Sunday, July 14, 2024

Norme elettriche e differenziali

Interruttore differenziale puro !

Cos'è l'interruttore differenziale puro e come riconoscerlo L'energia elettrica è un elemento essenziale nelle nostre vite moderne, ma la sicurezza nell'uso di questa risorsa è di primaria importanza. Per garantire un'efficace protezione degli impianti elettrici l'interruttore differenziale puro svolge un ruolo cruciale. In questo articolo approfondiremo cosa sia l'interruttore differenziale puro, le differenze rispetto all'interruttore differenziale magnetotermico, come riconoscerlo fisicamente e il simbolo associato negli schemi elettrici. Perché è così importante l’interruttore differenziale puro L'interruttore differenziale puro, chiamato anche interruttore salvavita, è un componente fondamentale nel quadro elettrico di casa. La sua funzione principale è quella di rilevare e interrompere i circuiti elettrici in caso di dispersione di corrente o anomalie, riducendo così il rischio di incidenti elettrici. In condizioni normali la differenza tra corrente in entrata nel circuito e corrente in uscita dovrebbe essere pari a zero, o comunque pochi mA (milliampere) al di sopra. Quando invece questa differenza supera la soglia di sicurezza per l’essere umano scatta il salvavita e viene tolta la corrente. L’obiettivo principale non è quello di proteggere gli elettrodomestici bensì gli esseri umani. Ci sono situazioni di pericolo, come i cavi di tensione non protetti o un difetto della messa a terra di un elettrodomestico, che potrebbero non essere visibili ad occhio nudo e causare pertanto un pericolo per chi usa l'elettrodomestico. Quest’ultimo potrebbe comunque danneggiarsi in seguito allo shock elettrico nonostante l’attivazione del differenziale. Differenza tra differenziale puro e magnetotermico La distinzione chiave tra l'interruttore differenziale puro e quello magnetotermico risiede nella modalità di intervento. L'interruttore differenziale magnetotermico è progettato per rilevare sia sovracorrenti che cortocircuiti. Si attiva quando la corrente supera una certa soglia o se c'è una dispersione anomala di corrente. Dall’altro lato, l'interruttore differenziale puro si concentra esclusivamente sulle dispersioni di corrente, fornendo una protezione più sensibile contro guasti di isolamento e riducendo il rischio di scosse elettriche. L'interruttore differenziale puro ha come obiettivo principale quello di proteggere le persone, mentre il differenziale magnetotermico si pone l’obiettivo di proteggere sia le persone che l’impianto. I modelli di interruttore magnetotermico di ultima generazione sono dotati di funzioni avanzate come il riarmo automatico in seguito al distacco della corrente, oppure della gestione a distanza con uno smartphone per la riattivazione della corrente. Come riconoscere l'interruttore differenziale puro Il riconoscimento dell'interruttore differenziale puro è essenziale per garantire la corretta protezione degli impianti e delle persone. A livello fisico, si può distinguere da un interruttore differenziale magnetotermico osservando attentamente il dispositivo. Mentre l'interruttore differenziale magnetotermico presenta spesso solo un pulsante di riarmo, l'interruttore differenziale puro è dotato di un pulsante di prova. Quest'ultimo consente di simulare una dispersione di corrente per assicurarsi che il dispositivo funzioni correttamente. Simbolo dell'interruttore differenziale puro Per facilitare la comprensione dei quadri elettrici, è importante riconoscere il simbolo dell'interruttore differenziale puro. Questo simbolo può variare leggermente in base agli standard e alle normative locali, ma in generale, è composto da una combinazione di linee e frecce che indicano la sua funzione di rilevamento delle dispersioni di corrente. La familiarità con questo simbolo è fondamentale per gli elettricisti e gli installatori, poiché facilita la corretta interpretazione dei quadri elettrici. L'importanza dell'interruttore differenziale puro per i clienti vulnerabili I clienti vulnerabili, come anziani o persone con condizioni di salute particolari, sono maggiormente suscettibili agli incidenti elettrici. L'interruttore differenziale puro rappresenta un'importante misura di sicurezza in questi contesti, poiché offre una protezione avanzata. La sua focalizzazione sul rilevamento delle dispersioni di corrente lo rende particolarmente adatto a evitare gli incidenti elettrici. Riconoscere le caratteristiche fisiche, come il pulsante di prova, e il simbolo negli schemi elettrici è essenziale per una corretta installazione e manutenzione. La manutenzione dell’impianto elettrico non è da sottovalutare La corretta installazione e la successiva manutenzione periodica dell’impianto elettrico sono fattori estremamente importanti per garantire che tutti gli elementi che ne compongono la struttura siano perfettamente funzionanti. La parte più importante di un impianto elettrico è sicuramente il quadro elettrico, in quanto comprende al suo interno tutti i dispositivi di sicurezza, tra cui i differenziali. Garantire la corretta funzione di tutti le parti è estremamente importante per la sicurezza degli impianti e delle persone. Avere un impianto elettrico non a norma, o datato non garantisce la protezione pertanto è consigliabile contattare un tecnico abilitato o un professionista autorizzato per verificare lo stato di salute dell’impianto ed eventualmente sostituirlo con uno conforme e sicuro. La messa in sicurezza dell’impianto elettrico è importante quanto la scelta del fornitore che si adatta ad ogni nostra esigenza. 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Hanno sparato a Donald Trump

