Thursday, November 30, 2023

Piani cottura

E' Morto

Le STP, vale a dire le società costituite tra professionisti, possono costituire un’opportunità per lo svolgimento dell’attività professionale potendo fruire delle sinergie dei suoi partecipanti. E’ bene però comprende a fondo anche quali sono i vincoli e i limiti per non incorrere in qualche falsa aspettativa. Il legislatore nel prevedere questa innovativa tipologia di soggetto societario ne ha fornito solo le regole civilistiche, rinviando in modo più o meno puntuale alle tipologie societarie prevista dal codice civile. Non ha però fornito la disciplina fiscale talché sul punto l’Agenzia delle entrate è stata costretta ad esprimersi in via interpretativa. Gli elementi delle STP Le STP si collocano nel contesto della abrogazione oramai datata del divieto di esercizio in forma societaria delle attività di assistenza e consulenza in materia tecnica, legale commerciale, amministrativa, contabile o tributaria, di cui all’art. 2 della legge 1815/1939. Va tenuto conto che al momento, in ambito professionale, coesistono tre diverse tipologie societarie che non sono tuttavia esattamente sovrapponibili: “Società tra professionisti” (STP) – art. 10, comma da 3 a 11, della legge n. 183 del 2011; “Società tra avvocati” – art. 4 bis della legge n. 247 del 2012; “Società tra avvocati” – (STA) – art. 16 e ss del D.lgs. n. 96 del 2011. In questo contributo ci occupiamo solo delle STP – società tra professionisti. La STP nella normativa codicistica La legge 12 novembre 2011, n. 183, con l’articolo 10, commi da 3 a 11, ha introdotto nel nostro ordinamento la società tra professionisti (STP) la quale può operare nel settore di una o più attività professionale laddove sia previsto l’obbligo di iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico. Il DM Giustizia n. 34/2013 dell’8 febbraio 2013 ha definito i contorni attuativi. Secondo il Notariato del Triveneto, l’oggetto sociale delle STP deve essere limitato esclusivamente all’attività professionale (o alle attività professionali in caso di STP costituita per l’esercizio di più attività professionali) in funzione all’esercizio della quale (o delle quali) sono costituite. Al riguardo si ritiene che nella STP debba essere presente nella compagine sociale almeno un socio professionista, legalmente abilitato, per ogni attività professionale dedotta nell’oggetto sociale. In definitiva la STP può essere costituita rivestendo la forma di qualsivoglia soggetto societario conosciuto dal codice civile e dunque: società semplice; società in nome collettivo; società in accomandita semplice; società a responsabilità limitata società a responsabilità limitata semplificata (soci solo persone fisiche); società per azioni società in accomandita per azioni; società cooperative (il numero dei soci non può essere inferiore a 3).
Circa la possibilità che la società rivesta la forma di società a socio unico si registrano posizioni non concordi tra Consiglio Nazionale DDCC (contrari) e il Notariato del Triveneto (favorevoli, ovviamente nelle sole società di capitali). La ragione/denominazione sociale della STP deve contenere l’indicazione di “società tra professionisti” o la sigla (STP) e nell’ipotesi di società di persone anche indicare il nome dei soci responsabili che non necessariamente devono essere professionisti; va poi aggiunto il suffisso in relazione alla tipologia scelta (Spa, Srl, Snc, etc.). L’art. 7, comma 1 del citato D.M. n. 34/2013, stabilisce che la STP vada iscritta nella apposita Sezione Speciale del registro delle imprese (articolo 16, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96). Al riguardo il Notariato del Triveneto (Orientamenti societari 9/2013 – Q.A.4) ritiene che la società veda comunque anche iscritta nel Registro delle Imprese ordinario. Inoltre, la società multidisciplinare deve essere iscritta presso l’albo o il registro dell’ordine o del collegio professionale relativo alla attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo. I soci possono anche non essere professionisti I soci della STP possono essere: professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, nonché cittadini UE in possesso del titolo di studio abilitante; non professionisti. I soci non professionisti a loro volta si distinguono in due categorie: coloro che svolgono prestazioni tecniche (strumentali, accessorie o di supporto organizzativo, quali ad esempio, softweristi, segretarie, amministrativi); coloro che apportano solo capitale per finalità di investimento ma non svolgono attività nell’ambito societario (sono ammessi anche soggetti societari). I soci professionisti devono avere i 2/3 dei voti, ma non necessariamente i 2/3 del capitale sociale, dal che deriva che i soci non professionisti possono detenere più di 1/3 del capitale sociale sempre che le quote eccedenti 1/3 non consentano l’esercizio del diritto di voto (Consiglio Notarile del Triveneto Orientamenti societari 9/2013 – Q.A.). La disposizione in commento consente di fatto alcune situazioni composite posto che: è possibile che un socio professionista intervenga in qualità di mero socio investitore senza per questo essere coinvolto dell’attività professionale delle società; alla società possono partecipare professionisti e anche oggetti che svolgono prestazioni tecniche e ausiliare senza che vi siano soci meri investitori. Si può anche configurare l’ipotesi in cui il socio professionista investitore possegga la maggioranza dei diritti di voto e che quindi sia in grado di nominare l’organo amministrativo, nonostante non svolga poi alcuna attività professionale nell’ambito della STP. Quel che risulta chiara dalla norma è che la partecipazione ad una STP risulta incompatibile con la partecipazione ad altra STP, tanto per il socio professionista quanto per il socio per finalità d’investimento o per prestazioni tecniche. L’assunzione dell’incarico e l’amministrazione della STP Il Notariato del Triveneto rileva l’assenza di limiti legali circa la composizione dell’organo amministrativo talché il medesimo può essere composto da chiunque è può pertanto essere formato, anche per intero, da non professionisti ovvero da persone giuridiche. Ciò detto, l’articolo 4 del predetto decreto attuativo stabilisce che all’atto del primo contatto con il cliente, la società deve informarlo: sul suo diritto di ottenere la prestazione da uno specifico professionista (o più) facente parte della società; sulla possibilità (è evidente in alternativa a quanto precede) che l’incarico sia svolto da uno qualunque dei soci che possiedono i requisiti per l’esercizio dell’attività professionale; sulla esistenza di conflitti di interesse tra cliente e società derivanti dalla presenza di soci con finalità di investimento (s’immagini il socio finanziatore, che può anche essere una società, il quale svolge una attività d’impresa in concorrenza con il cliente). STP e fisco L’agenzia delle entrate in risposta a interpello 954-55/2017 ha chiarito che il reddito della STP, posto che è prodotto da una società, è da considerarsi reddito d’impresa. D’altronde va detto che una interpretazione difforme avrebbe determinato difficoltà di gestione fiscale pressoché insormontabili in assenza di una norma specifica riservata alla nuova tipologia societaria. L’interpretazione è poggiata sull’art. 6, comma 3, Tuir, letto in abbinamento con gli artt. 81, comma 1, e 73, comma 1, lettere a) e b), i quali prevedono che il reddito prodotto dalle S.n.c., S.a.s., Società di capitali e cooperative è considerato reddito di impresa “da qualsiasi fonte provenga”. Ovviamente resta esclusa la collaudata società semplice laddove il reddito resta di lavoro autonomo. La logica conseguenza di tale interpretazione è che ad eccezione della società semplice, le fatture emesse dalla STP non devono evidenziare la ritenuta d’acconto, poiché la prestazione si pone al di fuori dell’articolo 25 del D.P.R. n. 600/1973. La qualificazione come reddito d’impresa rileva coerentemente anche ai fini Irap. La migrazione da associazione tra professionisti a STP I professionisti che già esercitano l’attività in forma individuale o in uno studio associato possono transitare alla forma di STP mediante: la “trasformazione” dello studio associato in “società tra professionisti”; il “conferimento” dell’attività svolta in forma individuale o associato in “società tra professionisti” o “società tra avvocati”. La possibilità di conferimento dello studio professionale in una società di persone o di capitali è stata ratificata dall’Agenzia delle entrate di due diverse occasioni. Sul punto con la circolare n. 8/2009 e la risoluzione n. 177/2009, a breve distanza di tempo tra loro, hanno chiarito preliminarmente che la cessione dello studio professionale comporta l’emersione di un reddito di lavoro autonomo disciplinato dall’ articolo 54 comma 1 – quater del Tuir il quale stabilisce che “concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”. Ebbene, considerato che il conferimento, in base all’articolo 9 del Tuir è operazione assimilata alla cessione, il timore è che l’operazione divenisse “plusvalente”: invece, l’agenzia delle entrate ha chiarito che ricorrendo specifici presupposti il conferimento di cui trattasi è neutrale dal punto di vista reddituale. Le condizioni sono che: 1) al momento del conferimento dello studio nella STP non sia prevista alcuna remunerazione al professionista conferente, al di là del fatto che ovviamente il conferente ottenga la partecipazione nella costituenda STP in contropartita del conferimento. 2) in caso di recesso del socio che a suo tempo ha conferito lo studio professionale sia previsto statutariamente che al medesimo non competa alcuna somma a titolo di remunerazione della sua fuoriuscita dall’ente collettivo.

