estremamente sensibili e che rischiano di “costituire un mezzo legale attraverso il quale si origina e prende corpo la stigmatizzazione sociale”[2]. Nel corso della storia si è posto un argine all’indiscriminata possibilità di ottenere certificati dagli uffici del casellario: se dapprima, nel codice di procedura penale del 1930 si prevedeva che i privati potessero – per motivi di assunzione ad un lavoro, impiego o servizio – richiedere direttamente agli uffici del casellario giudiziale certificati inerenti a carichi pendenti o condanne, la normativa successiva ha escluso tale possibilità. Pertanto, secondo il T.U., i soggetti che possono ordinariamente acquisire certificati sono: l’autorità giudiziaria; il pubblico ministero ed il difensore previa autorizzazione del giudice procedente, nei confronti dell’imputato, della persona offesa dal reato e dei testimoni nel procedimento penale; l’interessato, anche senza motivazione; il datore di lavoro in caso di attività che comportino contatti regolari e diretti con i minori, sul quale anzi vige un obbligo legale di acquisizione del certificato; le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi (di cui tratteremo separatamente). Ora, specialmente nel settore del lavoro privato, sebbene i singoli datori di lavoro siano impossibilitati ad acquisire direttamente certificati, nulla nel concreto impedisce loro di chiederne la presentazione all’interessato per valutare i requisiti del concorrente. L’effetto che ne deriva è sicuramente una minorazione della sua “appetibilità”, se non una totale esclusione dall’impiego cui vorrebbe accedere. La divulgazione di tali dati incide inoltre su una situazione che di per se è già critica: esaminando le statistiche offerte dal ministero di giustizia si può osservare che su 28.135 detenuti, 16.203 hanno raggiunto solamente la licenza di scuola media inferiore, mentre sono unicamente 514 ad aver ottenuto una laurea[3]. L’ambito lavorativo cui potranno accedere, pertanto, sarà già in partenza limitato e si restringerà ancor di più a quegli impieghi in cui il datore di lavoro non ha un forte interesse a conoscere della storia del dipendente o non ritiene rilevante una condanna penale ai fini dell’assunzione. Dunque, specialmente avuto riguardo degli effetti della certificazione del casellario giudiziale nel settore del lavoro privato, bisogna chiedersi se la disciplina di questo istituto sia conforme non solo alla normativa relativa che regola il trattamento dei dati sensibili in rispetto della privacy, ma alla stessa Costituzione, art. 27³, che prevede la risocializzazione del condannato dopo aver scontato la sua pena. Una divulgazione forzata – determinata dalla richiesta di esibire un proprio certificato – di dati relativi a sentenze di condanna, infatti, sia compromette la riservatezza della persona, sia impedisce il concreto reinserimento del condannato nella società, essendo così costretto a patire gli effetti della pena anche dopo la sua espiazione. A fronte di queste considerazioni occorrerà valutare se l’interesse della collettività a conoscere di condanne penali e reati sia tanto rilevante da giustificare una così profonda incisività nella vita del condannato. E’ opportuno pertanto discostarsi per un breve istante dalla discussione della normativa e dal mondo fenomenico, addentrandoci momentaneamente in un diverso ambito, quello psicologico, per ricercare le ragioni che sottendono quell’interesse a conoscere di eventuali pregressi con la giustizia penale. In termini generali di comportamento, la relazione tra due soggetti presuppone un reciproco scambio di dati conoscitivi che qualifichino entrambi, al fine di una previa valutazione della convenienza -secondo parametri soggettivi – di tale relazione. Nella percezione soggettiva la materia penale ben si presta ad essere assunto – per via della morale – come parametro valutativo della personalità; sicché, qualificando il condannato come personalmente “distorto”, si degrada la possibilità di un passo successivo, quello della relazione. In caso di reati, la commissione del reato non viene percepita come commissione di un fatto semplice, limitato temporalmente, che appartiene al mondo fenomenico, ma come un fatto qualificante, indice della personalità. Se allora nella commissione del reato la personalità si è manifestata “realmente” in una data maniera, non può che considerarsi “potenziale” un’ulteriore manifestazione di quella stessa personalità. Rimanendo il reato un futuribile, scema la convenienza della relazione – specie se qualificata (come è il rapporto di lavoro) – con un soggetto condannato penalmente. In quest’ottica, quanto più una condanna penale sarà ritenuta qualificante la personalità del soggetto, tanto più egli sarà estromesso ed emarginato. Il legislatore stesso, riconoscendo il potenziale effetto diffamatorio che può derivare dalla divulgazione di dati giudiziari, ha elaborato una misura tesa a tutelare il condannato una volta estinta la sua pena ed a favorire il suo reinserimento sociale. L’istituto in questione è il “beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale”, previsto dall’art. 175 c.p. Tale disposizione permette infatti – alla luce di determinate circostanze – la non menzione di taluni reati, non nel casellario, ma nei certificati rilasciati dagli uffici: viene così assicurata la massima riservatezza del condannato. Tuttavia, i limiti applicativi di tale beneficio (possono usufruirne solamente i non recidivi che devono scontare una pena inferiore ai due anni) impediscono una diffusa concessione, tanto che si esclude chi di fatto, privato più a lungo di un entrata economica, necessita maggiormente di un effettivo reinserimento sociale. La non menzione, concretamente, incide favorevolmente nei confronti di pochi condannati e di chi si trova in una condizione già favorevole: entro i limiti dei due anni è parimenti possibile, infatti, l’applicazione della sospensione condizionale, con la conseguenza che tali individui possono godere della sommatoria dei benefici. Ne consegue che ampliando l’ambito applicativo della non menzione si potrebbe garantire un’effettiva riservatezza anche a chi è stato condannato ad una pena superiore ai due anni, la cui categoria comprende la maggior parte degli ex detenuti. Preme qui ricordare che la detenzione in carcere, nella quasi totalità dei casi, comporta la perdita della posizione lavorativa preesistente (sempre che il detenuto ne disponesse) oltre la mancanza di un guadagno effettivo durante l’intero arco della sua durata [sebbene la lg. 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario preveda il lavoro come elemento del trattamento penitenziario, la sua concretizzazione è molto limitata: il lavoro all’interno del carcere dipendente da cooperative/imprese e tanto più dalla amministrazione penitenziaria, qualora concesso, implica il più delle volte una remunerazione minima; il lavoro all’esterno e non alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria che invece permette l’espletamento di mansioni che possono essere seguitate anche dopo l’uscita, coinvolge tuttavia neanche il 5% dei detenuti in Italia[4]. In ogni caso, una buona parte del salario dovrà essere utilizzata dal detenuto per far fronte alle spese di beni di prima necessità, visti la qualità dei pasti forniti e gli esorbitanti prezzi dello spaccio penitenziario]. Una volta scontata la pena alla reclusione, l’ex detenuto – ancor più di chi ha goduto della sospensione condizionale – necessiterà di un impiego per poter sostenere le spese proprie e familiari. Inoltre, sebbene l’iscrizione di condanne sia eliminata dalla certificazione una volta verificatasi la riabilitazione del condannato, si può ben notare che egli il più delle volte non potrà permettersi di aspettare un arco di tempo minimo di tre anni, posto che proprio durante la fase successiva alla permanenza in carcere dovrà cercare un impiego. Pertanto si può concludere che il ristretto ambito applicativo del beneficio della non menzione nel certificato del casellario giudiziale, almeno nella previsione vigente, finisce per escludere chi più ne necessiterebbe. Il legislatore realizza invece un bilanciamento diverso, o meglio, un vero e proprio sbilanciamento a favore della riservatezza dei dati giudiziari di una categoria di soggetti: gli ottuagenari. Il T.U., infatti, dispone che al compimento di ottant’anni siano eliminate tutte le inscrizioni, non solamente nei certificati, ma addirittura nel casellario stesso. La disposizione appare alquanto discutibile, tant’è che è stata sollevata in due occasioni la questione di incostituzionalità innanzi la Consulta[5]. Sebbene la Corte abbia dichiarato inammissibile il ricorso per irrilevanza nel giudizio a quo, nel dispositivo della sentenza auspica «che il legislatore riprenda in considerazione la norma oggetto del presente giudizio, per valutarne l’adeguatezza rispetto alla situazione di fatto attuale»[6]. Questo perché si riconosce che la ratio