Virus nelle Piante

I virus delle piante sono il grande nemico dimenticato. Eppure anche questi si combattono solo aumentando la capacità di resistenza del vegetale ed evitando il più possibile i contagi. Non fa molto notizia ma siamo in continua allerta per virosi che riguardano l’agricoltura. Una lotta senza tregua verso malattie che non infettano l’uomo, ma che all’uomo possono fare mancare il cibo. È stato sempre così, ma oggi, nel mondo connesso e dell’agricoltura intensiva, i “fito” virus possono arrivare in un attimo e piegare intere economie agricole, interi territori e cambiare le quotazioni delle commodity alimentari con conseguenze economiche sulle filiere produttive e sui prezzi del cibo. Dunque, i virus vegetali non fanno ammalare l’uomo e gli animali ma solo le piante. Ogni giorno, senza saperlo, mangiamo e tocchiamo tantissimi virus con le foglie di insalata, addentando la frutta, tagliando le patate, pulendo ortaggi, ma sempre senza nessuna conseguenza per la nostra salute, sempre che frutta e verdura non siano già piene di marciumi. Eppure molti virus vegetali sono simili a quelli che ci fanno ammalare e, soprattutto, si comportano allo stesso modo: danno inizio al processo di infezione di una pianta penetrando in una o poche cellule, ne sovvertono il metabolismo per costringerle a replicare l’RNA virale e a formare nuovi virioni che, a loro volta, infetteranno le cellule vicine, fino a fare ammalare l'intera pianta. Così simili alle nostre malattie che, in questi giorni, c’è chi sta studiando certi meccanismi di rapporto virus-cellula vegetale per applicare le scoperte nella lotta contro il coronavirus. È proprio dallo studio delle malattie delle piante che è arrivata la scoperta dei virus. Per la precisione, è stata una malattia del tabacco a fare pensare che gli abitanti più piccoli del mondo naturale non fossero i conosciuti batteri ma qualcosa di infinitamente più microscopico. Gli fu dato il nome di “virus” che in latino è sinonimo di veleno e la loro scoperta è relativamente recente. Nel 1879, Adolf Eduard Mayer, direttore della Stazione sperimentale della allora Scuola di agricoltura di Wageningen (NL), fu chiamato a studiare una sconosciuta malattia del tabacco, che causava un mosaico di macchie sulle foglie infette e che non era riconducibile a nessun patogeno conosciuto. Nel 1886 la definì “mosaico del tabacco” (è ancora conosciuta con questo nome) e provò la trasmissibilità attraverso l’inoculazione con succo estratto da piante infette. Pur riuscendo a trasmettere la malattia, Mayer non fu in grado di isolarne l’agente, ma ipotizzò l’esistenza di batteri di natura sconosciuta, invisibili al microscopio. L’esistenza di un agente infettivo più piccolo dei batteri venne descritta in Germania da F. Loeffler e P. Frosch nel caso dell’afta epizootica degli animali e, nel 1901, da un medico statunitense, Walter Reed, che identificò il virus della febbre gialla, il primo virus umano conosciuto. Ma per altri 30 anni la scienza non riuscì a indentificare con certezza i virus. A Dimitri Ivanovsky si devono le descrizioni di corpi di inclusione cristallini nelle cellule infette (1903), poi identificati come aggregati del virus del mosaico del tabacco (TMV), visibili solo con le prime immagini al microscopio elettronico nel 1939. Dunque si è partiti dalle piante per arrivare all’Uomo. Nel mondo agricolo ci sono virus storici e virus emergenti, proprio come nel caso del mondo animale e umano. Molti non si conoscono ancora, ma il mondo dei virus è anche in eterno movimento: durante la replicazione essi possono mutare generando nuovi virus con