Tuesday, May 30, 2023

Il metodo “peer to peer” è utilizzato anche come parte importante di un efficace piano di recupero e sostegno agli studenti con difficoltà e ritardi nella preparazione. Si tratta di un’azione di mentoring da parte di un gruppo dedicato di studenti “tutor” che possono motivare gli altri all’uso delle risorse didattiche disponibili nell’Istituto. • Il mentoring è una metodologia di formazione che fa riferimento a una relazione (formale o informale) tra un soggetto con più esperienza (senior, mentor) e altri con meno esperienza (junior, mentee, protégé), al fine di far sviluppare a quest’ultimo competenze in ambito formativo o lavorativo. L’attività si configura come una forma “semi-strutturata” di didattica e di relazione tra studenti parigrado. Gli studenti tutor sono in grado di offrire un supporto concreto allo studio nonché un efficiente stimolo motivazionale. Come è organizzata una formazione peer to peer L’applicazione di questa metodologia prevede la presenza di un Docente coordinatore che assicura il coordinamento generale dell’attività curando il piano integrato degli interventi di recupero e sostegno e rappresenta di fatto il punto di raccordo tra gli studenti tutor e gli alunni loro assegnati. E’, inoltre responsabile della progettazione, dell’esecuzione e del controllo dell’attività, formando il team di studenti tutor, indirizzando la loro azione, offre suggerimenti, definisce e modifica secondo le esigenze il calendario degli incontri formali, facilita e stimola lo svolgimento dell’attività, valuta l’attività una volta conclusa Team studenti tutor sono gli studenti tutor e quindi le figure chiave che svolgono l’attività sotto il controllo del docente coordinatore. Di solito sono suddivisi in ambiti disciplinari sulla base delle competenze acquisite nel percorso scolastico. Infine, completano il quadro organizzativo il resto dei docenti che hanno l’obiettivo di assicurare il necessario supporto nella diffusione delle informazioni nelle proprie classi e nella motivazione a svolgere l’attività di tutor. eADV