Monday, November 27, 2023

Pompe pressione

Tado Cronotermostato

Pressione acqua

1/8 – Introduzione Il problema della pressione dell’acqua, è molto comune negli impianti domestici. Aumentare la pressione dell’acqua spesso è un compito scoraggiante in quanto ci sono molte cause che riducono la pressione dell’acqua, ma esistono anche molti rimedi sorprendentemente semplici che possono essere applicati in maniera autonoma. Ecco una guida su come aumentare la pressione dell’acqua senza utilizzare un’autoclave. 2/8 Occorrente Serbatoio in vetroresina, tubo sanitario 3/8 – Controllare la pressione dell’impianto idraulico Iniziamo dicendo che una pressione insufficiente, o comunque bassa, in un impianto idraulico di una abitazione, normalmente e’ un problema di natura idrostatica e non dipendente dalle tubature. In genere, sebbene vari da comune a comune, la pressione minima per il buon funzionamento di un impianto idraulico casalingo dovrebbe aggirarsi da 0,3 a 0,8 atmosfere. Valori superiori possono risultare dannosi. 4/8 – Utilizzare il sistema a caduta Un metodo infallibile per risolvere questo problema è sicuramente il sistema a caduta. Innanzitutto è necessario individuare il punto più alto dell’unità abitativa dove posizionare un serbatoio di accumulo. Bisogna creare un sistema di collegamento per il flusso dell’acqua, creato dalla naturale caduta per far aumentare considerevolmente la pressione senza utilizzare l’energia elettrica. Una volta individuato il luogo dove sistemare l’accumulo, acquistare un serbatoio possibilmente in vetroresina, corredato da galleggiante interno e un rubinetto d’uscita regolabile, da collegare all’impianto. 5/8 – Sistemare il serbatoio Sistemare il serbatoio nell’area adibita e collegare un tubo sanitario che parte dal contatore dell’acqua e arriva direttamente all’interno del serbatoio, collegato al galleggiante che regolerà l’afflusso dell’acqua; questo tubo servirà per il riempimento dell’accumulo. Un altro tubo sarà montato al rubinetto d’uscita del serbatoio e all’innesto cardine dell’impianto idrico. 6/8 – Riempire il serbatoio Aprire la manopola del contatore per far riempire il serbatoio. L’erogazione si arresterà automaticamente quando il galleggiante chiuderà la valvola dell’acqua. Quando il serbatoio sarà pieno, aprire il rubinetto regolatore posizionato in basso e collegato all’impianto, quindi aprire un rubinetto qualsiasi all’interno dell’abitazione per verificare se la pressione è aumentata. 7/8 – Regolare la pressione dell’acqua La pressione dell’acqua è regolabile direttamente dal rubinetto d’uscita del serbatoio collegato all’impianto. In questo modo, più il rubinetto viene aperto, maggiore sarà la pressione dell’acqua. Man mano che diminuisce l’acqua nel serbatoio, il galleggiante scenderà e attiverà la valvola che permetterà il riempimento dell’accumulo. In questo modo, si potrà evitare di installare un’autoclave che provocherebbe un consumo maggiore di energia elettrica. 8/8 Consigli Far eseguire il lavoro da un idraulico qualificato

Pressione Caldaia

Argomenti: caldaie, regolazione Alle volte le caldaie presentano piccoli problemini che però causano il blocco della caldaia. Se stai leggendo questo articolo sicuramente è ciò che ti sarà capitato e stai vedendo come aumentare la pressione della caldaia. Ora ti spieghiamo come fare per regolarla al meglio. aumentare la pressione della caldaia Saper regolare la pressione della caldaia Semplice e veloce anche per i meno esperti, la regolazione della pressione della caldaia, è un gesto importante che si rivela indispensabile laddove la caldaia vada in blocco all’improvviso. Spesso infatti la causa di un blocco è proprio dovuto alla mancanza di pressione dell’acqua che garantisce il corretto funzionamento della caldaia, sia per ottenere l’acqua calda, sia per avere i termosifoni accesi e ben funzionanti. Non serve essere un tecnico esperto e neppure avere grandi competenze in materia di idraulica, è sufficiente leggere il libretto di istruzioni e manutenzione che ogni caldaia possiede e che viene sempre fornito in fase di acquisto e installazione. Pochi semplici gesti e il blocco caldaia non è più un problema Sfogliando le pagine relative ai guasti comuni e al buon funzionamento della caldaia si scopre infatti che la regolazione della pressione è fondamentale affinché la caldaia non abbia problemi di funzionamento. Qualsiasi sia il modello di caldaia che abbiamo nel nostro appartamento è piuttosto semplice e intuitivo poter aprire lo sportello dell’armadietto che la contiene e verificare dove è collocato un piccolo rubinetto che porta acqua all’impianto. Il rubinetto (blu o nero a seconda dei modelli di caldaia) posizionato generalmente alla base della caldaia consente di aumentare la pressione dell’acqua che deve sempre rimanere costante tra l’indicatore 1 e il 2. Solitamente è proprio la freccetta indicata sul display della pressione (in gergo parliamo di manometro) che ci indica dove va posizionata correttamente. Aprendo piano il rubinetto si può far salire tale pressione al livello desiderato. A volte basta davvero poco perché l’impianto è solo rimasto fermo durante la bella stagione. Il giusto livello di pressione dell’acqua nell’impianto Nessuna preoccupazione se per sbaglio il livello sale oltre l’indicatore e supera il numero massimo indicato solitamente con il numero 2. Infatti così come aumentare la pressione della caldaia, abbiamo anche scritto un articolo su come abbassarla. alzare pressione dal manometro Nel caso in cui tu voglia abbassarla sarà possibile togliere un pochino di acqua dall’impianto semplicemente sfiatando i termosifoni. Ogni termosifone ha una sua piccola valvola di sfogo in alto dalla quale si può far uscire l’aria che impedisce il riscaldamento completo e l’acqua che può risultare in eccesso. L’operazione è davvero semplice e intuitiva e non occorre spaventarsi perché è proprio questo problema di pressione che a volte può far fermare la caldaia all’improvviso. Ovviamente se dopo aver messo a livello la pressione e resettato la caldaia quest’ultima non dovesse funzionare, allora sì, sarà necessario chiedere un intervento di assistenza tecnica.