della norma (prevista ancor prima dal codice di rito penale) stava nell’intenzione di smaltire una gran mole di materiale cartaceo prodotto dagli uffici del casellario, considerato anche che la durata media della vita umana era sensibilmente più breve e la stessa efficienza psico-fisica degli ottuagenari era talmente ridotta da presumersi che non sarebbero stati in grado di compiere reati. Pertanto, la sussistenza di questa norma favorisce in modo del tutto arbitrario l’ultraottantenne dal momento che, in conseguenza della eliminazione delle iscrizioni dal casellario, risultano di fatto inapplicabili gli istituti della recidiva e della dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza; inapplicabile l’istituto della revoca della sospensione condizionale della pena previsto dall’art. 168 c.p., comma 3. I precedenti giudiziari, di cui si abbia notizia aliunde, avranno rilevanza nella misura in cui siano stati assunti come prove nel processo (es. tramite copia autenticata di una sentenza di condanna precedente), con il corollario che l’ultraottantenne, i cui precedenti vengono sottaciuti a causa dell’eliminazione, si avvantaggerà ingiustamente della situazione. Il caso più problematico per i carichi pendenti È opportuno a questo punto far riferimento alla tipologia dei certificati che possono richiedersi agli uffici del casellario giudiziale, dal momento che a quanto sinora detto deve aggiungersi un ulteriore considerazione. Infatti, oltre al certificato penale (contenente dati relativi a condanne e reati), civile (indicante principalmente le misure limitative della capacità del condannato) e a quello generale (che comprende la totalità dei procedimenti) è possibile richiedere il certificato del casellario dei carichi pendenti, che contempla l’insieme dei dati relativi a provvedimenti giudiziari riferiti a soggetti determinati che hanno la qualità di imputato[7]. Le considerazioni sinora discusse, quanto ai gravi effetti del trattamento dei dati personali relativi a condanne e reati, potranno valere anche per la persona che sia solo imputata e che ai sensi della Costituzione debba presumersi non colpevole. La gravità della questione sta nel fatto che il soggetto può accusare un danno tanto personale, quanto economico, dalla divulgazione di un dato che solo probabilmente corrisponde alla rappresentazione di un fatto certo, provato. Mentre infatti l’inscrizione di una condanna fa riferimento ad un evento – il reato – di cui se ne è accertato il realizzarsi, attraverso lo svolgimento compiuto di un processo, l’inscrizione di una imputazione comporta l’attribuzione di un evento che solo probabilmente si è verificato o, meglio, che presumibilmente non si è verificato, dato il principio di cui all’art. 27 della Costituzione. In aggiunta, è necessario evidenziare quanto rilevante divenga per l’imputato la durata del processo penale: quanto più infatti si dilungherà, tanto più la persona manterrà la qualità di imputato ed aumenterà la probabilità di un danno personale a causa della divulgazione dei dati giudiziari. Il diritto al rispetto alla vita privata: l’altro peso della bilancia Come precedentemente detto, al condannato – tanto quanto all’imputato – nel corso della storia si è sempre più riconosciuto un vero e proprio diritto alla riservatezza dei propri dati, anche senza una puntuale positivizzazione in una norma di riferimento. Considerando la genesi dell’affermazione di tale diritto, si scoprirà facilmente che esso trae origine dall’enunciazione di una più generica categoria: il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Tanto l’art. 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, quanto l’art. 8 C.E.D.U., parallelamente all’enunciazione della posizione giuridica soggettiva («Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza[…]») – affermazione positiva- prevede un espresso divieto ad ingerenze, immissioni, nella vita personale dell’individuo («[…] Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto […]») – l’affermazione negativa. Muovendo da questa sfera applicativa ampia e generica si aggiunge una terza statuizione, che a differenza delle “non-limitazioni” esterne non è volta ad ampliare l’ambito applicativo del diritto: si riconosce[8] contestualmente all’enunciazione del diritto la possibilità di limitare lo stesso, se tale limitazione costituisce una misura necessaria alla difesa dell’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza, al rispetto dei diritti e libertà altrui e alla prevenzione dei reati. Muovendo da questa previsione generica di rispetto di vita personale e famigliare, il diritto alla privacy si specifica, riferendosi ad acquisizione o divulgazione di dati inerenti qualità, stati, condizioni personali, mantenendo la struttura della previsione normativa: affermazione positiva, affermazione negativa e deroghe ammesse. MediaWorld: Risparmia ora su Microsoft 365 (Annuncio) Risparmia ora su Microsoft 365 Microsoft 365 15 mesi al prezzo del 12 mesi con l’acquisto di un nuovo Computer, Tablet o Smartphone. Da MediaWorld. MediaWorld (Annuncio) Posto che condanne penali e reati sono fatti che incidono profondamente nella storia della persona e dunque attengono precipuamente alla vita privata, occorrerà chiedersi se l’acquisizione o divulgazione di tali dati ed il danno che il più delle volte ne deriverà per il condannato o imputato possa trovare ragione in una delle fattispecie derogative individuate dalle carte internazionali («[…] a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui»). Per quanto attiene alla prevenzione dei reati, nella realtà si riscontra che si fa prevenzione risocializzando il condannato, ovvero permettendo che si inserisca nuovamente nella società (ad esempio trovando un’occupazione) e non persista in ambienti o situazioni che facilitino la commissione di reati (come condizioni economiche gravose). Una volta discussa la questione della prevenzione dei reati, saranno risolte conseguenzialmente le ipotesi sulla necessità delle misure relative alla pubblica sicurezza e all’ordine pubblico: si garantisce l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza prevenendo i reati. Ma se la divulgazione dei dati relativi a condanne penali e reati, per quanto detto, favorisse l’esclusione del condannato e non la prevenzione dei reati, ne deriva che non potrebbero essere giustificate misure sulla pubblica sicurezza o ordine pubblico. Ed ancora, nel settore del lavoro privato l’acquisizione di dati giudiziari non potrebbe causare una violazione di un diritto o libertà altrui posto che i privati non sono titolari di alcun diritto o libertà a conoscere tali informazioni. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea aggiunge un elemento di importante incidenza nel rapporto tra privati e condannato o imputato: ovvero che i dati a carattere personale «devono essere trattati […]in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge»[9]. L’insussistenza di una di queste condizioni determina pertanto una violazione del diritto alla protezione dei dati personali, tra cui quelli giudiziari. A fronte di tale contestazione è facile riscontrare che la prassi diffusa nel settore del lavoro privato sinora analizzata determina una siffatta violazione, posto che non trova fondamento in nessuna delle due condizioni: né una norma prevede la possibilità per i privati di acquisire informazioni circa i dati giudiziari inscritti nel casellario giudiziale; né tanto meno potrà dirsi che la persona interessata possa prestare un consenso pieno a tale trattamento. Come precedentemente affermato, l’attestazione del certificato del casellario giudiziale non potrà che essere forzosa dal momento che, ove la persona si rifiutasse di concederlo, perderebbe a priori la possibilità di accedere all’occupazione. Si potrebbe inoltre rilevare che la richiesta dei privati di fornire certificati del casellario costituisce, in via indiretta, un accesso ai dati di carattere personali: il datore di lavoro – che rappresenta la parte preminente nel rapporto lavorativo – a mezzo dell’attività dell’interessato acquisisce i dati inscritti nel casellario. Tale accesso de facto non trova però alcuna autorizzazione nel nostro ordinamento, mancando una disposizione normativa che preveda la possibilità che terzi interessati possano accedere ai dati inseriti nel casellario. Pertanto, a norma dell’art. 7 della Convenzione sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati di carattere personale[10], si dovrebbero adottare misure di sicurezza per evitare un’acquisizione non autorizzata, che oggi continua a provocare discriminazioni nell’accesso ad impieghi privati. È inoltre doveroso rilevare che un siffatto prelievo di dati giudiziari avviene senza alcun controllo da parte della pubblica autorità (dunque senza che alcuna garanzia venga riconosciuta all’interessato in un tale trattamento), in quanto a figurare non è il datore di lavoro, ma lo stesso soggetto interessato, che acquisisce certificati dal casellario giudiziale anche senza motivazione. La lacuna legislativa determina dunque un scostamento dalla normativa europea ultimamente introdotta dal regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento e del Consiglio che prevedono che: «il trattamento dei dati personali relativi alle condanne penali e ai reati […] deve avvenire soltanto sotto il controllo dell’autorità pubblica o se il trattamento è autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri che preveda garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati».[11] D’altronde, l’esclusione dei privati in qualità di datori di lavoro comporta una agevolazione solo apparente per il condannato/imputato. Pertanto se non è conveniente prescrivere un divieto per i datori di lavoro di richiedere la presentazione dei certificati del casellario, sarebbe più ragionevole prevedere sì l’accesso al casellario, ma per ottenere un certificato selettivo, che abbia riguardo alle tipologie dei reati inerenti concretamente all’occupazione di specie. L’accesso ai dati giudiziari da parte della Pubblica Amministrazione Occorre ora trattare un capitolo diverso. Fin qui infatti si è parlato degli effetti pregiudizievoli prodotti nel settore del lavoro privato, senza prendere in considerazione il rapporto con la pubblica amministrazione. Si potrebbe pensare che in tale ambito non dovrebbe prodursi quell’effetto diffamatorio consideratosi e che l’accesso ai dati giudiziari avverrebbe nel pieno rispetto della privacy. Tuttavia, si riscontrano nel settore pubblico questioni ancor più discutibili. Il T.U. prevede infatti che le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi hanno il diritto di ottenere i certificati del casellario giudiziale, quando tale certificato è necessario per l’esercizio delle loro funzioni[12]. La scelta di attribuire un diritto in capo alla pubblica amministrazione e perfino ai gestori di pubblici servizi di ottenere certificati direttamente dalla pubblica autorità, senza alcuna garanzia per la persona, stride totalmente con l’esclusione dei privati ad accedere al casellario giudiziale. Perché infatti una pubblica amministrazione in occasioni simili a quelle del settore del lavoro privato, quali l’accesso pubblico impiego o gare d’appalto, avrebbe posizioni giuridiche rinforzate rispetto al singolo datore di lavoro? Inoltre, la locuzione «necessario per l’esercizio delle loro funzioni» lascia alle pubbliche amministrazioni piena discrezionalità nel definire quando sia necessario accedere ai servizi certificarvi (a rigore di logica potrebbe dunque accadere che un gestore di un servizio pubblico, come ENEL o Trenitalia, se ritenesse necessario accedere al casellario giudiziale di una persona che usufruisce del servizio, nell’esercizio di una funzione addirittura statistica avrebbe diritto di ottenere il certificato richiesto). Nelle norme che regolamentano il sistema di consultazione diretta al Sistema Informativo del Casellario (SIC) da parte della pubbliche amministrazioni e dai gestori di pubblici servizi[13], il Ministero di Giustizia ha in parte limitato questo ampio potere disponendo che la consultazione debba avvenire «nel rispetto dell’obbligo, previsto dagli articoli 11, 21 e 22 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, per i soggetti pubblici, di trattare dati personali, e giudiziari in particolare, che siano pertinenti, completi, non eccedenti ed indispensabili rispetto alle finalità perseguite nei singoli procedimenti amministrativi di loro competenza»[14]. Prevede poi un sistema in cui le amministrazioni interessate, dopo aver stipulato o aderito ad una convenzione con il Ministero di Giustizia, accedano direttamente al SIC per ottenere un “certificato selettivo” (e non più il certificato generale), ovvero che riporti solamente le inscrizioni corrispondenti a provvedimenti giudiziari indicati nella convenzione. Fintanto che le amministrazioni interessate non hanno attivato la procedura per l’accesso al SIC, continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel decreto dirigenziale n. 313/2004, che prevedono il rilascio del certificato generale ai soggetti pubblici che ne facciano richiesta per l’espletamento delle loro funzioni. Nel 2014, nel parere richiesto dal Ministero di Giustizia per la proroga della vigenza delle disposizioni transitorie previste dal decreto n. 313/2004, lo stesso Garante per la privacy riferiva la necessità di superare il regime transitorio nel rispetto dei principi di pertinenza, non eccedenza e indispensabilità nel trattamento dei dati giudiziaria[15]; principi che vengono indubbiamente sacrificati dall’accesso al certificato generale, che comprende – ricordiamolo – la totalità dei procedimenti. Tale regime transitorio continua oggi ad essere vigente ed applicato da quasi la totalità delle amministrazioni pubbliche[16], motivo per il quale le disposizioni del codice della privacy (d.lgs.196/2003) inerenti la diffusione dei dati giudiziari (precisamente gli artt. 11, 21 e 22), che pure costituiscono legge ordinaria, rimangono disattese. Constatata una prassi amministrativa incardinata su una persistente mancata adeguazione alla normativa vigente, occorre chiedersi se una volta superato tale inadempimento il risultato finale sia poi sufficiente a soddisfare i principi del trattamento dei dati giudiziari così come individuato dal codice della privacy. A ben vedere, dal momento che sono le stesse pubbliche amministrazioni ad indicare le fattispecie di reato che interessano loro, l’accesso ai dati giudiziari sarà sì limitato, ma sarà un’ autolimitazione puramente discrezionale: ben più ragionevole sarebbe demandare la scelta delle fattispecie di reato ad un soggetto terzo, quale il legislatore, e lasciare che sia questo ad indicare a quali dati giudiziari e per quali procedimenti amministrativi le pubbliche amministrazioni possano accedervi. Tutto il sistema sinora analizzato si fonda su una struttura di fondo che segue un particolare schema: commissione del reato + previsione della fattispecie del reato che più interessa = esclusione. Ovvero, le pubbliche amministrazioni individuano discrezionalmente quale fattispecie di reato sia ostativa al raggiungimento di un determinato scopo: dovranno poi solamente accertare la sussistenza o meno del reato. Tuttavia il codice penale presenta già una soluzione diversa, sintetizzata nel seguente schema: commissione del reato + giudizio del giudice = esclusione. Ovvero, l’art. 19 c.p. prevede che il giudice può comminare pene accessorie, quali: l’interdizione dai pubblici uffici; l’interdizione o sospensione da una professione o arte; l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Nel dare piena valorizzare ai poteri attribuiti dal legislatore al giudice in questa disposizione, qualora i soggetti pubblici necessitino durante la propria attività di acquisire dati in materia penale, si dovrebbe accordare loro un certificato non penale (seppure selettivo), ma civile, dove le pene accessorie sono indicate, demandando esclusivamente al giudice, che ha modo di conoscere la storia personale dell’imputato – almeno riguardo i fatti rilevanti al processo – la valutazione dell’idoneità o meno della singola persona ad essere escluso o meno nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. D’altronde, se le pubbliche amministrazioni posso discrezionalmente fissare come soglia di sbarramento generale la condanna penale per determinati reati, l’irrogazione o meno delle pene accessorie da parte del giudice diverrebbe completamente irrilevante: quell’effetto preclusivo si realizza a prescindere. Conclusioni In conclusione, il casellario giudiziario – tanto in rapporti pubblicistici quanto in quelli privatistici –è capace, nella previsione normativa attuale, di effetti stigmatizzanti. Ciò che interessa rilevare è che l’esclusione sociale di soggetti condannati, resa possibile dalla circolazione dei certificati, costituisce un ampio fattore criminogeno, causa spesso della recidiva. Il legislatore, escludendo formalmente i terzi dall’accesso ai dati giudiziari permette de facto, con il vuoto normativo, che essi possano comunque accedervi. Dovrebbe pertanto prenderne atto, garantendo ai condannati o imputati – che sono già soggetti socialmente deboli a causa commissione del reato, della soggezione ad una pena, del processo – ambiti maggiori di riservatezza. Con ciò non si vuole negare che in alcune circostanze sia necessario e prudente acquisire informazioni su dati giudiziari, ma in virtù di tale necessità non si può consentire un accesso indiscriminato. Sarebbe pertanto più ragionevole garantire un accesso diretto al casellario da parte di terzi, ma che possa qualificarsi come un accesso selettivo, limitato a quelle informazioni che attengano ai rischi del caso concreto. Tale selettività non può però riconoscersi nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, perché in questo ambito l’ordinamento prevede già una soluzione: l’intervento del giudice.