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Friday, May 26, 2023

DIRITTO ALL'OBLIO

REVISIONE DELLA DISCIPLINA DEL CASELLARIO GIUDIZIALE: LE NUOVE DISPOSIZIONI INTRODOTTE DAL D.LGS. 2 OTTOBRE 2018, N. 122 D.lgs. 2 ottobre 2018 n. 122 (G.U. 26 ottobre 2018) Per leggere il testo del decreto, clicca qui. 1. Con il D.lgs. 2 ottobre 2018, n. 122, recante «Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale»[1], il Legislatore ha dato attuazione all’art. 1, commi 18 e 19 della Legge 23 giugno 2017, n. 103[2], che delegava il Governo ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della stessa, un Decreto legislativo per la revisione della disciplina del casellario giudiziale (D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313). Prima di analizzare le principali novità introdotte, appare opportuno inquadrare, su un piano sistematico, la ratio di fondo sottesa all’intervento normativo in parola, al fine di comprendere i criteri metodologici che hanno guidato l’esecutivo in sede di riforma della disciplina in esame. A tal proposito, è importante precisare che il Governo, seguendo i criteri direttivi fissati dalla Legge delega, ha apportato alla disciplina del casellario giudiziale modifiche utili a far sì che la stessa venisse adeguata alle ultime novità normative, sia di ordine sostanziale che processuale, afferenti alla materia penale. Inoltre, l’esercizio del potere delegato ha avuto quale obiettivo quello di conformare la normativa de qua alle novità intervenute in materia di protezione dei dati personali nell’ambito del diritto dell’Unione Europea. Sotto diversa prospettiva, la Legge delega imponeva di revisionare i presupposti relativi alla eliminazione delle iscrizioni per adeguarli alla durata media della vita umana. Inoltre, veniva richiesto di rimodulare la tempistica relativa alla iscrizione delle condanne per fatti di modesta entità, nonché di eliminare l’iscrizione delle cause di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Tuttavia, come sarà chiaro in seguito, le indicazioni racchiuse nell’art. 1, comma 18, lettera c) della Legge n. 103/2017, non sono state osservate dall’Esecutivo che, in relazione a detti parametri, si è discostato dalla delega legislativa. Sul piano strettamente operativo, è utile precisare come l’intervento normativo mirasse a perimetrare i casi in cui le pubbliche amministrazioni, ove necessario all’esercizio delle loro funzioni, possono richiedere all’Ufficio del casellario centrale il certificato generale contenente le iscrizioni presenti nella banca dati a nome di un determinato soggetto. 2. Ferme queste precisazioni di ordine generale, risulta adesso opportuno analizzare singolarmente le principali novità introdotte dalla riforma. Fra queste, si registra innanzitutto una modifica concernente i provvedimenti che devono essere iscritti nel casellario giudiziale. Nel dettaglio, l’art. 1, D.lgs. n. 122/2018, rubricato «modifiche al testo unico sul casellario giudiziale in materia di provvedimenti iscrivibili», interviene sull’art. 3, D.P.R. n. 313/2002, le cui disposizioni elencano tassativamente tutti i provvedimenti che, per estratto, devono essere iscritti nella banca dati del casellario giudiziale. In particolare, modificando il comma 1, lettera i-bis) dell’art. 3, D.P.R. n. 313/2002, il Decreto in esame aggiunge all’interno dell’elenco dei provvedimenti iscrivibili anche le sentenze che dichiarano estinto il reato per esito positivo della messa alla prova ai sensi dell’art. 464- septies c.p.p. L’inserimento si spiega poiché, in precedenza, l’articolo in esame menzionava, tra i provvedimenti iscrivibili, solamente l'ordinanza che ai sensi dell'articolo 464-quater c.p.p. dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova. Appare chiaro allora come la ratio dell’intervento sia quella di eliminare l’asimmetria riscontrabile nella precedente impostazione, in modo tale che, accanto all’ordinanza che dispone la sospensione del procedimento, vengano al pari iscritte le sentenze che danno atto dell’esito favorevole della messa alla prova. 3. Di maggiore impatto appare la novella introdotta dall’art. 2 del Decreto legislativo in commento, rubricato «modifiche al testo unico sul casellario giudiziale in materia di eliminazione delle iscrizioni», attraverso il quale vengono modificati gli artt. 5 e 8, D.P.R. 313/2002. Come suggerisce la rubrica dell’articolo in esame, attraverso tale intervento il Legislatore ha inteso incidere sul regime di eliminazione delle iscrizioni presenti nel casellario giudiziale e nel casellario dei carichi pendenti. L’intento è quello di adeguare la normativa a due delle esigenze richiamate nella Legge delega: allineare la disciplina, con riferimento ai tempi di eliminazione delle iscrizioni, all’attuale durata media della vita umana e conformare la stessa alle regole del casellario giudiziale europeo. Con riferimento al casellario giudiziale, tali obiettivi sono stati perseguiti attraverso una integrale revisione del comma 1 dell’art. 5, D.P.R. n. 313/2002, il cui contenuto è stato sostituito dalla previsione secondo cui «le iscrizioni nel casellario giudiziale sono eliminate decorsi quindici anni dalla morte della persona alla quale si riferiscono e, comunque, decorsi cento anni dalla sua nascita». In tal modo, si determina un significativo discostamento rispetto alla precedente formulazione che prevedeva, invece, la cancellazione dell’iscrizione alla morte del soggetto e comunque il mantenimento della stessa fino al compimento dell’ottantesimo anno di età. Con riferimento alle novità introdotte, dal testo della Relazione illustrativa al Decreto legislativo in commento si evince che «l’apposizione di un termine di quindici anni successivo alla morte si impone per contemperare i principi di proporzionalità, limitazione della finalità e non eccedenza al trattamento dei dati personali (espressi nella Direttiva UE 2016/680 e recepiti nel decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 51, di attuazione della direttiva) con i diritti degli eredi della persona defunta»[3]. Fissata tale regola in materia di eliminazione delle iscrizioni, il Legislatore delegato ha poi innestato ulteriori novità afferenti alla casistica delle ipotesi in cui le iscrizioni devono essere cancellate dal registro del casellario giudiziale. Nello specifico, integrando le disposizioni contenute nel comma 2, lett. a) dell’art. 5, D.P.R. n. 313/2002, il Decreto legislativo in commento stabilisce che sono eliminate anche le iscrizioni relative ai casi di rescissione del giudicato ai sensi dell’articolo 669 c.p.p. Tale ipotesi, affiancandosi a quelle di revisione e di revoca della sentenza (per sopravvenuta abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale), si spiega poiché l’istituto della rescissione del giudicato è stato introdotto nel sistema (dopo la modifica del 2002 apportata al Testo Unico) dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, e modificato dalla stessa legge n. 103/2017. Dunque, si comprende come la ratio della novella sia quella di adeguare la normativa alle più recenti modifiche intervenute nella materia penale, in accordo con i canoni metodologici richiamati in premessa. Sotto diversa prospettiva, l’art. 2, D.lgs. n. 122/2018 rivisita, altresì, il regime di eliminazione delle iscrizioni del casellario dei carichi pendenti. In tale ottica, viene modificato l’art. 8, D.P.R. 313/2002, dal cui testo - soppresso il riferimento al raggiungimento di un determinato limite di età (ottanta anni) - si evince adesso che l’eliminazione dell’iscrizione può avvenire nella sola ipotesi di decesso del soggetto intestatario della stessa. 