Friday, November 24, 2023

ADDIO ALLA TESI DI LAUREA PER LE "TRIENNALI"

Addio alla tesi per la laurea triennale: ecco la 'Maturità accademica' Nella città emiliana, dunque, stop alla tesi o agli elaborati "fatte col copia-incolla da Internet". di Andrea Carlino 12 Dicembre 2016 Niente più tesi per le lauree triennali. Una scelta che sta accomunando diversi atenei d'Italia. A Bologna, ad esempio, nel corso di laurea in Economia, mercati e istituzioni si fa un esame uguale per tutti i corsi. studentessa con libriQuesto non è l'altro che l'effetto (prevedibile sul lungo periodo) della riforma universitaria del 3+2, cioè quella semplificazione del sistema italiano per avvicinarlo a quello degli altri paesi europei. Un modo per immettere più velocemente i ragazzi nel mondo del lavoro e accrescere il numero dei laureati. Nella città emiliana, dunque, stop alla tesi o alle tesine "fatte col copia-incolla da Internet". Ci sarà una prova stile Maturità: titoli scelti dalla commissione d’esame su argomenti anticipati due mesi prima e alcune ore di tempo per svolgere la traccia. Esplode subito la polemica con i professori favorevoli e i ragazzi contrari. A "La Repubblica", Valerio Tuccella, rappresentante in senato accademico del collettivo di Economia, afferma che "la tesi è una tappa importante del percorso di studi triennale, un momento di espressione reale e di allargamento personale delle frontiere del sapere". Non la pensa allo stesso modo il coordinatore del corso: "Arrivavano lavori abborracciati, scritti all’ultimo minuto e purtroppo in più casi abbiamo riscontrato problemi di copiature, testi fatti col copia e incolla da Internet". Un’altra ragione avanzata dai professori della triennale è l’aumento degli iscritti: le matricole in cinque anni sono raddoppiate, passando da 110 a 226. Questo ha comportato un aumento del carico didattico, tra l’altro diviso in modo iniquo: chi seguiva due tesine, chi venti, chi arrivava a quaranta. "In questo modo il lavoro sarà uguale per tutti". Anche la laurea sarà un esame Addio dunque a cerimonie di proclamazione, lacrime, baci, spumanti e feste individuali. Ci sarà un'unica cerimonia da svolgere una volta l'anno. Da un lato la velocità, il risparmio di tempo e di risorse, dall'altro l'ammissione (più o meno velata) che i primi tre anni di università non valgono una vera e propria laurea. In effetti parlare di tesi per un elaborato di una cinquantina di pagine sembra ormai esagerato. Da più di 15 anni la prova finale è un elaborato da discutere davanti ad una commissione: dai 3 ai 6 crediti per massimo 150 ore di lavoro. Un lavoro più che altro compilativo, non sperimentale e di ricerca. La scelta del corso di laurea di Economia a Bologna è già stata adottata da altri corsi: Dams di Bologna, Bocconi, Ca’ Foscari, Palermo, Bicocca di Milano, Facoltà di Studi Umanistici della Statale di Milano e Facoltà di Studi Internazionali di Forlì, tanto per citarne alcuni. Gli studenti, soprattutto quelli che non proseguono gli studi, lamentano la perdita di occasione per lasciare spazio alla propria creatività e di dare una soddisfazione ai propri parenti e amici. Una scelta che presto potrebbe essere adottata da altri atenei. L'importante sarebbe quello di ascoltare la voce degli studenti, i veri coinvolti in questo cambiamento.