Contenzioso Bancario

Friday, January 21, 2022

ARCHITETTA

Pericardite

PERICARDITE INFETTIVA Le pericarditi acute infettive sono delle infiammazioni pericardiche causate da localizzazione pericardica di processi infettivi, più spesso di tipo virale, ma anche batterico, parassitologico e fungino. Spesso è presente in anamnesi un episodio infettivo in altra sede. Ai sintomi ed ai segni della pericardite si affiancano quelli degli stati infettivi con febbre, malessere generale, astenia, aumento di VES e PCR, leucocitosi. Gli agenti eziologici infettivi, responsabili di pericardite, sono più spesso di tipo virale. In genere le pericarditi virali sono di breve durata, ma possono andare in contro a molte recidive. Gli agenti virali più frequentemente responsabili i pericardite sono i coxsackie B e gli echovirus, ma possono causare pericardite infettiva anche i virus influenzali! Discorso a parte è l’infezione da HIV che può determinare pericardite infettiva sia per localizzazione pericardica del virus dell’HIV ma anche per via delle numerose infezioni opportunistiche che si verificano nei soggetti affetti da AIDS. Il trattamento prevede riposo e FANS, in seconda battuta se i FANS non funzionano a dovere si danno glucocorticoidi ed in caso di recidive frequenti e prolungate si può prendere in considerazione la pericardiotomia. Le pericarditi batteriche sono generalmente sostenute da rottura e diffusione di batteri da ascessi endocardici o subfrenici, infezioni chirurgiche, ferite toraciche profonde o empiema pleurico. Il versamento pericardico è di solito siero fibrinoso e purulento, la sintomatologia generale è più marcate rispetto a quelle virali e necessitano anche di terapia antibiotica. La pericardite tubercolare è sostenuta dal micobatterio della tubercolosi e si caratterizza per la presenza di essudato caseiforme con infiltrato prevalentemente linfocitario e noduli miliariformi nel pericardio, è in genere seguente a TBC polmonare per diffusione ematica o per rottura di un linfonodo mediastinico infetto. Il versamento è in genere abbondante ma si sviluppa lentamente dando origine ad una pericardite costrittiva; il tamponamento cardiaco è raro. Le pericarditi fungine e parassitarie sono in genere clinicamente meno evidenti, spesso silenti, perdurano più a lungo e, se non trattate, evolvono in costrizione. Si riscontrano, soprattutto le fungine, in soggetti immunodepressi. Le parassitarie talvolta possono essere secondarie a diffusione attraverso il diaframma di ascessi parassitari epatici. La terapia è antiinfiammatoria con FANS e, nei non reponders o nelle recidivanti, anche cortisonici ed immunosoppressori, ed eziologica sulla base dell’agente infettivo causale. A questa si aggiungono a seconda dell’entità del versamento anche pericadiocentesi e nelle cronicizzazioni o recide frequenti si può ricorrere anche a pericardiectomia.