4. Di modesto rilievo appaiono le modifiche di cui all’art. 3 D.lgs. n. 122/2018, rubricato «modifiche al testo unico sul casellario giudiziale in materia di ufficio iscrizione, ufficio territoriale, ufficio locale, ufficio centrale», il cui intento è quello di garantire una razionalizzazione dei servizi amministrativi. In tale prospettiva, viene sostituito il comma 1 dell’art. 15, D.P.R. 313/2002 con la previsione secondo cui «l’ufficio iscrizione iscrive per estratto nel sistema ed elimina dal sistema, anche sulla base delle comunicazioni di cui all’art. 16, i provvedimenti di cui agli articoli 3 e 9, esclusi quelli di competenza dell’ufficio centrale ai sensi dell’articolo 19, commi 3, 4 e 5». Tale modifica si spiega in ragione dell’esigenza di raccordare il contenuto dell’art. 15 alle previsioni di cui all’art. 16[4] del Testo Unico. Inoltre, viene sostituito il comma 5 dell’art. 19 del D.P.R. n. 313/2002 con la seguente previsione: «l’ufficio centrale elimina dal sistema le iscrizioni relative alle persone decorsi quindici anni della morte della persona alla quale si riferiscono e, comunque, decorsi cento anni dalla sua nascita, nonché le iscrizioni dei provvedimenti giudiziari relativi a minori ai sensi dell’art. 5, comma 4». Tale modifica persegue lo scopo di adeguare il tenore della disposizione dell’articolo poc’anzi citato al nuovo testo dell’articolo 5, comma 1 del D.P.R. 313/2002. 5. Modifiche normative di maggiore impatto sono introdotte dall’art. 4 del Decreto legislativo in commento che, incidendo su una pluralità di articoli del Testo Unico, persegue l’obiettivo di semplificare gli adempimenti amministrativi in materia di casellario giudiziale, in ossequio ai criteri definiti dall’art. 1, comma 18, lett. a) della Legge delega. Invero, prima delle ultime modifiche, l’impianto amministrativo dei servizi certificativi risultava alquanto complesso, contemplando tre diverse tipologie di certificati rilasciabili su richiesta dell’interessato: il certificato generale, quello penale e quello civile, disciplinati dagli artt. 23 e ss., D.P.R. n. 313/2002. Con la riforma, invece, le tre originarie tipologie di certificati, rilasciabili su richiesta dell’interessato, vengono unificate in un unico modello certificativo. Infatti, il Legislatore ha provveduto ad abrogare gli artt. 23, 25 e 26, D.P.R. n. 313/2002 facendo residuare, quale unica species di certificato, quello disciplinato dall’art. 24, la cui rubrica (reciso il termine «generale») riporta adesso la seguente dicitura: «certificato del casellario giudiziale richiesto dall’interessato». Ebbene, l’articolo da ultimo menzionato conia un’unica tipologia di certificato rilasciabile all’interessato senza che questi sia tenuto a motivare la richiesta (stante l’introduzione del comma 01 nel testo dell’art. 24[5]), contenente tutte le iscrizioni presenti nel casellario giudiziale a carico di un determinato individuo, con la specifica esclusione di alcune iscrizioni espressamente individuate. Inoltre, è opportuno specificare che, a norma del nuovo comma 1-bis, l’art. 24 prevede adesso che il certificato rilasciato al cittadino italiano debba contenere l’attestazione circa la sussistenza di iscrizioni nel casellario giudiziale europeo. Dopo aver fissato come regola generale quella di menzionare nel certificato tutte le iscrizioni presenti nel casellario, l’art. 24 del Testo Unico individua anche una serie di provvedimenti rispetto ai quali è prevista espressamente la “non menzione” all’interno del certificato stesso. Sul punto, va segnalato che l’intervento del Legislatore, in merito al menzionato regime derogatorio, si esplica su più versanti. Una prima novità riguarda la previsione secondo cui non devono essere menzionate nel certificato in parola le sentenze che applicano la pena ai sensi dell’art. 445 c.p.p., allorché la pena irrogata non superi i due anni di detenzione (soli o congiunti alla pena pecuniaria). Inoltre, sempre con riferimento al regime delle eccezioni, il suddetto elenco è stato integrato (tramite l’introduzione delle lettere m-bis) e m-ter) nel testo dell’art. 24, D.P.R. n. 313/2002) dalla previsione secondo cui all’interno del certificato non devono essere menzionate l’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-quater c.p.p.) e la sentenza che dichiara estinto il reato per esito positivo della stessa (art. 464-septies c.p.p.). L’inclusione di detti provvedimenti fra quelli “non menzionabili” nel certificato persegue lo scopo di depurare la normativa de qua da alcuni profili di illegittimità costituzionale, emersi in occasione di un recente intervento della Corte costituzionale. La Consulta, infatti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 24, comma 1, e 25, comma 1, D.P.R. 313/2002 (nel testo anteriore alle modifiche) «nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato ai sensi dell’art. 464-quater del codice di procedura penale e della sentenza che dichiara l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 464-septies, cod. proc. pen.»