Friday, November 17, 2023

Caldaie a Gas

Cosa succede nel 2029 con le caldaie a gas? Oggi vi vogliamo parlare della nuova normativa: caldaie a gas proibita l’installazione dal 2029! Un annuncio importante che lascia prevedere un cambiamento sostanziale, ma è davvero così?” Contenuti [Mostra] Nuova normativa: caldaie a gas proibita l’installazione dal 2029, ecco cosa c’è da sapere, d’importante! L’uso del condizionale è d’obbligo, non a caso quasi tutte le testate giornalistiche che propongono questo tipo di articoli scrivono “potrebbero”. Se qualcuno pensa che le caldaie a gas dal 2029 non esisteranno più, si sbaglia di grosso! Siamo oramai abituati a sentire di tutto da quelli che sono gli organi d’informazione ma le cose vanno capite e lette attentamente. Hai appena cambiato la caldaia e hai scelto proprio quella a gas? Non ti preoccupare non dovrai cambiarla un’altra volta. Chiaramente nell’arco di 7 anni, la vostra caldaia potrebbe anche capitare che sia da sostituire ma cerchiamo di capire cosa “suggerisce” la nuova normativa. La nuova normativa UE Nuova normativa: caldaie a gas proibita l’installazione dal 2029 Per abbandonare il gas russo, la Commissione europea vuole porre fine alle vendite di caldaie a combustibili fossili entro il 2029. Alcuni esperti ripongono nuove speranze sulle pompe di calore geotermiche. Nell’ambito della sua proposta REPowerEU per porre fine alle importazioni russe di combustibili fossili, la Commissione europea ha annunciato un aumento del suo obiettivo di efficienza energetica per il 2030 dal 9% al 13% il 18 maggio 2022. Parte del raggiungimento di questa ambizione sarà raddoppiare il roll-out delle pompe di calore, con l’obiettivo di vietare le caldaie a gas entro il 2029, e di integrare la geotermia e il solare termico negli impianti di teleriscaldamento e comunali modernizzati. Il piano L’Agenzia internazionale dell’energia calcola che le caldaie a gas “dovrebbero” essere vietate entro il 2025 affinché l’UE sia sulla buona strada per i suoi obiettivi climatici per il 2030. Il nuovo obiettivo del 13% di efficienza energetica per il 2030, pur essendo un passo avanti rispetto all’originario 9%, non è ancora al di sotto del 19-23% minimo richiesto per sbloccare il pieno potenziale di risparmio energetico dell’UE, secondo una recente relazione del Istituto Fraunhofer per i sistemi e l’innovazione. La geotermia può riscaldare l'Europa? L’energia geotermica è spesso respinta come esclusiva dei paesi che si trovano sui confini tettonici, come la Turchia o il Messico, dove il calore scorre più vicino alla superficie terrestre. Il potenziale energetico in quei paesi (chiamato geotermico profondo) è enorme e non è facilmente accessibile in Europa. Tuttavia, un altro tipo, quello geotermico superficiale, può essere estratto da una pompa di calore geotermica (GSHP) per fornire una fonte di calore stabile e altamente produttiva agli edifici europei. Il piano della Commissione di integrare l’energia geotermica nei suoi sistemi di teleriscaldamento si riferisce a tutte le forme di energia geotermica; il ruolo specifico della geotermia profonda non è stato ancora chiarito. Il settore del riscaldamento e del raffreddamento dell’UE, che rappresenta la metà del consumo totale di energia del blocco, funziona ancora con il 75% di combustibili fossili. Continua a leggere e se hai domande specifiche o problemi con la tua caldaia a gas, parliamone! Chiama lo 0283595649! Le possibili alternative al GAS
Le pompe di calore sono un’alternativa interessante alle tradizionali caldaie a gas perché funzionano con elettricità, il che offre il potenziale per essere al 100% a zero emissioni di carbonio (il mix elettrico dell’UE è già composto per il 63% da fonti rinnovabili e nucleare). Anche se sfruttasse l’elettricità generata da combustibili fossili, le pompe di calore lascerebbero comunque solo la metà delle emissioni delle caldaie a gas. Le pompe di calore Funzionano estraendo calore dall’ambiente (sorgenti di terra, aria o acqua) e concentrandosi in un edificio. Sono fino a sei volte più efficienti dal punto di vista energetico rispetto alle tradizionali caldaie a gas. Il meccanismo può essere invertito nella stagione calda per fornire anche il raffreddamento. Le GSHP sono più efficienti delle pompe di calore ad aria (ASHP) perché trasferiscono il calore dal suolo attraverso il movimento dell’acqua, che trattiene quattro volte più calore dell’aria. Le pompe di calore ad acqua (WSHP) tendono a essere le più efficienti di tutte. Ciò a causa del vantaggio aggiuntivo che le temperature medie dell’acqua sono più alte e più stabili durante tutto l’anno rispetto a quelle dell’aria e del suolo. Le ASHP tendono a essere la scelta più popolare di pompa di calore in Europa perché sono le più economiche e facili da installare. In questo scenario, ogni famiglia richiederebbe solo una pompa di calore simile alle dimensioni di una caldaia a gas convenzionale. I fornitori di servizi collaboreranno con i residenti delle strade e le amministrazioni comunali per ottenere l’approvazione per gli investimenti in queste reti condivise. “L’energia geotermica (in tutte le sue forme) può sostituire circa la metà del calore nell’industria residenziale e a temperature medio-basse entro il 2030”. Afferma Sanjeev Kumar, capo della politica presso il Consiglio europeo per l’energia geotermica. Ostacoli della pompa di calore Poiché l’energia geotermica non è stata ancora ampiamente incorporata nei singoli sistemi di riscaldamento domestico e di teleriscaldamento dell’UE, un grande divario di competenze minaccia l’eliminazione graduale delle caldaie a gas entro il 2029. “L’attuale attesa in Germania per un installatore di pompe di calore è da sei a otto mesi,” sottolinea Sabbadin. “La carenza di professionisti negli Stati membri dell’UE significa l’urgente necessità di un piano di formazione unificato e certificato per gli installatori di pompe di calore“. A conti fatti… In Italia si incomincia a parlare ma il condizionale è d’obbligo quando si parla della nuova normativa: caldaie a gas proibita l’installazione dal 2029! Chi è più avanti, come il Senato degli Stati Uniti, sta ancora discutendo un disegno di legge che incentivi le installazioni di pompe di calore. Il Regno Unito invece spera di installare 600.000 pompe di calore entro il 2028 e di eliminare gradualmente le caldaie a gas entro il 2035. Tuttavia, come l’UE, le ambizioni del Regno Unito sono minacciate dalla carenza di manodopera qualificata e mancanza di investimenti. Anche i paesi che pagano per le politiche a sostegno dell’energia pulita o di questioni sociali come la povertà energetica ostacolano la fattibilità delle pompe di calore. Nell’UE e nel Regno Unito, queste tasse vengono applicate sulle bollette dell’elettricità più di quelle del gas, il che significa che le pompe di calore finiscono per essere più costose rispetto alle caldaie a gas.