caratteristiche leggermente differenti. Virus nuovi possono anche nascere da due virioni “genitori” per ricombinazione dell’RNA. Le piante mostrano sintomi caratteristici (come per le infezioni virali umane). Si va dalle maculature sulle foglie ai “mosaici”, dall’alterazione del colore o della forma della pianta che assume aspetti non naturali alla malformazione dei fiori. I virus possono essere presenti dentro una pianta in modo asintomatico per poi manifestare i sintomi quando attaccano una pianta appartenente a una specie diversa. Oppure, possono restare latenti in piante asintomatiche per poi “svegliarsi” e infettare la stessa pianta ospite anche molto lontano nel tempo. Di solito, hanno un rapporto molto stretto con la specie a cui si sono adattati ma possono anche attaccare specie di famiglie diverse. Ma le piante sanno difendersi. «A differenza dell’Uomo, una pianta non può produrre anticorpi – spiega Luisa Rubino virologa molecolare dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR e membro dell'Accademia dei Georgofili – La difesa da parte della pianta è molto diversa. Per esempio, può sviluppare una reazione di ipersensibilità. Il virus entra in una cellula e svolge il primo ciclo di replicazione, ma la pianta lo “sente” e uccide le cellule che circondano quella infettata e, in questo modo, uccide anche il virus. Sacrifica una piccola parte di se stessa per salvarsi. Un altro meccanismo è stato scoperto appena negli anni anni ’90 ed è chiamato “silenziamento genico”. Circa l'80% dei virus conosciuti possiede un genoma composto da RNA a singola elica, proprio come è fatto il coronavirus. Nella cellula infetta il virus libera il genoma per indurla a sintetizzare le proteine necessarie a creare nuovi RNA virali. Al momento della replicazione si formano delle molecole a doppia elica, in pratica una copia del genoma che serva da “stampo” per replicare il nuovo RNA ed il nuovo genoma. Ecco, in quel preciso istante, la pianta "sente" l'attacco e reagisce con alcuni enzimi che “tagliano” l'RNA in piccoli pezzi e lo rendono inoffensivo. Naturalmente anche i virus hanno sviluppato delle strategie di protezione dalle difese della pianta, e nelle cellule vegetali si svolge una lotta senza quartiere tra patogeno e ospite». Quindi l’unica soluzione è avere piante forti, in grado di mettere in atto i loro meccanismi di protezione. «L’unica difesa che abbiamo è ottenere una maggiore resistenza della pianta. In natura questo avviene in modo casuale, ma in agricoltura si possono ottenere piante più resistenti ai virus utilizzando la genetica classica, ovvero il vecchio sistema degli incroci. Si incrociano piante della stessa specie che abbiamo visto essere meno attaccate dalla malattia. Otterremo dei semi di piante più forti che potremo incrociare ancora fino ad avere una varietà resistente. Non dobbiamo dimenticare i moderni metodi di ingegneria genetica, anche se poco applicati, che permettono di accelerare moltissimo i tempi della genetica tradizionale. Con la cisgenesi si permette il trasferimento di un gene di resistenza da una specie interfertile, e non da una pianta completamente estranea come nel caso della transgenesi, quindi imitando la tecnica dell'incrocio». Come fanno a diffondersi i virus nelle piante? «Possono entrare attraverso microferite sulla pianta. Oppure sono trasmessi da vettori, cioè insetti portatori dei virus (afidi, cicaline, cimici per esempio) che, pungendo la pianta per succhiare la linfa, inoculano i virioni nella pianta. I virus più pericolosi che conosciamo si trasmettono con gli insetti: per questo si combatte l’insetto oltre che per ridurre