[6] L’iter argomentativo tracciato dai Giudici delle leggi dimostra come la disciplina previgente si ponesse in contrasto con la Costituzione sotto un duplice profilo. Da una parte, l’obbligo (implicito) di includere i provvedimenti sulla messa alla prova tra i certificati del casellario oggetto di possibile richiesta da parte dei privati si pone in contrasto con l’art. 3 Cost. Secondo la Consulta, infatti, includendo detti provvedimenti all’interno del certificato si determina «un trattamento deteriore dei soggetti che beneficiano di questi provvedimenti, orientati anche a una finalità deflattiva con correlativi risvolti premiali per l’imputato, rispetto a coloro che – aderendo o non opponendosi ad altri procedimenti, come il patteggiamento o il decreto penale di condanna, ispirati essi pure alla medesima finalità – beneficiano già oggi della non menzione dei relativi provvedimenti nei certificati richiesti dai privati»[7]. Dall’altra, la Corte ha ritenuto fondate le censure di incostituzionalità sollevate in relazione all’art. 27, comma 3, Cost. Invero, partendo dal presupposto per cui la sospensione con messa alla prova costituisce parte integrante del sistema sanzionatorio penale, la Corte ha ritenuto che detto istituto debba essere attratto al concetto di “finalismo rieducativo”. Conseguentemente, «la menzione dei provvedimenti concernenti la messa alla prova nei certificati richiesti dai privati appare […] disfunzionale rispetto a tale obiettivo», poiché si risolve in «un ostacolo al reinserimento sociale del soggetto che abbia ottenuto, e poi concluso con successo, la messa alla prova, creandogli – in particolare – più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative»[8]. Chiusa questa parentesi, utile a sondare il terreno giurisprudenziale in cui si innestano le menzionate novità legislative e a perimetrare i principi costituzionali nel cui alveo è riconducibile la materia de qua, giova adesso illustrare le ulteriori novità introdotte dalla riforma in esame. Sempre l’art. 4 del Decreto legislativo in commento, integrando il contenuto degli artt. 24 e 25-ter (per quanto riguarda i certificati richiesti dai privati) e gli artt. 28 e 28- bis (concernenti i certificati per le pubbliche amministrazioni o i gestori di pubblici servizi) del Testo Unico, stabilisce che, in calce al certificato del casellario giudiziale e a quello del casellario giudiziale europeo, debba essere necessariamente indicato se esistono o meno condanne, rispettivamente, in ambito europeo e in ambito nazionale. La ratio sottesa alla modifica in parola è quella di «assicurare la reciproca completezza delle relative certificazioni, nel rispetto delle regole di menzionabilità vigenti in ciascun Paese di condanna»[9]. Inoltre, in forza dell’art. 4, D.lgs. n. 122/2018, si interviene sul contenuto del certificato dei carichi pendenti rilasciati su richiesta dell’interessato (art. 27, D.P.R. n. 313/2002), nel cui contenuto è previsto adesso che non figurino i provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis c.p. e i provvedimenti concernenti l’istituto della messa alla prova (ordinanza di sospensione della messa alla prova e sentenza che dichiara l’estinzione del reato per esito positivo della stessa). 6. Consistenti novità sono poi introdotte, sempre in forza del più volte menzionato 4, D.lgs. n. 122/2018, in materia di certificazioni rilasciate a richiesta delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici. Le norme di riferimento sono gli artt. 28 e 39 del Testo Unico, che rispettivamente disciplinano le tipologie di certificato rilasciabili alle pubbliche amministrazioni e le modalità attraverso cui può avvenire tale rilascio. Ai sensi del nuovo art. 28, D.P.R. n. 313/2002, rubricato «certificati richiesti dalle amministrazioni pubbliche e gestori di pubblici servizi», le pubbliche amministrazioni possono ottenere il certificato selettivo, quello generale, nonché i certificati di cui agli artt. 27 e 28-bis del Testo Unico. Ai sensi del comma 2 dell’art. 28, D.P.R. n. 313/2002, il certificato selettivo «contiene le sole iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale a carico di un determinato soggetto pertinenti e rilevanti rispetto alle finalità istituzionali dell’amministrazione o del gestore». Il certificato generale, invece, «riporta tutte le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale a carico di un determinato soggetto ed è rilasciato quando non può procedersi, sulla base delle disposizioni che regolano i singoli procedimenti amministrativi, alla selezione delle iscrizioni pertinenti e rilevanti». Viene poi specificato che entrambi i certificati sono rilasciati dall’ufficio locale del casellario di cui all’art. 18, D.P.R. n. 313/2002, quando motivi tecnici impediscono temporaneamente il rilascio in forza delle convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 39. Inoltre, il certificato generale è rilasciato dall’ufficio locale, oltre che nell’ipotesi suddetta, anche in ulteriori due ipotesi: nelle more della stipula o della modifica della convenzione di cui all’art. 39 e della realizzazione di procedure informatiche finalizzate all’accesso selettivo, e nel caso di richieste relative a procedimenti amministrativi ulteriori rispetto a quelli indicati in convenzione. Dopo aver segnalato le due diverse tipologie di certificato rilasciabile alle pubbliche amministrazioni, l’art 28 del D.P.R. n. 313/2002 elenca una serie di iscrizioni che, in linea rispetto alle previsioni di cui all’art. 24 (riguardante il certificato a richiesta dell’interessato), non devono essere riportate nei suddetti certificati. In particolare, viene espressamente prescritta la non menzione dei seguenti provvedimenti: a) le condanne relative a contravvenzioni punibili con la sola ammenda e le condanne per reati estinti ai sensi dell’art. 197, comma 1, c.p.; b) le ordinanze di sospensione del procedimento con messa alla prova e le sentenze che dichiarano estinto il reato per esito positivo della stessa; c) i provvedimenti che dichiarano la non punibilità del soggetto ai sensi dell’art. 131- bis c.p. Dal punto di vista strettamente operativo, invece, le modalità di rilascio dei certificati alle pubbliche amministrazioni e ai gestori di pubblici servizi sono disciplinate dal novellato art. 39 del D.P.R. n. 313/2002. Tale articolo stabilisce che i certificati selettivi e generali (di cui all’art. 28) e quelli concernenti l’anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato (di cui all’art. 32) debbano essere acquisiti attraverso la consultazione del Sistema informativo del casellario. Tale acquisizione, tuttavia, presuppone la previa stipula a titolo gratuito di specifiche convenzioni, il cui contenuto minimo è individuato dallo stesso art. 39, tra il Ministero della Giustizia e le singole amministrazioni interessate. Così, è previsto che le richieste avanzate dalle amministrazioni pubbliche all’Ufficio centrale debbano rispettare le modalità operative fissate all’interno di tali specifiche convenzioni. 