Certificatori

Verde

Il corso si basa sul presupposto del diretto rapporto esistente fra la produ- zione della complessità strutturale dell’artificiale, nelle più diverse specifi- cazioni spazio-temporali, e concezione dei “modi di essere” del Cosmo nelle culture umane. Rapporti socio-culturali, organizzazioni formali-figurali dell’habitat e rap- presentazioni delle dinamiche celesti costituiscono un articolato, inscindi- bile intreccio dal quale poter ricostruire i processi culturali come “strutture profonde ”dell’umano “segnare” la Terra. Dalla “invariante” dell’eterno ritorno, configurata nella centralità indiscussa delle concentriche sfere, alla progressiva storicistica appropriazione delle leggi fondamentali di base del positivismo come ricerca della verità asso- luta, configurate dall’inarrestabile percorso della “freccia del tempo”, alla continua dialettica non biunivocamente determinata fra ordine e disordine, fra Cosmo e caos, configurata da rappresentazioni oscillanti fra “ritrovata” centralità e rizomatiche articolazioni; tutte, tali concezioni, hanno proietta- to un’impronta riconoscibile, e tale impronta tende a costituire la comples- sa architettura del paesaggio. La fisionomia del “vivente - terra” è attualizzazione non mai conclusa delle energie endemiche espresse nel proprio ridefinirsi “antico” in rapporto alla “componente” umana manifestantesi in un processo di appropriazione dello spazio, altrimenti “denotato”come produzione dell’artificiale. Il Corso cercherà di mettere gli studenti in grado di cominciare a rapportarsi con tali problematiche, in particolare attraverso il tentativo di far “riemergere” le potenzialità della forza dell’intuizione attraverso la proposizione di un metodo euristico basato sulla emozionalità indotta da molteplici configura- zioni segniche “alte” della progettualità umana: e ciò in particolare quando queste “investano” la “vastità” dei paesaggi. Si passerà quindi alla possibile proposizione progettuale di un segno complesso (progetto a grande scala) che “documenti” il rapporto inne- scantesi fra lo studente/ progettista ed uno specifico quadro ambientale di riferimento. Riconoscendo nelle ineludibili correnti normative della compo- nente antropica a carattere pervasivo il fenomeno emergente a più forte impatto perturbativo, particolarmente nel contemporaneo, si cercherà di registrarne e codificarne “porti” insediativi configurazionali in un bacino particolarmente connotato da estese dinamiche naturali; dinamiche natu- rali ed umane inscindibilmente conformano il paesaggio.
Da sempre campo preferenziale per le ricerche sullo spazio architettoni- co, il progetto del giardino consente la scoperta di nuovi scenari e nuove tendenze. A partire dal commento di una ampia casistica di progetti di parchi e giar- dini contemporanei italiani ed europei, e con approfondimenti sulla storia dei giardini e dei parchi, il corso si prefigge l’obiettivo di indagare le molte tematiche che ruotano attorno al rapporto tra Architettura Storia e Natura. La poetica dei giardini, la cattura dell’infinito, le “collezioni” di paesaggi, Land Art, le esperienze di A. Geuzze, D. Kienast, Y. Brunier, M. Cou- rajoud, G. Clément sono alcuni dei temi e degli autori trattati. Siti, luoghi, paesaggi del “territorio storico” romano costituiscono il terreno di indagine per la conoscenza, la ricerca e il progetto di spazi aperti e giardini contemporanei. Particolare attenzione è dedicata all’indagine e al progetto dell’assetto paesaggistico di siti archeologici, ritenuti elementi cardine per la compren- sione e la riqualificazione del territorio. Il corso propone un percorso articolato di sperimentazioni progettuali assegnando particolare rilievo anche alle sperimentazioni pratiche. Il corso si articola per fasi: - lezione di inquadramento; - workshop e comunicazioni di esperti su specifici temi di ricerca; - applicazioni delle ricerche su aree/studio scelte annualmente. Si suggerisce di visitare il sito del Corso dove, oltre al programma esteso, sono presentate le attività di ricerca, le lezioni, i lavori e i contributi degli studenti e i links a molti siti e scuole di Paesaggio: http://w3.uniroma3.it/didattica/facolta/archit/corsi/arch_giardini/sito/index.htm

Conto "Termico"

Versione acqua calda sanitaria

Thursday, November 16, 2023

Camini

Scambiatore

Scambiatore al Condominio di via Emmanueli nr. 6 posizionato e avviato il 15/11/2023

L’assessore ai Lavori pubblici Matteo Bongiorni ha reso nota la “mappa” relativa alla situazione dei cantieri per lo sviluppo delle rete di teleriscaldamento a Piacenza, con tempistiche e stato di avanzamento dei lavori. -Via Santa Franca: completato e asfaltato (cantiere smantellato completamente) già dal 7 luglio scorso. -Piazzale Genova (tratto che va dal Pubblico Passeggio a via Genova): completamento lavori stimato al 31 agosto. Lo stato di avanzamento del cantiere è attualmente al 50%: è in corso il completamento della predisposizione di allacciamento del liceo “Respighi” e nei prossimi giorni verrà realizzato lo scavo di attraversamento della rotatoria posta all’intersezione con via IV Novembre in direzione via Genova. -Viale Pubblico Passeggio (tratto che va da piazzale Genova a via Giordani, circa 500 metri): la realizzazione del cantiere è prevista a tratti discontinui, sfasati temporalmente l’uno dall’altro, non interferenti con le manifestazioni programmate nel mese di settembre (Mercato Europeo dal 16 al 18 settembre e un altro evento il 24 settembre). Complice anche la chiusura delle cave e degli impianti di produzione di bitume nella settimana di Ferragosto (circa 10 giorni), il tratto attualmente in corso da piazzale Genova (circa 100 metri) sarà completato e asfaltato entro l’8 agosto, dopodichè sospeso per poi riprendere da lunedì 21 agosto. -Via Fulgosio: completamento lavori stimato venerdì 4 agosto, prima della riapertura completa al traffico. -Via Vitali (tratto da Perletti a Emmanueli, circa 500 metri): completamento dei lavori stimato al 31 ottobre. Lo stato di avanzamento del cantiere è attualmente al 5%: complice anche la chiusura delle cave e degli impianti di produzione bitume nella settimana di ferragosto (circa 10 giorni), il tratto attualmente in corso da via Perletti sarà completato e asfaltato entro il 10 agosto, dopodichè sospeso per poi riprendere da lunedì 21 agosto.
Gruppo acqua calda, uso sanitario -Via Casella: completamento lavori stimato al 9 agosto. Lo stato di avanzamento del cantiere è attualmente al 90%. -Via Emmanueli (tratto da Vitali a Raffalda, circa 700 metri): cantiere in corso nel tratto compreso fra via Morigi e via Arrigoni (circa 200 metri) con completamento previsto il 31 agosto: si è data la priorità ai lavori da svolgersi nel tratto antistante la scuola “Pezzani”. Successivamente, da lunedì 4 settembre, il cantiere proseguirà in direzione via Vitali con durata prevista fino al 30 novembre. -Via Mutti (tratto di circa 100 metri): programmato dal 4 settembre, durata circa 15 giorni.