Moderna

Wednesday, January 19, 2022

Patente nautica

Costi Vaccini

"Secondo le stime degli analisti finanziari, il potenziale di fatturato per il solo vaccino di Moderna è fra i 3 miliardi e gli 8 e mezzo", commenta il medico Michael Nawrath, analista del settore farmaceutico per conto della Banca cantonale di Zurigo ZKB. Perché una forchetta così ampia? Tra le altre ragioni, "perché il prezzo negoziato coi governi deve essere adattato alla situazione di emergenza e crisi", badando anche alla propria reputazione. "Molte aziende biofarmaceutiche hanno già annunciato che proporranno i vaccini a prezzo di costo o a prezzi socialmente responsabili e con delle tariffe differenziate in base ai Paesi", sottolinea non a caso l'International federation of pharmaceutical manufacturers & associations, secondo cui l'obiettivo della misura è contribuire "a migliorare l'accesso anche ai paesi meno abbienti". Newsletter Abbonatevi alla nostra newsletter gratuita per ricevere i nostri articoli. Un impego che secondo l'organizzazione internazionale Medici senza frontiere non basta. Perché? La risposta di un portavoce in questo servizio del TG della Radiotelevisione svizzera. Contenuto esterno

Nel Regno Unito

Covid, il Regno Unito verso la fine della pandemia? Il governo pronto a togliere la stretta Per molti l’Inghilterra è la cartina di tornasole per capire in che direzione sta andando l’epidemia. Il ministro della salute Javid: «Omicron si è dimostrata altamente trasmissibile ma meno pericolosa». Su 152 mila morti, meno del 10% è attribuibile all’ultima variante 18 Gennaio 2022 L’Inghilterra sta uscendo dalla pandemia? Impossibile dirlo, ad oggi. Quel che è certo è il calo costante dei contagi che ormai va avanti da giorni. Ma, soprattutto, il fatto che ospedali e terapia intensiva non siano mai andate in sofferenza durante questa quarta ondata caratterizzata dalla variante Omicron. A proposito di Omicron: la Gran Bretagna ha riportato 152.075 morti per COVID-19 in totale, e meno di 10 mila di queste vittime sono attribuibili alla nuova variante identificata alla fine di novembre.

Collagene

Tuesday, January 18, 2022

Più inquinanti

Over 50

Omissione o differimento della vaccinazione

SOGGETTI ESENTI DALL’OBBLIGO VACCINALE In virtù di quanto previsto dall’art. 4, comma 2 del D.L. n. 44 del 1° aprile 2021, convertito con modificazioni con legge n. 76 del 28.05.2021, al personale della scuola si applica la disposizione che prevede: “solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2, non sussiste l’obbligo […] e la vaccinazione può essere omessa o differita”. Le certificazioni di esonero da vaccino Covid sono: Certificazioni rilasciate ai sensi della Circolare Ministero della salute del 4 agosto 2021 n. 35309 ai soggetti che per “condizione medica non possono ricevere o completare la vaccinazione per ottenere una certificazione verde COVID-19”; Certificazioni di cui alla Circolare Ministero della salute del 5 agosto 2021 n. 35444 riguardanti l’esenzione temporanea dalla vaccinazione anti COVID-19 per i soggetti che hanno partecipato alla sperimentazione COVITAR, ricevendo il vaccino ReiThera (una o due dosi). PROROGA DEL CERTIFICATO DI ESENZIONE Con la nota del Ministero della salute prot. n.0059069 del 23/12/2021 la validità e la possibilità di rilascio delle certificazioni di esenzione alla vaccinazione anti-SARSCoV-2/COVID-19 di cui alle predette circolari, per gli usi previsti dalla normativa vigente, è prorogata sino al 31 gennaio 2022. Si conferma che non sarà necessario un nuovo rilascio delle certificazioni già emesse. QUANDO VIENE RILASCIATA Si ricorda che la certificazione di esenzione alla vaccinazione anti SARS-COV-2 viene rilasciata nel caso in cui la vaccinazione stessa venga omessa o differita per la presenza di specifiche condizioni cliniche documentate, che la controindichino in maniera permanente o temporanea. Le persone che ottengono una esenzione alla vaccinazione anti-SARS-CoV-2 devono essere adeguatamente informate sulla necessità di continuare a mantenere le misure di prevenzione come: usare le mascherine, distanziarsi dalle persone non conviventi, lavare le mani, evitare assembramenti in particolare in locali chiusi, rispettare le condizioni previste per i luoghi di lavoro e per i mezzi di trasporto. MODALITÀ DI RILASCIO E SOGGETTI AUTORIZZATI Fino al 31 dicembre 2021, salvo ulteriori disposizioni, le certificazioni potranno essere rilasciate direttamente dai medici vaccinatori dei Servizi vaccinali delle Aziende ed Enti dei Servizi Sanitari Regionali o dai Medici di Medicina Generale o Pediatri di Libera Scelta dell’assistito che operano nell’ambito della campagna di vaccinazione anti-SARS-CoV-2 nazionale. La certificazione deve essere rilasciata a titolo gratuito, avendo cura di archiviare la documentazione clinica relativa, anche digitalmente, attraverso i servizi informativi vaccinali regionali con modalità definite dalle singole Regioni/PA, anche per il monitoraggio delle stesse. Le certificazioni dovranno contenere: i dati identificativi del soggetto interessato (nome, cognome, data di nascita); la dicitura: “soggetto esente alla vaccinazione anti SARS-CoV-2. Certificazione valida per consentire l’accesso ai servizi e attività di cui al comma 1, art. 3 del DECRETO-LEGGE 23 luglio 2021, n 105; la data di fine di validità della certificazione, utilizzando la seguente dicitura “certificazione valida fino al _________” (se indicato fino al 30 settembre 2021 si intende automaticamente prorogata al 31 gennaio 2022); dati relativi al Servizio vaccinale della Aziende ed Enti del Servizio Sanitario Regionale in cui opera come vaccinatore COVID-19 (denominazione del Servizio – Regione); timbro e firma del medico certificatore (anche digitale); numero di iscrizione all’ordine o codice fiscale del medico certificatore. I certificati non possono contenere altri dati sensibili del soggetto interessato (es. motivazione clinica della esenzione).