7. Da ultimo, le modifiche introdotte dal D.lgs. n. 122/2018 si completano con le previsioni contenute negli artt. 5, 6 e 7. Nel dettaglio, l’art. 5 introduce alcune modifiche all’art. 47 del Testo Unico, recante le disposizioni transitorie per l’eliminazione delle iscrizioni dall’ufficio locale. L’articolo 47, comma 1, D.P.R. n. 313/2002 - al fine di operare un raccordo rispetto alle novellate previsioni di cui all’art. 5, D.lgs. n. 122/2018 - stabilisce ora che «l’eliminazione delle iscrizioni di cui al comma 1 è effettuata dall’ufficio locale decorsi quindici anni dalla morte della persona alla quale si riferiscono e, comunque, decorsi cento anni dalla sua nascita». Con l’art. 6, D.lgs. n. 122/2018 si interviene, invece, sul contenuto dell’art. 51 del Testo Unico, al quale viene aggiunto un comma 1-bis secondo cui «ogni richiamo, presente in norme di legge o di regolamento, al casellario giudiziale si intende riferito anche al casellario giudiziale europeo». Lo scopo dell’intervento è evidentemente quello di realizzare il coordinamento normativo imposto dall’art. 1, comma 20 della Legge delega. Infine, in virtù degli articoli 7 ed 8 del D.lgs. n. 122/2018, si prevede rispettivamente che le disposizioni del decreto in parola acquisteranno efficacia decorso un anno dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale[10] e che l’intervento normativo ha il carattere della neutralità finanziaria. *** 8. Risulta a questo punto agevole elaborare, anche in chiave critica, qualche riflessione sulla bontà complessiva della riforma in commento. Se deve senz’altro esprimersi un giudizio di favore rispetto ad alcune scelte operate dal nostro Legislatore, risulta del pari doveroso – oltre che costruttivo – lasciare spazio a qualche succinta riflessione critica. Sul primo versante, è bene evidenziare come, da un lato, la riforma abbia apportato delle innovazioni apprezzabili in materia di organizzazione dei servizi certificativi, nella misura in cui le novità introdotte hanno conferito maggiore semplificazione e coerenza sistematica alla disciplina, anche in vista della necessità di operare un raccordo rispetto alle novità riferibili al diritto dell’Unione europea. Del pari, merita di essere salutata con favore la scelta di escludere la menzione, dal certificato richiesto dal privato, dei provvedimenti concernenti l’istituto della messa alla prova. Invero, la novella – sia pur stimolata dai sopra menzionati profili di illegittimità costituzionale - ha il pregio di depurare la normativa previgente da alcune lacune non più conciliabili con il principio costituzionalmente imposto di finalismo “rieducativo”, nel cui alveo l’istituto della messa alla prova, stante la propria appartenenza al sistema sanzionatorio penale, deve essere ricondotto. Meno condivisibile appare la scelta di non dare piena attuazione alla Legge delega con riferimento all’art. 1, comma 18, lett. c) della stessa, segnatamente in merito alla necessità di rimodulare i limiti temporali «per l’eliminazione delle iscrizioni delle condanne per fatti di modesta entità, quali quelle irrogate con decreto penale, con provvedimento della giurisdizione di pace, con provvedimento applicativo della pena su richiesta delle parti, per pene determinate in misura comunque non superiore a sei mesi, in modo tale da favorire il reinserimento con modalità meno gravose». Invero, si ritiene che un giudizio di pieno favore rispetto alla bontà del Decreto di revisione in commento non potesse prescindere dalla compiuta attuazione delle previsioni da ultimo richiamate. Ancora, come è stato evidenziato da una parte della dottrina[11], la riforma appare criticabile nel merito della scelta operata con riferimento al tempo utile affinché possa avvenire l’eliminazione delle iscrizioni dal casellario. Infatti, ferma l’esigenza di adeguare la durata dell’iscrizione ai nuovi standard di durata della vita umana, appare forse eccessivo l’obbligo di mantenere l’iscrizione fino ad un tempo di quindici anni dalla morte del soggetto. In virtù di quanto sopra esposto, può in conclusione ritenersi che il Decreto legislativo in commento, sebbene abbia introdotto delle importanti novità alla disciplina del casellario giudiziale, non abbia soddisfatto appieno i propositi di riforma. Pertanto, in una prospettiva de iure condendo, è possibile ritenere che un intervento più incisivo nella materia in oggetto non possa prescindere dal soddisfare due specifiche esigenze: da una parte, quella di “ripensare” l’opinabile limite del mantenimento dell’iscrizione fino a 15 anni dalla morte del soggetto e, dall’altra, quella di concepire una effettiva e migliore rimodulazione temporale dell’iscrizione relativa alle condanne per fatti di lieve entità. [1] Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 250 del 26 ottobre 2018 - Suppl. Ordinario n. 50. [2] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 154 del 4 luglio 2017. [3] Sono le parole utilizzate dalla Relazione illustrativa alla legge 23 giugno 2017, n. 103 che, nel giustificare la novità normativa, chiarisce che «vi sono casi, infatti, in cui la legge riconosce agli eredi particolari benefici a condizione che il de cuius fosse incensurato o mai condannato per alcuni gravi reati. L’immediata cancellazione, alla data della comunicazione dell’avvenuto decesso, dei dati relativi alle persone decedute determinerebbe l’impossibilità per la pubblica amministrazione di accertare l’effettiva sussistenza dei requisiti per l’accesso degli eredi ai benefici previsti dalla legge». [4] Cfr. Relazione illustrativa alla legge 23 giugno 2017, n. 103, da cui si evince che la modifica dell’art. 15, oltre a perseguire gli scopi richiamati, è altresì funzionale ad «emendare un refuso presente nell’attuale testo con riguardo alle competenze dell’ufficio centrale (richiamo al comma 6 anziché al comma 5)». [5] A mente del nuovo comma 01 introdotto all’art. 24 «L'interessato ha il diritto di ottenere il certificato senza motivare la richiesta». [6] Corte cost., sent. 7 novembre 2018 (dep. 7 dicembre 2018), n. 231, Pres. Lattanzi, Red. Viganò, con nota di D. Albanese, Costituzionalmente illegittima la menzione dei provvedimenti sulla messa alla prova nei certificati del casellario richiesti dall’interessato, in questa Rivista. [7] Cfr. Corte cost., 7 novembre 2018, n. 231, cit. [8] Cfr. Corte cost., 7 novembre 2018, n. 231, cit. [9] Cfr. Relazione illustrativa alla legge 23 giugno 2017, n. 103, che, sul punto, evidenzia anche come la ratio di tale integrazione sia quella di «minimizzare l’aggravio per il richiedente e per l’ufficio locale del casellario, prevedendo l’onere dell’estrazione/acquisizione dell’altro certificato (a seconda dei casi quello “italiano” o quello europeo) soltanto qualora sul primo compaia la relativa avvertenza di segno positivo». [10] Come si evince dalla Relazione illustrativa alla legge 23 giugno 2017, n. 103, la previsione di cui all’art. 7 ha lo scopo di «accordare un congruo lasso temporale per la progettazione e la realizzazione degli adeguamenti tecnici necessari a dare attuazione alle novità normative». [11] Cfr. C. M. Cortesi, Prosegue il cammino della “riforma Orlando” anche in materia di casellario giudiziale, reperibile in www.quotidianogiuridico.it.