Monday, November 13, 2023

SENTENZA TAR

CHI DEVE FARE L'ANNO DI PROVA nelle NOSTRE SCUOLE

Chi deve svolgere l’anno di formazione e prova? In accordo con la disposizione del primo comma dell’articolo 2 del Decreto Ministeriale 226/2022, devono effettuare l’anno di formazione e prova: Scarica Dossier i docenti al primo anno di servizio con incarico a tempo indeterminato, a qualunque titolo conferito, che aspirino alla conferma nel ruolo; i docenti per i quali sia stata richiesta la proroga del periodo di formazione e prova o che non abbiano potuto completarlo negli anni precedenti. In ogni caso la ripetizione del periodo comporta la partecipazione alle connesse attività di formazione, che sono da considerarsi parte integrante del servizio in anno di prova; i docenti che, in caso di mancato superamento del test finale e di valutazione negativa, devono ripetere il periodo di formazione e prova; i docenti per i quali sia stato disposto il passaggio di ruolo; i docenti vincitori di concorso, che abbiano l’abilitazione all’insegnamento o che l’acquisiscano ai sensi dell’articolo 13, comma 2 del Decreto Legislativo del 13 aprile 2019, n. 59 e ss.mm., che si trovano al primo anno di servizio con incarico a tempo indeterminato; i docenti assunti a tempo determinato in attuazione delle procedure di cui all’articolo 5, commi da 5 a 12, del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 2023, n. 74; i docenti assunti a tempo determinato in attuazione delle procedure di cui all’articolo 59, comma 9-bis, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73. Qualora il personale interessato abbia già esperito positivamente il periodo di formazione e prova nello stesso ordine e grado, sarà comunque tenuto ad acquisire i 5 CFU di cui all’articolo 18 del Decreto ministeriale 22 aprile 2022, n. 108. Chi non deve svolgere l’anno di formazione e prova? Il Ministero dell’Istruzione e del Merito sottolinea altresì coloro che sono dispensati dall’adempimento dell’anno di formazione e prova. Qui figurano gli insegnanti che: che abbiano già svolto il periodo di formazione e prova o il percorso FIT ex DDG 85/2018 nello stesso grado di nuova immissione in ruolo sia su posto comune che di sostegno; che abbiano ottenuto il rientro in un precedente ruolo nel quale abbiano già svolto il periodo di formazione e prova o il percorso FIT ex DDG 85/2018; già immessi in ruolo con riserva, che abbiano superato positivamente l’anno di formazione e di prova ovvero il percorso FIT ex D.D.G. 85/2018 e siano nuovamente assunti per il medesimo ordine o grado; che abbiano ottenuto il trasferimento da posto comune a sostegno e viceversa nell’ambito del medesimo grado; che abbiano ottenuto il passaggio di cattedra nello stesso grado di scuola. Sono ricompresi nella categoria in esame coloro che hanno concluso positivamente l’anno di formazione ed il periodo di prova a seguito di selezione di nomina finalizzata all’immissione in ruolo e siano successivamente immessi in ruolo su classe di concorso del medesimo grado di scuola sulla base di una diversa procedura selettiva. Come superare il periodo di prova? In base al Decreto Ministeriale numero 226/2022, è obbligatorio completare il periodo di formazione e prova. Esso è soggetto a vincoli specifici. Infatti, durante l’anno scolastico, è necessario svolgere almeno 180 giorni di servizio. Di questi, almeno 120 giorni devono essere destinati alle attività didattiche. Il superamento richiede anche la partecipazione successiva a un esame finale. Inoltre, coloro che sono coinvolti in questo processo devono ottenere una valutazione positiva per il percorso di formazione e il periodo di prova in servizio. Rimane in vigore l’obbligo di completare 50 ore di formazione, come stabilito. Tuttavia, i 180 giorni di servizio e i 120 giorni di attività didattica sono ridotti proporzionalmente. Ciò vale per i docenti con una prestazione o un orario inferiore sulla cattedra o il posto. È importante notare che gli insegnanti ancora da reclutare attraverso il concorso straordinario bis devono rispettare i requisiti di servizio. Questi requisiti consistono in un totale di 180 giorni, di cui 120 dedicati alle attività didattiche. Sono informazioni cruciali da tenere in considerazione. Periodo prova concorso straordinario TER I futuri insegnanti stanno attendendo con ansia il concorso straordinario TER. Si chiedono se, anche in questa circostanza, sarà previsto un periodo di formazione e prova. Una volta ottenuta l’abilitazione, i partecipanti saranno destinati alla scuola di assegnazione per un periodo di tre anni accademici. Nel corso del primo anno, verranno assunti a tempo indeterminato. È proprio in questo periodo che saranno chiamati a svolgere il periodo di prova. Se superati con successo, saranno vincolati alla stessa scuola per i successivi due anni.