il danno che esso anche per ostacolare la dispersione dei virus di cui potrebbe essere portatore. Dove si posizionano reti antinsetto o dove si tratta la coltivazione con insetticidi assistiamo a una minore incidenza dei virus. Ma un altro possibile meccanismo di diffusione dei virus è la trasmissione attraverso l’intervento umano. Un taglio effettuato su una pianta infetta seguito da un altro taglio su una pianta sana con lo stesso strumento infettato propaga la malattia tramite la lama dell’attrezzo». L’agricoltura intensiva è naturalmente più esposta ai virus… «Sì, certo. Basta un seme di lattuga infetto su un milione per attaccare l’intero campo. Ne sanno qualcosa gli agricoltori che coltivano in serra: in ambienti chiusi occorre fare molta attenzione. Un caso classico è il divieto di fumo: una sigaretta può essere vettore del virus del mosaico del tabacco se con le mani si toccano poi le piante di una serra, e si può infettare l’intera coltivazione se si coltiva una specie attaccabile dallo stesso virus. È una buona norma rimuovere e distruggere le piante infette per evitare che fungano da sorgenti di inoculo». Per questo, la prevenzione è fondamentale nella lotta contro i virus delle piante. La difesa dalla propagazione dei virus in Italia è all’avanguardia. La nostra normativa è spesso stata pioniera. In generale è vietato importare piante da paesi extra Ue che non siano certificate. Anche le sementi devono essere certificate come immuni da virus. Ed è buona norma limitare le generazioni dei semi fai da te a meno che non si producano in ambienti meno vulnerabili. Ma l’agricoltura italiana introduce sempre nuove varietà e sempre nuove specie, per le richieste dei mercati ma anche per adattarsi ai cambiamenti climatici. Arrivano quindi piante nuove e spesso piantiamo specie in ambienti non adatti a loro portando in campo esemplari che si indeboliscono e sono più soggetti alle malattie. «Certo, piantare il mango al posto del grano non è una buona idea se si vogliono avere piante forti; e nemmeno ci aiutano le varietà antiche, che sono state selezionate soprattutto per resistere ad altri fattori più che ai virus. Direi che le migliori difese sono queste: semi certificati immuni, materiali di impianto il più possibile dal buon fitness generale e soprattutto esenti da virus, difesa dagli insetti vettori. Altrimenti, se in campo o in frutteto arriva il virus giusto si perde l’intero raccolto e si possono perdere anche i successivi». A proposito, ecco le virosi più famose presenti nelle nostre coltivazioni. Quelle in grado di farci perdere grandi quantità di cibo in pochi giorni. Pomodoro: i virus più classici sono il virus dell'accartocciamento fogliare giallo del pomodoro (tomato yellow leaf curl virus) e il virus dell'avvizzimento maculato del pomodoro (tomato spotted wilt virus), cui si possono aggiungere il virus del mosaico del cetriolo (cucumber mosaic virus) che ha messo in ginocchio la coltivazione del pomodoro in Italia meridionale nel 1988. Tra i virus emergenti, è importante il virus dell'imbrunimento rugoso dei frutti, il tomato brown o rugose fruit virus. Vite: tra i virus più antichi c'è il principale agente che causa la malattia della degenerazione infettiva della vite (grapevine fan leaf virus, virus dell'arricciamento fogliare della vite). Due virus emergenti che stanno assumendo una certa importanza sono il virus della maculatura fogliare rossa della vite e il virus del Pinot grigio (grapevine red blotch virus e grapevine Pinot gris virus). Agrumi: il virus della “tristezza” degli agrumi (Citrus tristeza virus), “tristemente” famoso in Sicilia.