Fattori V Mutazione prezzi

Sunday, January 16, 2022

Un parere

Ricciardi

La variante delta aveva già cambiato le carte in tavola, perché anch’essa si riproduceva a velocità enorme, ma omicron addirittura la sorpassa di quattro o cinque volte, quindi ci troviamo di fronte a varianti che hanno capacità riproduttiva e di contagiare enormi. Soprattutto omicron, che in qualche modo oltrepassa alcune resistenze. La vaccinazione, anche quella con due dosi, è fondamentale, perché evita di andare in ospedale, evita conseguenze gravi ed evita di morire, però purtroppo non evita più in maniera assoluta l’infezione. Per cui ci saranno due pandemie: la pandemia per i non vaccinati, che avranno conseguenze gravi dal punto di vista clinico, e la pandemia per i vaccinati, che potranno infettarsi con gli inconvenienti come dover stare a casa, fare tamponi e isolarsi. La combinazione di entrambe provoca pressione sul servizio sanitario nazionale». Lo ha detto a Sky TG24 Walter Ricciardi, presidente della Federazione mondiale di Sanità Pubblica, ospite di ‘Buongiorno’.

Saturday, January 15, 2022

Luc Montagnier

Luc Montagnier

"Chiedo a tutti i miei colleghi di fermare le vaccinazioni contro il Covid con questo tipo di vaccini. Ne va di mezzo il futuro dell’umanità. Il dopo dipende da voi, soprattutto dai non vaccinati, che un domani potranno salvare l’umanità, mentre i vaccinati dovranno essere salvati dai centri medici". Lo ha detto il virologo e biologo Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008, notoriamente contrario ai vaccini contro il Covid e non nuovo a posizioni che si sono attirate le critiche della comunità scientifica, in piazza XXV aprile a Milano alla manifestazione no vax e no green pass organizzata da Italexit di Gianluigi Paragone. Lo scienziato 89enne, davanti a una folla di almeno 2mila persone, parlando in francese e con la traduzione in italiano, ha spiegato che "c’è stato un grande errore di strategia" nel contrasto alla diffusione del Covid-19. "Questi vaccini non ne impediscono la trasmissione. Questo vaccino non funziona". Il vaccino "anziché proteggere dalla malattia favorisce anche altre infezioni. La proteina usata per il vaccino è un veleno e tocca organi come il cuore, tanto che molti atleti si stanno ammalando. Il vaccino è fatto per proteggere e non per uccidere". Per Montagnier "è un crimine assoluto dare questo vaccino ai bambini". Content Revolution Covid Gb oggi, 81mila contagi e 287 morti ultime 24 ore Si conferma la diminuzione dei casi di Covid nel Regno Unito, dove oggi si registrano 81.713 nuovi positivi, dopo che ieri per la prima volta dal 21 dicembre si è scesi sotto la soglia dei 100mila contagi giornalieri, con 99.652 nuovi casi. Il numero dei decessi, 287, delle ultime 24 ore è più alto di quello registrato ieri, 270. .

Friday, January 14, 2022

DL .7 Gennaio 2022 nr. 1

Bananeti

Compri un bel casco di banane al supermercato, perfettamente gialle e con qualche venatura verde, lo porti a casa e dopo un paio di giorni le banane sono diventate marroni e mollicce, con un sapore più forte e zuccherino. Pochi frutti maturano così rapidamente: una delle cause è la capacità delle banane di produrre un gas che in molte specie vegetali assolve il compito di ormone, inducendo il processo di maturazione. La produzione di questa sostanza (etilene) nelle banane avviene senza sosta, con la conseguenza di portarle in tempi rapidi oltre il punto in cui sono mature. Se per chi le preferisce maturate a puntino può essere un problema di gusto, per chi ne commercia migliaia di tonnellate ogni anno è un notevole problema. In generale, un frutto acerbo è duro, e ha un sapore aspro invece che zuccherino. È riconoscibile dalla colorazione verdastra dovuta alla presenza della clorofilla, la molecola fondamentale per i processi di fotosintesi che tengono in vita la pianta. L’etilene induce il processo di maturazione, rompendo i legami chimici degli acidi e favorendo la produzione degli zuccheri. La polpa diventa più morbida e la clorofilla lascia il posto ad altre sostanze, come il carotene e gli antociani che conferiscono la classica colorazione del frutto. Il momento in cui il frutto è perfettamente maturo viene detto “picco di maturazione”; superata questa fase inizia la degenerazione che porta progressivamente il frutto a marcire. PUBBLICITÀ Nelle banane il processo di maturazione è piuttosto rapido e marcato, in parte perché – a differenza di molti altri frutti – producono una quantità maggiore di etilene. È la presenza di questa sostanza a causare la comparsa dei classici puntini marroni sulla buccia, che si diffondono poi uniformemente fino a far cambiare colore alla banana. Se il frutto ha subìto un colpo o la buccia è stata graffiata, con la conseguente rottura di parte delle pareti cellulari, il processo avviene ancora più rapidamente. Questa tendenza delle banane a maturare velocemente ha richiesto agli esportatori di perfezionare sistemi per rallentare il processo, rendendolo compatibile con i lunghi viaggi via nave che possono richiedere settimane. Le banane vengono raccolte quando sono ancora completamente verdi e acerbe, quasi sempre in coltivazioni che si trovano ai tropici, dove crescono tutto l’anno. Dopo la raccolta inizia la lotta per evitare che i frutti si mettano a produrre troppo etilene. Il trasporto avviene in container refrigerati, con una temperatura mantenuta intorno ai 13 °C per ridurre al minimo il processo di maturazione (temperature più basse ne causerebbero l’arresto definitivo). All’arrivo a destinazione, il carico viene portato a 17 °C e si aggiunge artificialmente etilene per far riprendere la maturazione. Un magazzino di banane in Germania (Jan Woitas/picture-alliance/dpa/AP Images) Dopo un paio di giorni le banane iniziano a tingersi di giallo, grazie alla progressiva trasformazione della clorofilla. I frutti sono pronti per essere venduti ai consumatori, di solito in caschi che comprendono dalle quattro alle sei banane. Da questo momento in poi, la maturazione prosegue in modo naturale attraverso la produzione di etilene da parte della banana, che la farà velocemente maturare fino a farle cambiare di nuovo colore. La conservazione in casa delle banane non è semplicissima, soprattutto se non sopportate il loro sapore e la consistenza quando sono ormai molto mature e marroni. Il modo migliore per conservarle parte dal momento dell’acquisto: se le consumerete entro un paio di giorni, compratele gialle e con qualche puntino marrone sulla buccia; se invece pensate di consumarle più avanti nel tempo, compratele verdi. Per rallentare la maturazione, molti produttori consigliano di staccare le banane tra loro e di avvolgere il loro stelo (e solo quello) nella plastica. È un consiglio che si sente spesso, ma non ci sono molte prove scientifiche per dire che funzioni. Un test, anche questo da prendere con le molle, ha dimostrato che con lo stelo libero, avvolto nella plastica, o unito al resto del casco di banane, non ci sono grandi differenze riscontrabili nella velocità di maturazione. Per accelerare la maturazione, basta invece inserire una banana in una busta di carta, magari insieme a una mela, in modo che si accumuli più etilene. Il frigorifero può essere usato quando le banane hanno raggiunto la maturazione e si vuole rallentare il loro deperimento: la buccia diventerà più scura, ma l’interno della banana resterà compatto per qualche giorno. È invece sconsigliato mettere le banane acerbe in frigorifero, non solo perché il freddo non le farà maturare, ma anche perché una volta estratta dal frigorifero la banana potrebbe non essere in grado di riavviare il processo di maturazione. Le banane diventate marroni e mollicce possono essere usate per fare torte, oppure per frullati di frutta.