Friday, November 10, 2023

La nascita degli Ordini provinciali, sebbene sancita tra 1923 e 1925, ha radici che affondano negli anni postunitari, quando i tecnici, sebbene non tutti d’accordo, iniziano a discutere di tutela del titolo, concorsi, tariffe ed esercizio della professione Gli Ordini professionali degli ingegneri e degli architetti nascono ufficialmente nella prima metà degli anni venti del Novecento: nel 1923 e nel 1925 vengono infatti emanati la Legge 1395 (“Tutela del titolo e dell’esercizio professionale degli Ingegneri e degli Architetti”) e il Regio Decreto 2537 che, ancora oggi sostanzialmente in vigore, istituiscono gli Ordini, fissando il loro funzionamento e l’oggetto e i limiti delle competenze delle due professioni. Legge e Decreto stabiliscono anche i requisiti per l’iscrizione (essere in possesso di una laurea e avere superato l’Esame di Stato) e le “attribuzioni” dei neonati Consigli dell’Ordine (articolo 5 della Legge 1395/1923), che sono (solo) quattro: il primo è la formazione e l’annuale revisione e pubblicazione dell’albo; il secondo riguarda l’importo del contributo annuale dovuto dagli iscritti per le sue spese di funzionamento, previo stesura dei bilancio consuntivo e preventivo; l’emissione di pareri su controversie professionali e su liquidazione di onorari e spese è il terzo; il quarto e ultimo, il più importante ma oggi il più frainteso, afferma che il Consiglio dell’Ordine, e l’Ordine di conseguenza, “vigila alla tutela dell’esercizio professionale, e alla conservazione del decoro dell’Ordine, reprimendo gli abusi e le mancanze di cui gli iscritti si rendessero colpevoli nell’esercizio della professione”. 1861 – 1923: il cammino verso l’istituzione La Legge e il regolamento attuativo inserito nel Regio Decreto sono il punto di arrivo di un processo che affonda le radici nell’Italia post unitaria, quando una categoria di tecnici geograficamente divisa inizia a conoscersi, ritrovandosi collettivamente all’interno di 12 congressi nazionali che, partendo da Milano, si svolgono nelle principali città del paese tra 1872 e 1909. I congressi sono organizzati a livello locale da un vivace e autorevole mondo associazionistico che, nato in maggior parte negli anni a cavallo dell’Unità per riunire e rappresentare i tecnici, è costituito da Collegi di Ingegneri e Architetti e, a Torino, dalla Società degli Ingegneri e degli Industriali (poi Società degli Ingegneri e degli Architetti). Le associazioni sono strutture fortemente legate al territorio e operano perseguendo finalità simili e influenzate dal clima positivista di fiducia in un futuro di crescita e scoperte: la circolazione della conoscenza attraverso la presentazione, discussione, e diffusione dei nuovi studi; la cooperazione in nome del progresso scientifico; lo studio di questioni tecniche di pubblica utilità. La componente degli architetti, sebbene rappresentata da nomi illustri come quello di Camillo Boito (a Milano e a scala nazionale), è tuttavia poco numerosa e minoritaria. È indebolita da un percorso formativo imprigionato nel dualismo Accademie di Belle Arti – Scuole di Applicazione degli Ingegneri, che scomparirà solo nella seconda metà degli anni venti del Novecento con la nascita delle prime Facoltà di Architettura, la cui istituzione è richiesta a gran voce dalla categoria da più di cinquant’anni. La strada verso la costituzione degli Ordini viene imboccata quando inizia ad emergere la necessità di rispondere a una domanda, che si fa molto forte soprattutto a partire dagli anni novanta dell’Ottocento e nei dibattiti emerge nelle sfaccettate forme di una “questione professionale” che produce differenti posizioni: il titolo professionale e l’esercizio delle sue funzioni devono essere tutelati oppure no? Gli schieramenti che si contrappongono fin dai primi dibattiti, in modi spesso accesi, sono due: la costituzione dei Consigli d’Ordine è infatti sostenuta da un’ampia compagine guidata dal Collegio di Napoli, mentre è aspramente avversata dai tecnici milanesi che, guidati da un battagliero Achille Manfredini (ingegnere, convinto congressista e animatore del “Monitore Tecnico”), prendono invece una posizione estremamente liberista verso lo svolgimento di un’attività che non vogliono regimentata né difesa da chi opera nel loro ambito senza avere gli stessi titoli e percorsi formativi. A questo proposito, dalla prospettiva odierna è interessante notare come, mentre oggi come allora l’opposizione all’esistenza e al ruolo degli Ordini continua ad alternarsi e sovrapporsi alla loro difesa, il sempre più forte dibattito sulla “questione professionale” a fine Ottocento si intrecci con tematiche ancora di estrema attualità (e verso le quali le diverse posizioni sono del tutto simili): su tutte, i ruolo dei concorsi di architettura e il dibattito sulle tariffe, all’epoca legate al riconoscimento dei titoli acquisiti nello svolgimento di attività per conto del settore pubblico (le perizie per i tribunali e le regole per le iscrizioni nei relativi albi). Nodi che ancora oggi sembrano lontani da uno scioglimento. Nonostante le divergenze di vedute e le opposizioni, il dibattito arriva in Parlamento, dove vengono presentate diverse proposte di legge per la costituzione dei Consigli d’Ordine che tuttavia rimangono lettera morta. Il dibattito si placa solo nel 1908, quando si arriva alla costituzione di una federazione di Collegi, con sede a Roma e finalità di rappresentanza presso le istituzioni nazionali, a cui viene anche demandato il compito di portare avanti il progetto di costituzione dei Consigli d’Ordine, che rimane tuttavia senza esito fino alla fine della Prima Guerra Mondiale. Gli Ordini oggi Anche se le strutture e le attività sono aumentate, dagli anni venti ad oggi le finalità di Ordini e Consigli sono rimaste nella sostanza le stesse, a differenza del numero, della composizione e delle attività dei loro iscritti, cambiati in modo profondo e ancora poco chiaro. Le modifiche apportate nel 2012 dal dpr 137, importanti soprattutto per gli iscritti, hanno demandato la gestione della disciplina ad appositi Consigli esterni e imposto gli obblighi di assicurazione e di una formazione permanente che oggi è diventata forse la più importante attività svolta dagli Ordini (e dalle loro Fondazioni, quando ci sono). L’arcipelago degli Ordini comprende 105 sedi provinciali e un Consiglio nazionale con sede a Roma. A questi si uniscono alcuni organismi regionali il più importante dei quali è la Consulta degli Architetti Lombardi. Secondo gli ultimi dati disponibili elaborati dal Cresme (inseriti nel rapporto “La città del futuro. Roma 2030 l’architettura come risorsa” commissionato dall’Ordine di Roma e pubblicato a gennaio), gli iscritti nazionali a fine 2015 erano 154.310, in costante crescita dal 1998, quando erano poco più della metà (83.500), e pari a quasi il 30% di tutti gli architetti europei. Il potenziale di mercato pro-capite era fra i più bassi (105.000 euro per ognuno, contro i 1,617 milioni dei norvegesi e davanti solo ai greci, con 81.000 euro), il reddito imponibile medio annuo di 16.300 euro e una difficoltà a trovare lavoro che dal 2008 è triplicata, portando il tasso di disoccupazione al 31,1%. Sugli Ordini, l’ultimo Rapporto Annuale sulla Professione disponibile, pubblicato dal Cresme per il Cnappc a gennaio 2016, è il quinto e valuta che gli Ordini di Roma, Milano, Napoli, Torino, Firenze e Palermo nel 2015 raggruppavano il 35% degli iscritti nazionali (55.161), con Roma che si confermava il più grande d’Italia (18.039 iscritti) seguito da Milano (12.180). I più piccoli erano Biella, Rieti, Vercelli (che fino a qualche anno fa raggruppava anche Biella non ancora provincia), Isernia, Gorizia e Oristano, che tutti insieme superavano di poco i 1.500 iscritti totali. Immagine di copertina: vista di Torino con la Mole in costruzione (© Archivio Storico della Città di Torino). Le complesse vicende dell’erezione del simbolo cittadino sono legate al mondo associazionistico sabaudo e meneghino attraverso le varie commissioni incaricate di rivedere un progetto di cui si dubitava la stabilità. Allo scopo furono infatti chiamati a Torino anche Celeste Clericetti e Luigi Tatti, che fu a lungo presidente del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano

Tuesday, November 7, 2023

MUR le Scuole di Specializzazione

MUR

Proclamazione si Proclamazione no

Le Differenze tra specialistica e magistrale A prescindere dal termine, specialistica o magistrale, la laurea di secondo livello indica comunque un’alta formazione. Ciò che contraddistingue il vecchio ordinamento da quello nuovo è il numero di crediti formativi universitari (CFU). Per conseguire la laurea specialistica erano necessari 300 CFU, comprensivi di quelli accumulati durante la triennale. Dopo il 2008, invece, i corsi di studio del secondo ciclo prevedono un totale di 120 CFU, senza considerare quelli del primo ciclo. In ogni caso le certificazioni rilasciate dalle Università riportano espressamente se si tratta di laurea vecchio ordinamento, laurea magistrale o specialistica. Premesso quanto innanzi, molti docenti si trovano, ma avrebbero dovuto farlo con largo anticipo, a verificare, in relazione alla laurea della quale sono in possesso, sia le classi di concorso di accesso per la partecipazione alle varie procedure concorsuali, sia se gli esami sostenuti durante tale percorso di laurea consentono l’accesso “alla o alle” classi di concorso. Cerchiamo, pertanto, di fornire un quadro esplicativo delle norme che regolano l’accesso all’insegnamento nelle scuole secondarie. Premettiamo che il DPR 19/2016 del 14 febbraio 2016, così come modificato dal decreto correttivo DM 259/2017, è la fonte normativa cui bisogna far riferimento per operare l’accertamento in ordine al possesso dei requisiti di accesso alle varie classi di concorso. Per quanto riguarda le lauree vecchio ordinamento, in alcuni casi, la laurea non è titolo sufficiente a consentire l’accesso a determinate classi di concorso ma è necessario che il titolo di studio abbia compreso determinati corsi annuali o i corsi semestrali. Facciamo un esempio: la laurea in giurisprudenza conseguita successivamente all’anno accademico 2000\2001 costituisce titolo di ammissione alla classe di concorso A-46 (scienze giuridico-economico) purché il piano di studi seguito abbia compreso i corsi annuali (o due semestrali) di: economia politica, politica economica, economia aziendale, statistica economica. In conseguenza i laureati del vecchio ordinamento dovranno verificare il loro piano di studio ai fini dell’accertamento degli esami annuali o semestrali richiesti per l’accesso alle classi di concorso. Ove mancanti devono essere integrati con gli esami mancanti. Una volta accertato gli esami mancanti i laureati Vecchio Ordinamento dovranno sostenere gli esami previsti prestando attenzione che l’esame annuale richiesto dal DPR 19/2016 è pari, in base al nuovo ordinamento a 12 CFU.