Saturday, July 13, 2024

Gazzetta CTU 2023

CTU

Il DM n. 109/2023 del 11 agosto istituisce l’Albo unico dei CTU e introduce diverse novità: 5 anni di esperienza professionale come requisito, continuità dell’attività e aggiornamento obbligatorio per il mantenimento dell’iscrizione. Le aree di competenza e specializzazioni aumentano, con la possibilità di iscriversi in più campi. È introdotta la certificazione UNI come prova alternativa di esperienza. Sulla G.U. di venerdì 11 agosto, è stato pubblicato il DM n. 109/2023 con cui il ministro Carlo Nordio istituisce l’Albo unico dei CTU e il Ministero ha comunque 6 mesi per implementare gli aspetti informatici). Tante le novità del nuovo Albo Nazionale dei CTU si uniforma a 5 anni l’anzianità professionale minima di iscrizione all’Ordine/Collegio di appartenenza (oggi ogni Tribunale aveva le sue regole: 3 o 5 anni, ma anche nessuna anzianità) l’attività della specializzazione indicata come CTU deve essere stata esercitata per almeno 5 anni “in modo effettivo e continuativo”, con poche possibili deroghe; il mantenimento dell’iscrizione è legato allo “svolgimento continuativo” dell’attività professionale e al rispetto degli obblighi di aggiornamento professionale (peccato non esistano obblighi per molte categorie, quindi già cominciamo con le discriminazioni tra chi esercita una professione ordinistica e quindi ingegnere, architetto, geometra, perito industriale, ecc. e chi è iscritto altrove, ad esempio al Ruolo Periti e Esperti delle CCIAA oppure ad albi di associazioni ex L. 4/2013, visto che non tutti impongono la formazione e l’aggiornamento continuo); per ogni singolo CTU sarà indicato il numero di incarichi ricevuti/revocati; finalmente aumentano le aree di competenze e relative specializzazioni (contenute all’all. A, di ben 28 pagg., mentre l’all. B è una tabella di equipollenza in ambito medico) e ci si potrà iscrivere in più specializzazioni, ricorrendo i requisiti (un passo vanti: fino ad oggi nella maggior parte dei Tribunali ci si poteva iscrivere al massimo in 3 ambiti); una primizia è l’introduzione della certificazione UNI relativa all’attività professionale quale strumento alternativo per dimostrare di aver esercitato “in modo effettivo e continuativo” per almeno 5 anni una specifica attività; l’art. 5 del DM prevede infatti che, alternativamente, sia riconosciuta la specifica competenza al realizzarsi di almeno 2 delle seguenti circostanze: a) adeguati titoli di specializzazione post-universitari, purché l’iscrizione all’Ordine/Collegio sia di almeno 5 anni; b) possesso di adeguato cv, comprendente ad esempio attività di docenza o ricerca, pubblicazioni su riviste scientifiche, ecc.; c) certificazione UNI relativa all’attività professionale: si tratta di norme UNI relative alla certificazione delle competenze professionali sulle attività non regolamentate. Certo la certificazione UNI potrebbe anche costituire una scorciatoia legale, in quanto viene normalmente richiesta una anzianità di “soli” 3 anni, rispetto ai 5 richiesti dall’art. 4 del DM. Non si capisce se la certificazione CERTING (rilasciata dal CNI), essendo riconosciuta da Accredia al pari delle certificazioni UNI, sarà equiparata alle UNI? Il CTU potrà infine chiedere la sospensione volontaria, finora non prevista (anche se di fatto capitava di chiedere ai giudici di non ricevere incarichi per un po’, per motivi professionali o personali), per un periodo non superiore a 9 mesi o più richieste, purché complessivamente non superiori a 18 mesi in un quadriennio. Naturalmente, ci si potrà anche cancellare volontariamente dall’albo o anche solo da alcune specializzazioni. Insomma, un bel po’ di novità ci attendono, quasi tutte positive. La nota stonata è costituita dall’allegato A relativo alle specializzazioni previste nel nostro settore : Allegato A – CATEGORIE e SPECIALIZZAZIONI |ASSICURAZIONI |ASSICURAZIONI AUTOMOBILISTICHE |ASSICURAZIONI |ASSICURAZIONI DANNI |ASSICURAZIONI |ASSICURAZIONI IN GENERE |ASSICURAZIONI |ASSICURAZIONI TRASPORTI |ASSICURAZIONI |ASSICURAZIONI VITA |ASSICURAZIONI |RICOSTRUZIONE DEGLI INCIDENTI STRADALI |ASSICURAZIONI |STATISTICA ASSICURATIVA