Monday, January 10, 2022

Conferenza Stampa

Conferenza stampa

super green pass

Imprese e lavoratori devono fare i conti con il mix di misure messe in campo dal Governo per contenere la pandemia da Covid-19. Dall’8 gennaio e fino al 15 giugno 2022 è stabilito l’obbligo vaccinale per tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto i 50 anni di età. Dal 10 gennaio è previsto l’utilizzo del green pass rafforzato per accedere a numerose attività e servizi come alberghi, sagre, fiere, convegni, congressi, piscine e mezzi di trasporto. A far data dal 15 febbraio tutti i lavoratori over 50 del settore pubblico e privato soggetti al nuovo obbligo vaccinale, per accedere al luogo di lavoro sono tenuti ad esibire il super green pass. La violazione è punita con una sanzione da euro 600 a euro 1.500. Per contrastare la diffusione del Covid-19 prodotta dalla quarta ondata della pandemia e per incentivare la diffusione della campagna vaccinale, il Governo mette in campo un mix di misure restrittive e di contenimento approvando, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, due decreti legge: il D.L. n. 229/2021 e il D.L. n. 1/2022. Obbligo vaccinale per soggetti over 50 e sanzioni Il D.L. n. 1 del 2022, a far data dall’8 gennaio 2022 e fino al 15 giugno 2022, introduce (modificando il D.L. n. 44/2021) l’obbligo vaccinale per prevenire l’infezione dal virus SARS-CoV-2, per tutti i cittadini italiani e per i cittadini di altri stati membri dell’Unione Europea residenti in Italia, che abbiano compiuto i 50 anni di età o che compiano 50 anni di età entro il 15 giugno 2022. L'obbligo di vaccinazione non sussiste in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate o per immunizzazione a seguito di malattia naturale, comprovata dalla notifica effettuata dal medico curante. In tali casi la vaccinazione può essere omessa o differita. Per i soggetti che entro il 1° febbraio 2022 non abbiano iniziato il ciclo vaccinale primario o a decorrere dal 1° febbraio 2022 non abbiano effettuato la dose di completamento del ciclo vaccinale primario (entro i termini previsti) o non abbiano effettuato la dose di richiamo entro i termini di validità della certificazione verde Covid-19, è prevista una sanzione pecuniaria di 100 euro. La sanzione è irrogata dal Ministero della Salute per il tramite dell’Agenzia delle Entrate a valle del procedimento amministrativo previsto dal decreto. Green pass rafforzato per accedere ai luoghi di lavoro Dal 15 febbraio 2022 tutti i lavoratori over 50 del settore pubblico e privato soggetti all’obbligo vaccinale, per accedere al luogo di lavoro devono possedere e sono tenuti ad esibire il green pass rafforzato ossia la certificazione verde Covid-19 rilasciata esclusivamente a seguito di vaccinazione (ciclo primario e dose booster) o avvenuta guarigione. I datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti alla verifica del green pass rafforzato (app Verifica C-19 e altre funzionalità di verifica previste dalla legge) da parte dei lavoratori soggetti all’obbligo vaccinale. Nel caso i lavoratori soggetti all’obbligo vaccinale comunichino di non essere in possesso della certificazione verde Covid-19 rafforzata o ne fossero trovati sprovvisti al momento dell’accesso nel luogo di lavoro, saranno considerati assenti ingiustificati senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro fino alla presentazione del green pass rafforzato e comunque non oltre il 15 giugno 2022. Per i giorni di assenza ingiustificata non è dovuta la retribuzione né altro compenso o emolumento. Fino al 15 giugno 2022 i datori di lavoro (indipendentemente dalla dimensione occupazionale) dopo 5 giorni di assenza ingiustificata, possono sospendere i lavoratori per tutta la durata del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque, per un periodo non superiore a dieci giorni lavorativi, rinnovabili fino al predetto termine del 15 giugno 2022. E’ vietato l’accesso dei lavoratori ai luoghi di lavoro in violazione dell’obbligo di vaccinazione. La violazione è punita con una sanzione amministrativa da euro 600 a euro 1.500. I lavoratori non soggetti all’obbligo vaccinale o il cui obbligo è differito per motivazioni medico - sanitarie devono essere adibiti a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di contagio. Obbligo vaccinale per personale universitario Dal 15 febbraio 2022, l’obbligo vaccinale senza alcun limite di età è esteso anche al personale universitario come già previsto dal 15 dicembre 2021 per il personale scolastico. Sospensione e sostituzione di lavoratori privi di green pass (base) anche per le aziende oltre i 15 dipendenti Il D.L. n. 1/2022 sostituisce interamente il settimo comma dell’art. 9 septies del D.L. n. 52/2021 prevedendo che tutte le aziende (non più solo quelle con meno di 15 dipendenti) dopo 5 giorni di assenza ingiustificata possano sospendere il lavoratore assente sprovvisto di certificazione verde Covid-19 per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a 10 giorni rinnovabili fino al 31 marzo 2022. Utilizzo del Green pass (base e/o rafforzato) e quarantena precauzionale Oltre a quanto già previsto dal decreto legge n. 221/2021, il combinato disposto delle misure contenute nel D.L. n. 229/2021 e del successivo D.L. n. 1/2022 comporta nuove disposizioni in merito all’utilizzo del green pass base (ossia la certificazione verde Covid-19 che si ottiene anche in seguito a test antigenico e/o molecolare) e del green pass rafforzato o super green pass, ossia la certificazione verde Covid-19 rilasciata esclusivamente a seguito di vaccinazione (ciclo primario e dose booster) o avvenuta guarigione. Il green pass rafforzato sarà necessario: da lunedì 10 gennaio 2022 e fino alla cessazione dello stato di emergenza (31 marzo 2022), per accedere ai seguenti servizi e attività: - alberghi e strutture ricettive, nonché ai servizi di ristorazione prestati all’interno degli stessi anche se riservati ai clienti ivi alloggiati; - sagre e fiere; - convegni e congressi; - feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose; - servizi di ristorazione all’aperto; - impianti di risalita con finalità turistico-commerciale anche se ubicati in comprensori sciistici; - piscine, centri natatori, sport di squadra e centri benessere anche all’aperto; - centri culturali, centri sociali e ricreativi per le attività all'aperto. - mezzi di trasporto, compreso il trasporto pubblico locale o regionale l green pass base sarà necessario: da giovedì 20 gennaio 2022 e fino alla cessazione dello stato di emergenza (31 Marzo 2022) per accedere a: - servizi alla persona (parrucchieri, barbieri, estetisti, ecc.) - colloqui e visite in presenza con detenuti ed internati all’interno di istituti penitenziari per adulti e minori; da martedì 01 febbraio 2022 (o altra data prevista da specifico dpcm) e fino alla cessazione dello stato di emergenza (31 marzo 2022) per accedere a: - pubblici uffici, servizi postali, bancari e finanziari, attività commerciali (fatte salve quelle necessarie per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona, individuate con apposito dpcm) Le nuove misure non si applicano ai soggetti di età inferiore ai dodici anni e ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale) sulla base di idonea e comprovata certificazione medica. I titolari e i gestori dei servizi e delle attività in elenco sono tenuti alla verifica del possesso del green pass (base o rafforzato) attraverso l’app Verifica C19. Smart working emergenziale settore pubblico e privato I ministri per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, e del Lavoro, Andrea Orlando, hanno firmato una circolare per sensibilizzare sia le amministrazioni pubbliche che i datori di lavoro privati ad implementare il più possibile forme di lavoro agile. Per ciò che riguarda il settore privato la circolare raccomanda il massimo utilizzo della modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o a modalità a distanza, ricordando come fino alla data del 31 marzo 2022 in virtù della proroga dello stato d’emergenza ed in forza delle disposizioni contenute nell’art. 90 del D.L. n. 34/2020, convertito con modificazione dalla legge n. 77/2020 sia consentita la possibilità di ricorrere al lavoro agile con modalità semplificate, senza l’accordo individuale tra azienda e singolo dipendente (necessario invece ai sensi della legge n. 81/2017) e con notifica telematica e massiva al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Leggi anche: - Smart working emergenziale: dalla procedura semplificata per l’avvio al possesso del green pass - Smart working: verso un nuovo modo di intendere la sede e l’orario di lavoro