Equipollenza Diplomi

Professionalità docenti

Ergonomia

Valore legale del titolo di Studio

Monday, November 6, 2023

ex. ITIS di Piacenza

L'Istituto tecnico Industriale nasce grazie all'impegno e alla tenacia dell'Ing. Gaetano Modonesi. Ordinario di meccanica e disegno presso la Regia Scuola Tecnica di Rimini, il 19 dicembre 1933 vinse il concorso di Direttore di scuole tecniche di avviamento professionale ed arrivò a Piacenza nel 1934 per assumere la direzione della Scuola di avviamento professionale "Spartaco Coppellotti" che allora aveva sede in via Maddallena n. 16-18. Nel 1937 divenne direttore della scuola tecnica industriale e nel 1939 incominciò a far presente alle Autorità cittadine l'importanza dell'istruzione tecnica nelle scuole. Il 3 agosto 1941 il quotidiano Liberà annunciava "L'istituzione di un Regio Istituto Tecnico Industriale per meccanici elettricisti ". In Italia allora esistevano solamente 40 istituti Tecnici Industriali. Escluse le provincie romagnole, quello di Piacenza era l'unico Istituto Regio di quel tipo in Emilia. Il 3 settembre 1942 Modonesi ne fu nominato ufficialmente Preside. L'Istituto incominciò la sua attività in un fabbricato di proprietà della Provincia posto in via Mazzini n. 62 dove restò per molto tempo. Nel luglio 1943 però intanto la Amministrazione provinciale di Piacenza aveva provveduto ad acquistare dai proprietari di allora (Clara e Teresa Anguissola Scotti, Attilio Vitali ed Emilio Casana) 28.000 mq di terreno posto in aperta campagna, fuori dal centro cittadino, dove avrebbe dovuto sorgere il nuovo Istituto.
La costruzione della nuova sede incominciò nel settembre 1951 e la prima parte ad essere costruita fu il capannone adibito alle officine per meccanici ed elettricisti. Il capannone fu inaugurato il 1 ottobre 1956 dall' avv. Alfredo Conti, Presidente della Provincia, alla presenza delle autorità ciitadine . Subito dopo l'avv. Conti celebrò anche la cerimonia di inizio lavori del primo fabbricato dell'Istituto Tecnico Industriale , quello che sarebbe poi diventato la sede dell'attuale biennio. I lavori si protrassero per molto tempo, anche a causa di alcune interruzioni. Intanto però nel 1959 veniva costruita anche la parte annessa al capannone officine denominata "La Palazzina" che doveva ospitare il laboratorio per radiotecnici e quello per le saldature. La sede dell'attuale biennio , che allora era la sede dell'ITI , venne inaugurata il giorno 8 novembre 1964 dal Ministro della Pubblica Istruzione On. Luigi Gui in visita a Piacenza.
Il 22 giugno 1965 moriva l'Ing. Modonesi e il 16 dicembre gli veniva dedicata l'attuale Aula Magna dell'Istituto. A lui , nel 1966, succedeva come Preside l'ing. Lionello Nigelli. Sotto la sua presidenza, come annunciato da Libertà il 16 aprile 1967, ebbe luogo il raddoppiamento dell'Istituto con la costruzione dei fabbricati dell'attuale triennio.
Nel 1970 furono appaltati due nuovi lotti di lavori. Il primo lotto, riservato ai nuovi laboratori del triennio, sarebbe stato ultimato nell'ottobre 1972. Il secondo lotto, riservato a nuove aule e agli uffici, sarebbero stati ultimati nel 1974. Nel 1985 il Preside Nigelli ( medaglia d'argento benemerenza istruzione tecnica) andava in pensione e gli subentrava alla presidenza l'ing. Bruno Sozzi che sarebbe rimasto in servizio fino ad agosto 2012. All'ing. Sozzi toccò la definitiva modernizzazione dell'Istituto a cominciare da tutti i lavori necessari alla prevenzioni incendi previsti dalla legge n. 818 del 7 dicembre 1984 . Sotto la sua presidenza tante furono le novità , a cominciare dalla introduzione della nuova specializzazione di Informatica. Alcune molto particolari , come la creazione del laboratorio denominato "Satellite didattico" (in collaborazione con la Agenzia Spaziale Italiana) che permetteva agli studenti dell'Istituto di acquisire una conoscenza di base nella ricezione di dati da satelliti in orbita bassa.

Chi è il Prefetto

Analisi Quella del prefetto è una figura che raramente trova spazio nel dibattito pubblico ma che invece ricopre una posizione centrale all’interno della pubblica amministrazione, con grandi poteri e responsabilità. Non bisogna dimenticare infatti che nelle facoltà dei prefetti ci sono, tra gli altri, anche poteri sostitutivi in caso di inerzia degli amministratori locali, oltre al fatto che ricoprono un ruolo di primo piano nei commissariamenti per mafia. Cosa sono e come funzionano i commissariamenti degli enti locali. Leggi. Non a caso, il percorso di carriera per arrivare al rango di prefetto è molto lungo. Dopo aver superato il concorso, seguono infatti due anni di preparazione nella scuola superiore dell’amministrazione dell’interno, terminati i quali i consiglieri ottengono l’incarico di viceprefetto aggiunto e possono iniziare a lavorare nei vari uffici che fanno capo al ministero. Devono poi trascorrere almeno 9 anni e 6 mesi e la valutazione positiva di una apposita commissione di avanzamento prima che un viceprefetto aggiunto possa essere promosso al rango di viceprefetto. A questo punto, il passaggio per diventare prefetto non è automatico. Questa nomina infatti è a totale discrezione del ministero e si basa sulle capacità dimostrate dai candidati nel corso della loro carriera. Chi nomina i prefetti. Leggi. Con la riforma apportata dal decreto legislativo 29/2004 al prefetto sono stati attribuiti compiti di coordinamento anche al fine di garantire l’attuazione del principio di leale collaborazione tra lo stato e le autonomie territoriali. In un quadro istituzionale ancora in movimento fra scenari di federalismo, più o meno spinto, e nuove ipotesi di regionalismo (…), si svela insopprimibile l’esistenza di un’autorità che eserciti funzioni di regolazione giusta e saggia dei processi e delle relazioni e svolga compiti di mantenimento dell’equilibrio del sistema – Claudio Sammartino, Del prefetto ovvero il saggio regolatore. Elogio della “governazione” o della Governance (2007). Oggi il prefetto è un polo di aggregazione e centro di imputazione di responsabilità che deve facilitare il dialogo e la coesione sociale ed istituzionale tra i soggetti che operano a livello periferico.

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