PARTICOLARE TENUINITA' DEL FATTO

Wednesday, May 24, 2023

Riforma penale

6. L’assenza nel giudizio di appello 6.1 La nuova disciplina ha rimodulato a fondo la possibilità del giudizio in assenza, in particolare con la rivisitazione degli artt. 420-bis e 420-quater. La notifica deve tendenzialmente avvenire a mani proprie o di persona espressamente delegata al ritiro dell’atto; occorre altrimenti che vi siano indicazioni inequivoche di una assenza dovuta a scelta consapevole e volontaria; vengono meno le presunzioni ‘nominate’, occorre una motivazione specifica su fatti procedimentali specifici; se non è possibile spiegare quest’ultima (nelle sue varie articolazioni) non si sospende ma si delibera sentenza di improcedibilità per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato: sentenza in rito, con avvisi sulle modalità del prosieguo e prescrizione sospesa, revocabile quando l’imputato é rintracciato e ha ricevuto la notifica della sentenza di (temporanea) improcedibilità. Quando l’imputato è dichiarato assente e il processo è in corso, se compare ricorrendo determinate condizioni può essere rimesso in termini per esercitare le facoltà da cui è decaduto. 6.2 Quando si procede in appello con trattazione orale, se l’imputato è appellante e le notificazioni sono regolari si procede sempre in assenza anche fuori dei casi dell’art. 420-bis. Si tratta di un corollario del fatto che l’appello è stato proposto da lui o nel suo interesse da difensore eventualmente munito di mandato speciale e che per l’atto l’imputato ha depositato la dichiarazione o elezione di domicilio. Se le notificazioni sono regolari ma l’imputato non è appellante e non ricorrono le condizioni di cui all’art. 420-bis, commi 1, 2 e 3, la Corte sospende il procedimento e dispone le ricerche per la notifica della citazione [598-ter.2]. Quando infine si procede con rito cartolare, accertata la regolarità della notifica ovviamente non è dichiarata l’assenza; se tuttavia l’imputato non è appellante e non ricorrono le condizioni di cui all’art. 420-bis, commi 1, 2 e 3, la Corte provvede con l’ordinanza di sospensione e ricerche. La differente soluzione con il primo grado (che procede a sentenza di improcedibilità per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato: 420-quater) è data ovviamente dal fatto che vi è ormai una sentenza di merito deliberata che non potrebbe essere travolta da una seconda successiva sentenza di improcedibilità sostanzialmente temporanea. La durata della sospensione è potenzialmente indeterminata. Se si procede per reato consumato dopo il 01/01/2020 si applica infatti la disciplina dell’art. 344-bis comma 6. Se si procede per reato consumato entro il 31/12/2019 si applica l’art. 159.1.n.3-bis ([31]) 6.3 La rivisitazione della disciplina in primo grado ha un’immediata ricaduta in quella delle questioni di nullità nel giudizio di appello. La dichiarazione di assenza quando mancavano le condizioni dei primi tre commi dell’art. 420-bis determina la nullità della sentenza di primo grado, che però deve essere eccepita con specifico motivo di appello ([32]) altrimenti è sanata [604, nuovo 5-bis]: non può pertanto essere rilevata d’ufficio. Se dichiara la nullità il giudice di appello dispone la trasmissione degli atti al giudice che procedeva quando la nullità si è verificata. Non sussiste comunque nullità [604, nuovo 5-bis, ultima parte] se risulta che l’imputato era a conoscenza della pendenza del processo ed era nelle condizioni di comparire in giudizio prima della pronuncia della sentenza impugnata. Occorre quindi un’accurata conoscenza e valutazione di cosa è accaduto nel corso del procedimento e dalle notificazioni della citazione a imputato e difensore/i. Questa indicazione, inequivoca, pone almeno un problema nuovo, che presenta profili delicati. Il giudice di primo grado [e quello di appello che deve valutare se sussista questa sorta di condizione ostativa alla possibilità di eccepire o rilevare ([33]) la nullità] non ha né può consultare il fascicolo del pubblico ministero, per cui diviene onere del rappresentante della parte pubblica, nei due gradi, acquisire e rappresentare i fatti di possibile pertinente rilievo procedimentale che si sono verificati nella fase delle indagini preliminari e fino all’eventuale udienza preliminare. Ma, soprattutto, nel nuovo sistema diviene nevralgica la comprensione di quale sia stato il rapporto tra l’imputato ed il suo difensore, di fiducia o di ufficio che sia, in particolare dal momento in cui il difensore ha ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza. E questo aspetto, essenziale nell’economia della disciplina al fine di poter affermare o escludere anche la conoscenza della pendenza del processo, è nella conoscenza del solo difensore, quando l’imputato non sia presente ovvero manchino elementi documentali (una nomina, un’istanza, la presentazione di un certificato medico, ecc.) dal cui contenuto si possa evincere esaustivamente, anche solo sul piano logico, il dato della conoscenza della pendenza del processo (e non già del solo procedimento), se non specificamente della data dell’udienza. Ed allora diviene fisiologia della relazione tra giudice e parti, con la nuova disciplina, che il primo nelle situazioni di incertezza possa, o debba in realtà, interpellare il difensore su quali siano stati i suoi contatti con l’imputato dal momento delle notifiche per applicare correttamente la norma. Ovvero che debba essere riconosciuto uno speculare obbligo del difensore, di fiducia o di ufficio, di rappresentare al giudice di primo grado (e dedurre specificamente e analiticamente nell’eventuale motivo di appello) l’assenza di ogni rapporto e le ragioni che la hanno determinata. Tema nuovo nella pregnanza con cui si pone, ma che pare francamente ineludibile ([34]). 6.4 Il nuovo comma 3-ter del medesimo art. 604 prevede poi i casi nei quali, al di fuori delle ipotesi di nullità considerate dal comma precedente, il giudice di appello restituisce l’imputato nel termine per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto (quando per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento si è trovato nell’assoluta impossibilità di comparire e, incolpevolmente, di comunicare tempestivamente l’impedimento; se, quando l’assenza è stata dichiarata fuori dei casi di notifica a mani o a persona espressamente incaricata del ritiro o rinuncia espressa a comparire o far valere un impedimento, provi di non aver avuto effettiva conoscenza del processo e non esser potuto intervenire, incolpevolmente, per esercitare le facoltà da cui è decaduto). In questi casi [604, 5-quater], se la facoltà riguarda la richiesta di applicazione dell’art. 444 ovvero l’oblazione ovvero la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ([35]), provvede direttamente il giudice di appello (e se questi rigetta le richieste di applicazione della pena o di oblazione le stesse non possono più essere riproposte). Negli altri casi il giudice di appello annulla la sentenza e trasmette gli atti al giudice della fase nella quale può essere esercitata la facoltà da cui l’imputato è decaduto [604.5-quater]. Trattandosi di annullamento per decadenza dall’esercizio di una facoltà, va posta la questione se l’annullamento prescinda dalla specifica e vincolante dichiarazione di voler esercitare tale facoltà ovvero debba essere automatico, quindi ritenendosi poi fisiologico che restituito nel termine davanti al giudice ‘naturale’ l’imputato possa poi scegliere di non esercitare quella facoltà della cui decadenza si è doluto ottenendo l’annullamento della sentenza di primo grado. Si pensi al caso di decadenza incolpevole dalla facoltà di chiedere il rito abbreviato: presupposto dell’annullamento è la richiesta (vincolante) che si proceda con rito abbreviato ovvero la retrocessione avviene anche se solo ‘esplorativa’, riservandosi quindi l’imputato di esercitare o meno la facoltà di chiederlo? Il principio costituzionale di ragionevole durata del processo parrebbe ostare ad una retrocessione formalistica, non strettamente funzionale al soddisfacimento di un concreto ed effettivo interesse, ed effetto, ‘riparatorio’. D’altronde, quando la richiesta di restituzione nel termine è proposta, con specifico motivo di appello o con richiesta presentata prima della discussione di appello ([36]), l’istante ha già avuto la possibilità di una piena conoscenza degli atti sia processuali (fascicolo per il dibattimento) che di indagine preliminare (fascicolo del pubblico ministero). Non pare decisiva a sostenere la tesi opposta la lettera della locuzione: “giudice della fase nella quale può essere esercitata la facoltà dalla quale l’imputato è decaduto”. Il tempo presente del verbo risulta compatibile con entrambe le interpretazioni. La norma prevede che in ogni caso rimane ferma la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza [604.5-ter]. 6.5 La disciplina dei nuovi commi 5-bis e 5-ter dell’art. 604 riceve un seguito specifico nella disciplina dell’annullamento con rinvio nel rito di cassazione. Infatti l’art. 623, comma 1, inserisce una lettera bb), disponendo che nel caso del comma 5-bis la Corte di cassazione disponga la trasmissione degli atti direttamente al giudice del grado e della fase in cui si è verificata la nullità; nei casi disciplinati dal comma 5-ter la trasmissione avviene al giudice del grado e della fase in cui può essere esercitata la facoltà da cui l’imputato è decaduto. Tuttavia in entrambi i casi l’annullamento non può essere disposto se “risulta che l’imputato era a conoscenza della pendenza del processo e nelle condizioni di comparire a giudizio prima della pronuncia della sentenza impugnata”. Va notato che nella disciplina dei commi 5-bis e 5-ter questa condizione inibente è prevista solo per la nullità disciplinata dal primo. La discrasia parrebbe attribuire alla Corte di cassazione un potere di apprezzamento di merito (sia pure in relazione ad una questione procedimentale) che il giudice di appello non ha. Del resto i limiti di rilevanza dell’operatività delle ipotesi del comma 5-ter sono già indicati (ed in parte diversi) all’interno delle due ipotesi previste. 7. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale Due le novità, riguardanti la riformulazione del comma 3-bis e un nuovo comma 3-ter. 7.1 Sono anche due le novità nel comma 3-bis. La prima è data dal richiamo espresso ai primi tre commi dell’art. 603. Si tratta di un chiarimento volto a ribadire che i limiti entro i quali il comma 3-bis (anche nella sua interpretazione giurisprudenziale) impone la rinnovazione di prove dichiarative lasciano tuttavia impregiudicata ogni possibilità del giudice di appello di procedere comunque alla rinnovazione quando ricorrono le condizioni indicate nei primi tre commi della norma ([37]). La seconda porta a soluzione normativa il disagio interpretativo determinato dall’estensione, operata da SU sent. 27620 del 28/04/2016, ric. Dasgupta (e subito confermata da SU sent. 18620 del 19/01/2017, ric. Patalano) dell’obbligo di esaminare d’ufficio i dichiaranti, nei casi di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, anche ai giudizi svoltisi con rito abbreviato nei quali nessun dichiarante era stato esaminato dal giudice (nelle due ipotesi possibili degli artt. 438.5 e 441.5). In concreto in tale ipotesi si andava in realtà ad una prima escussione procedimentale da parte di un giudice. La modifica normativa trae spunto anche dall’evoluzione della giurisprudenza europea che aveva dato origine all’introduzione dell’art. 603.3-bis ([38]). 7.2 Il nuovo comma 3-ter dell’art. 603 dispone che quando si procede alla rinnovazione a seguito di accoglimento di richiesta ex art. 604.5-ter e 5-quater, se nel giudizio di primo grado si è proceduto in assenza perché l’imputato latitante si era volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo [420-bis.3], la rinnovazione è disposta nei limiti previsti dall’art. 190-bis.