Anagrafica consulenti tecnici

Tetto

Saturday, July 6, 2024

TABELLE MILLESIMALI

Il D.Lgs 102/2014 pare obblighi alla redazione di tutte le tabelle millesimali del riscaldamento indipendentemente dagli interventi di termoregolazione e contabilizzazione. Di seguito pongo l'attenzione sul quesito da me formulato presso le istituzioni competenti al fine suggerire le giuste modalità di intervento. E' vero che dall'entrata in vigore del D.Lgs 102/2014, il condominio alimentato da teleriscaldamento o da teleraffrescamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento al fine di non incorrere in sanzione amministrativa ha l'obbligo di ripartire le spese in conformità alla normativa UNI10200, qualora sia applicabile,indipendentemente dalle risultanze della relazione di fattibilità tecnica ed economica avente ad oggetto l'installazione di dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione ovvero a prescindere dalla loro installazione? Esposizione analitica della situazione concreta che ha generato il dubbio interpretativo Tale domanda trova merito in ragione dell'art. 16 comma 8 del D.Lgs 102/2014 "Il condominio alimentato da (...) sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, che non ripartisce le spese in conformità alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 5, lettera d), è soggetto ad una sanzione amministrativa da 500 a 2500 euro." In particolare si riporta di seguito lo stralcio dell'art. 9, comma 5, lettera d): "d) quando i condomini (...) sono alimentati da (...) sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento, il raffreddamento delle unità immobiliari e delle aree comuni (...) l'importo complessivo è suddiviso tra gli utenti finali, in base alla norma tecnica UNI 10200 e successive modifiche e aggiornamenti. Ove tale norma non sia applicabile o laddove siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l'edificio polifunzionale superiori al 50 per cento, è possibile suddividere l'importo complessivo tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 70 per cento agli effettivi prelievi volontari di energia termica. In tal caso gli importi rimanenti possono essere ripartiti, a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate. E' fatta salva la possibilità, per la prima stagione termica successiva all'installazione dei dispositivi di cui al presente comma, che la suddivisione si determini in base ai soli millesimi di proprietà. Le disposizioni di cui alla presente lettera sono facoltative nei condomini (...) ove alla data di entrata in vigore del presente decreto si sia già provveduto all'installazione dei dispositivi di cui al presente comma e si sia già provveduto alla relativa suddivisione delle spese." Inoltre è da osservare che la norma UNI10200 dal titolo "Impianti di riscaldamento centralizzati. Ripartizione delle spese di riscaldamento", nata già nel 1993 e successivamente, a far data dalla versione del 2013, ha modificato il titolo in "Impianti termici centralizzati di climatizzazione invernale e produzione di acqua calda sanitaria - Criteri di ripartizione delle spese di climatizzazione invernale ed acqua calda sanitaria" tratta in generale il riparto spese generato dagli impianti comuni di riscaldamento indipendentemente dalla presenza o meno dei dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione ovvero trattando il riparto spese in maniera differente laddove sia presente la contabilizzazione e termoregolazione o laddove essa risulti assente. Da quanto constatato fin'ora quasi tutte le tabelle millesimali del riscaldamento presenti, non sono conformi alla UNI10200 e ciò anche in considerazione della loro redazione nel periodo di non cogenza della norma. E' da dire che tale norma premia l'efficienza energetica dando la possibilità al singolo condomino di ridurre la propria aliquota millesimale qualora effettui interventi tali da ridurre il fabbisogno energetico per climatizzazione invernale della sua unità immobiliare anche qualora risulti non efficiente in termini di costi l'installazione dei dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione. Il dubbio interpretativo è determinato dall'avere associato il criterio di riparto spese previsto dalla UNI10200 unicamente al caso specifico della termoregolazione e contabilizzazione del calore e quindi dall'avere erroneamente ritenuto la norma UNI10200 non applicabile qualora l'installazione dei dispositivi di termoregolazione e contabilizzazione del calore non venisse effettuata in quanto non efficiente in termine di costi. E' da dire, inoltre, che in caso di non installazione dei dispositivi di termoregolazione e contabilizzazione non trova applicazione quanto previsto dalla stralcio che segue di cui all'art. 9 comma 5 lettera d. "(...) E' fatta salva la possibilità, per la prima stagione termica successiva all'installazione dei dispositivi di cui al presente comma, che la suddivisione si determini in base ai soli millesimi di proprietà.(...)" Va ancora osservato che quantunque sussistano differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l'edificio polifunzionale superiori al 50 per cento, la quota dei prelievi volontari non può che essere divisa con la UNI10200. La soluzione interpretativa proposta Indipendentemente dall'installazione dei dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione le spese sono da ripartirsi in maniera obbligatoria secondo la norma UNI10200 salvo i casi di non applicabilità che non corrispondono alla mancata installazione dei dispositivi di termoregolazione contabilizzazione del calore. E' fatta eccezione, qualora si proceda nell'installazione dei dispositivi di contabilizzazione e termoregolazione, per la prima stagione termica successiva all'installazione di detti dispositivi, la possibilità di suddivisione delle spese in base ai soli millesimi di proprietà.