I Vaccini

Obbligo vaccinale

Sunday, January 9, 2022

Nuovi Vaccini

i
Novavax è il quinto vaccino contro il Covid che è stato approvato dall’Ema. In Italia è atteso tra gennaio e febbraio 2022 e sembrerebbe piacere a tutti, anche ai cosiddetti no-vax: ecco come funziona e quali sono gli effetti collaterali. Novavax, vaccino Covid: come funziona, effetti collaterali e quando arriva in Italia Nuvaxoid il vaccino contro il Covid prodotto dal colosso farmaceutico americano Novavax è stato approvato da parte dell’EMA, l’Agenzia Europea per i Medicinali. Quello di Novavax è un vaccino molto atteso in Italia e in Europa, soprattutto per l’impatto che potrebbe avere sulla platea di persone non ancora vaccinate. Infatti la tecnologia del vaccino americano è nota da diversi decenni e questo potrebbe rendere il preparato più “sicuro” agli occhi dei cosiddetti no-vax. In questo 2022 gli italiani così potranno scegliere tra tre vaccini diversi, tutti con un soglia di protezione elevata, visto che ormai AstraZeneca e Johnson & Johnson da noi sono stati accantonati. Vediamo allora come funziona il vaccino di Novavax, i suoi effetti collaterali e quando sarà disponibile in Italia. Novavax, vaccino Covid: come funziona Dopo una lunga fase di sperimentazione non esente da ritardi, circa 5 mesi, il preparato di Novavax è stato approvato dall’EMA, l’ente regolatore dell’UE. Nel dettaglio Nuvaxoid è un vaccino con una tecnologia diversa da quella dei vaccini contro il Covid-19 oggi in circolazione. A differenza dei vaccini Moderna, Pfizer-Biontech, J&J e Astrazeneca, capaci di introdurre un frammento di codice genetico che le cellule devono leggere per poi sintetizzare le proteine stesse, Nuvaxoid è stato creato utilizzando la tecnica delle proteine ricombinanti. Una tecnica collaudata da diversi decenni, per questo è stata definita “alla vecchia maniera”, già utilizzata contro malattie come pertosse, epatite o meningite. Si tratta di indurre direttamente la risposta da parte dell’individuo, introducendo subunità proteiche ovvero “proteine purificate”. Con purificate si intende che sono incapaci di dar luogo alla malattia, perché mancanti del patogeno stesso. Gli effetti collaterali C’è chi ha già decretato Novavax come il vaccino migliore, soprattutto per via di quelli che sembrano essere degli effetti collaterali più lievi, ma non solo. Gli effetti collaterali di Novavax vanno dal mal di testa ai dolori muscoli, passando per stanchezza e possibilità di febbre. La sperimentazione ha coinvolto 30.000 persone e, al momento, sembra che si sia verificato un solo caso di miocardite, passata nel giro di qualche giorno. Quando arriva in Italia L’EMA dopo aver verificato i dati relativi al nuovo vaccino contro il Covid-19, ha approvato in data 20 dicembre Nuvaxoid per il suo uso di emergenza nei Paesi dell’unione Europea. Ora che è arrivato il disco verde il vaccino di Novavax potrebbe arrivare in Italia a inizio 2022: l’UE ha opzionato l’acquisto di 200 milioni di dosi che potranno essere utilizzate oppure donate al programma COVAX. In una recente intervista al Corriere della Sera, il commissario straordinario Francesco Figliuolo ha spiegato che Nuvaxoid sarà disponibile in Italia tra gennaio e febbraio 2022, con il nostro Paese che in totale riceverà 2,9 milioni di dosi nel primo trimestre di quest’anno. Il generale poi ha aggiunto che il vaccino di Novavax in Italia “sarà utilizzato per i cicli primari degli over 18”, con Figliuolo che ha auspicato come questo nuovo strumento a disposizione possa contribuire “a convincere chi è ancora esitante”. Perché potrebbe convincere gli indecisi Si parla molto di Novavax come il vaccino che potrebbe far vaccinare gli indecisi, i cosiddetti no-vax. In questa categoria dobbiamo ricordarci di inserire anche chi non lo fa per una scelta ideologica, cioè non crede nella scienza o nella pandemia, ma anche chi teme gli effetti collaterali più della possibilità di avere il Covid. Novavax piace alla maggior parte dei no-vax per diversi motivi. Il più comune sembra appunto essere la tecnica stessa con la quale è stato prodotto, quello dei vaccini proteici. Inoltre Novavax sembrerebbe avere il pregio di non produrre effetti collaterali gravi. A migliorare la reputazione di questo vaccino c’è l’alta percentuale di protezione e il costo ridotto per la produzione, l’acquisto e il mantenimento, che può avvenire in frigorifero tra i 2° e gli 8°.