Riforma Cartabia

+ 12 Gennaio 2023 - 28 Febbraio 2023

Particolare genuinità del fatto

24 ore per l'insegnante

Saturday, May 13, 2023

Polenta Bianca

MAIS BIANCOPERLA Origini Luogo d'origine Italia Italia Regione Veneto Zona di produzione Province di Padova, Treviso, Venezia Orientale e la parte orientale del territorio vicentino. Dettagli Categoria ortofrutticolo Riconoscimento P.A.T. Settore Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati Il mais Biancoperla è un tipo di mais dal quale si ottiene una farina riconosciuta come prodotto tipico veneto[1], presidio di Slow Food. Le pannocchie sono affusolate con grandi chicchi vitrei, bianco perlacei e brillanti. Il biancoperla è una varietà di mais ad impollinazione libera (auto-fecondante). Polenta bianca Giacomo Agostinetti, agronomo di Cimadolmo, nei suoi Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa (edito alla fine Seicento) segnala la presenza diffusa di un "sorgoturco bianco", progenitore dell'attuale varietà Biancoperla, specie nel “Quartier del Piave”. La sua massiccia diffusione si colloca tuttavia nella seconda metà dell'Ottocento, grazie alla sua maggiore conservabilità rispetto alle concorrenti varietà dell'epoca. A partire dagli anni Cinquanta del Novecento, la produzione del Biancoperla è andata riducendosi, soppiantata da quella delle varietà ibride farinose dalla resa più elevata. Anche se alcuni contadini "i più eletti la producono ancora, per una questione di tradizione e prestigio". Uso in cucina La farina di Mais Biancoperla viene utilizzata per la preparazione della polenta bianca in accompagnamento spesso ai piatti di pesce "povero": marson, schie, moeche, masenete, gamberi, baccalà. Nel veneziano, padovano e trevisano viene utilizzata anche in abbinamento ad antipasti e carne, sia cotta alla griglia che in umido. La polenta bianca è una variante tipica della cucina veneta della classica "polenta bramata" si ottiene da un mais bianco, dal gusto delicato che si presta particolarmente bene ad accompagnare il pesce. La cottura è identica per qualsiasi tipo di polenta,per questo vi proponiamo il video per come cuocere la polenta.Un consiglio per non impazzire nel pulire il paiolo: appena rovesciata la polenta mettetelo rovesciato sotto un getto di acqua ghiacciata, lo shock termico farà staccare la crosta. Altrimenti riempitelo di acqua e lasciatelo così per una notte.In un paiolo capiente, possibilmente di rame, mettete a bollire l'acqua.Le dosi sono importanti, perché da queste dipende la consistenza della polenta Nelle cucine del Veneto e soprattutto nelle province di Venezia, di Treviso e di Padova, fino a poche decine d’anni orsono quasi quotidianamente si celebrava il rituale della preparazione della Polenta dove per Polenta si intendeva esclusivamente la Polenta Bianca. È questo uno dei misteri gastronomici che elevato a dogma non è mai stato spiegato compiutamente. Io stesso, ormai quarantenne e figlio di generazioni di mugnai, ricordo se non di rado di avere mangiato della Polenta Gialla preparata da mia madre. Non che mio padre non facesse anche della Farina da Polenta Gialla, ma quest’ultima era destinata ad andare a dei clienti fuori regione o verso le province di Vicenza, Verona e soprattutto in montagna, Belluno in testa. Questa strana spartizione geografica è rimasta fino ai giorni nostri ed anzi ha reso le province di Venezia, Treviso e parte di quella di Padova quasi un enclave del regno della Polenta Bianca. Infatti in tutta Italia e parte anche in Veneto, quando si dice Polenta non è neanche necessario specificare se Gialla o Bianca, data la predominanza della prima. Questo è a parer mio un segreto che noi, amanti solo della Polenta Bianca, dobbiamo custodire gelosamente. In epoca di globalizzazione forzata è incredibile infatti come il resto dell’Italia non si sia ancora reso conto della differenza fra i due tipi di polenta e della ricchezza di questa diversità. La Polenta Bianca ottenuta dalla macinazione di mais bianco, più raro e più costoso del mais giallo, è una Polenta che oltre ad un profumo meno deciso della rispettiva gialla, è più delicata e più rispettosa del piatto che a lei viene accompagnato e da lei esaltato. Come dire che in un connubio gastronomico fa da cavaliere alla portata protagonista. Dal punto di vista nutrizionale, i valori (proteine, grassi, carboidrati, ceneri etc.) quasi si equivalgono tra la Polenta Bianca e quella Gialla. Altra differenza tra i due tipi di Polenta la possiamo riscontrare nel tipo di grana. Solitamente la grana della Farina Bianca è inferiore a quella della Farina Gialla. Per grana si intende la risultante in diametro della rottura e macinazione dei chicchi di mais. La Farina Bramata per Polenta Bianca o Gialla è il prodotto semoloso ottenuto sulla parte vitrea della cariosside del mais ed è usata soprattutto per la Polenta Bianca di migliore qualità. Nel nostro laboratorio agro-alimentare usiamo per la realizzazione della nostra Polenta, esclusivamente Farine Bramate di mais. E a conferma della priorità del consumo della Polenta Bianca sulla Gialla, nella nostra zona, posso affermare che sul totale della nostra produzione annuale, la Polenta Bianca ricopre il 70-80% . Tornando alla discussione della grana più o meno fine della Polenta, probabilmente penso che questo in passato sia stato determinato dalla povertà alimentare delle nostre popolazioni come pure la scelta del tipo di Polenta Bianca o Gialla. Nelle zone montane dove la povertà alimentare era più accentuata era necessaria una Polenta Gialla più grossa di macina, dal gusto più deciso che quasi coprisse il gusto del poco cibo che accompagnava, mentre man mano che si scendeva verso la pianura verso le città, con meno problemi alimentari, la Polenta diventava Bianca, di grana più fine e di gusto più delicato. Questa ovviamente è una mia interpretazione. Mi accorgo pure, quando parlo della superiorità a parer mio della Polenta Bianca sulla Gialla, di iniziare la solita diatriba di lana caprina e allora quando un nuovo cliente mi chiede se è migliore la Polenta Gialla o Bianca, io per non condizionarlo con le mie convinzioni, gli rispondo domandandogli: “È migliore il vino bianco o il vino rosso?”. Ricette :
La polenta bianca è una variante della più nota polenta gialla, diffusa soprattutto nel Veneto, in particolare tra Padova e Treviso. È ottenuta dalla macinazione del raro mais biancoperla, presidio Slow Food, che dona alla preparazione una delicatezza e un sapore del tutto particolari. Per questo si adatta ad essere servita con il pesce, per accompagnarne i sapori senza coprirli. In questo caso, abbiamo utilizzato filetti di merluzzo cucinati in umido con funghi, vino bianco e concentrato di pomodoro. In alternativa al merluzzo, potete utilizzare il pesce bianco che più preferite. Potete anche tentare abbinamenti più arditi con crostacei o molluschi. Vista la cottura prolungata – circa 40 minuti – la polenta è spesso preparata in grandi quantità, e gustata il giorno successivo grigliata, ripassata al forno, o reinventata in mille modi. Si tratta di una ricetta perfetta per il periodo invernale che potete servire durante i pranzi domenicali al posto della classica lasagna alla bolognese o delle tagliatelle al ragù. La polenta bianca nasce dal mais Biancoperla, prodotto autoctono delle province di Venezia, Treviso, Padova, Vicenza, Verona. A differenza di sua cugina la polenta gialla di granoturco è più delicata e proprio per questo portarla in tavola è una sorpresa. Provate a cucinarla pasticciata col formaggio e gratinata in forno oppure a strati mono-porzione come se fosse una lasagna di polenta bianca e formaggio. Il mais e il granoturco sono la stessa cosa Alcuni motivi per cui dovresti assolutamente provare la polenta Gusto: La polenta ha un sapore unico e delizioso, che la rende un’ottima alternativa al riso o alla pasta. Inoltre, può essere abbinata a una vasta gamma di ingredienti, dal formaggio alla carne, ai funghi, alle verdure, per creare piatti gustosi e soddisfacenti. Sazietà: La polenta è una fonte di carboidrati complessi, che forniscono energia a lungo termine e aiutano a mantenere la sensazione di sazietà per un lungo periodo di tempo. Ciò significa che puoi mangiare porzioni più piccole e sentirsi ugualmente sazi. Salute: La polenta è una fonte di fibre e vitamine del gruppo B, che aiutano a mantenere il sistema digestivo sano e a sostenere il metabolismo. Inoltre, la polenta non contiene glutine, quindi è un’ottima opzione per coloro che seguono una dieta senza glutine. Versatilità: La polenta può essere servita in molti modi diversi, da semplice contorno a piatto principale, a base di zuppe o al forno. Ci sono infinite ricette e varianti che puoi provare per scoprire il tuo modo preferito di gustare la polenta. In sintesi, la polenta è un piatto delizioso e versatile che offre numerosi benefici per la salute. Quindi, se non l’hai mai provata, dovresti assolutamente farlo! Sai quanti tipi di polenta ci sono? C’è la Gialla di farina di granoturco, la classica che tutti conosciamo molto bene e troviamo già quasi pronta al supermercato. La Bramata: farina di granturco ottenuta decorticando il grano di mais, delicata e meno granulosa è ottima per i dolci, La Polenta Bianca: farina di mais della pannocchia bianca che spesso viene mescolata con semola di grano o farro, ha un gusto morbido e accompagna perfettamente i piatti di pesce, e la Taragna: è una mescola di farina di granturco e grano saraceno, ha un colore scuro tendente al grigio e un gusto più rustico che lega bene con i formaggi d’alpeggio e le carni brasate. La polenta è un alimento nutriente, digeribile ed equilibrato, da il giusto apporto di vitamine A e PP, carboidrati e proteine ed essendo priva di glutine è ottima per chi ha problemi di celiachia. Millefoglie di polenta bianca col formaggio Gli ingredienti non sono misurati perché variano a seconda del gusto, in ogni caso per 4 persone è necessario 500 g di farina di polenta. polenta bianca fontina Emmentaler o formaggio sottile a fette Provola Gorgonzola burro 4 pirofiline monoporzione Il giorno prima o la mattina per la sera, preparate la polenta bianca seguendo le istruzioni della confezione. Versate la polenta bianca in una teglia o pirofila rettangolare bagnata in precedenza con acqua in modo che una volta versata la polenta bianca questa non si attacchi ai bordi. Fare raffreddare. Imburrate le monoporzioni. Rovesciate la polenta bianca su un tagliere e tagliatela a strisce dello spessore di 1,5 cm l’una. Tagliate a strisce anche la fontina e il gorgonzola. Preparate le monoporzioni in questo modo: una fetta singola di polenta poi la fontina poi di nuovo la polenta poi il gorgonzola ancora polenta poi la fetta di formaggio arrotolata su se stessa e per finire una bella grattugiata di pecorino. Infornate per 20 minuti a 200 C° e buon appetito. MA QUANTO E’ BUONA LA POLENTA PREPARATA ANCHE COSI’ Preparazioni semplici Polenta e latte, un ricordo dei vecchi tempi col gorgonzola, non deve mai mancare un po’ di polenta calda con una fettina di gorgonzola cremoso al fianco fritta, il giorno dopo si taglia a strisce la polenta avanzata e si frigge nell’olio di semi burro e formaggio grattugiato, mettere la quantità di polenta desiderata in una fondina e condirla con fiocchetti di burro fresco e formaggio grattugiato Preparazioni elaborate Polenta bianca con formaggi gratinati, una variante glamour della più tradizionale polenta con formaggio al forno d’accompagnamento polenta con spezzatino, per i giorni più freddi polenta e calamari, per gli amanti del pesce .