Friday, July 5, 2024

Master Ospedali

Danilo Solari

Ripartizione delle spese di riscaldamento, normativa Il D.Lgs. 73/2020 ha introdotto nuove regole per la suddivisione delle spese di riscaldamento centralizzato, fornendo anche la possibilità all’assemblea condominiale di personalizzare tali criteri in base alle esigenze specifiche del condominio: le spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento, il raffreddamento e l’uso domestico dell’acqua calda devono essere ripartite tra i condomini, suddividendo il totale in 2 quote pari al 50%. La prima quota è attribuita ai prelievi volontari, ovvero la quantità effettivamente prelevata da ciascun condomino. La seconda quota è destinata ai prelievi involontari rappresentati dal calore disperso dall’impianto comune; l’assemblea condominiale può deliberare, ottenendo almeno il voto favorevole di 333 millesimi oltre alla maggioranza degli intervenuti in seconda convocazione, di assegnare ai prelievi volontari una quota superiore al 50%, ma non inferiore al 30%. Per quanto riguarda i prelievi involontari, la loro quota deve essere corrispondente; la quota relativa ai prelievi involontari deve essere distribuita tra i condomini in base ai millesimi di proprietà o seguendo altri criteri stabiliti dall’assemblea condominiale; la quota relativa ai prelievi volontari va ripartita tra i condomini in base al consumo effettivo, il quale è registrato dai contabilizzatori di calore; i condomini che hanno optato per il distacco dal riscaldamento centralizzato e hanno installato un sistema autonomo sono tenuti a contribuire alla quota relativa ai prelievi involontari. Questa disposizione è giustificata dal fatto che traggono beneficio dalle dispersioni di calore dell’impianto comune. La norma tecnica di riferimento, invece, è la norma UNI 10200, la quale stabilisce i criteri per la ripartizione delle spese negli impianti termici centralizzati destinati alla climatizzazione invernale ed estiva e alla produzione di acqua calda sanitaria. Tale norma fornisce indicazioni dettagliate su come calcolare i coefficienti di ripartizione della quota fissa e su come installare e gestire i sistemi di misurazione del calore Ripartizione spese riscaldamento centralizzato con valvole termostatiche La UNI 10200 offre una chiara distinzione tra 2 tipologie di prelievo energetico nel contesto del riscaldamento centralizzato: prelievo volontario: riguarda il calore che viene utilizzato in modo intenzionale dall’utente attraverso il sistema di regolazione, come ad esempio tramite valvole termostatiche o termostati d’ambiente. In altre parole, è la parte di calore che l’utente chiede al sistema di riscaldamento in base alle sue preferenze di temperatura e alle azioni di regolazione; prelievo involontario: riguarda il consumo energetico indipendente dalle azioni dirette degli utenti. Questo tipo di consumo è costituito principalmente dalle dispersioni di calore che si verificano nelle reti di distribuzione dell’impianto di riscaldamento e nell’acqua calda sanitaria. In sostanza, rappresenta il calore perso o disperso a causa delle inefficienze dell’impianto di riscaldamento, senza che gli utenti possano influenzare direttamente questo aspetto. Per quanto riguarda il consumo involontario, la norma UNI 10200 stabilisce un metodo di suddivisione basato sui millesimi di riscaldamento. Questa suddivisione tiene conto dei consumi involontari di energia termica utile, che possono essere misurati anno dopo anno attraverso specifici dispositivi di contabilizzazione o calcolati utilizzando parametri appropriati.
Non sempre la quantificazione delle tabelle millesimali è lasciata alla libera disponibilità dei condomini, una volta rispettati i principi generali del Codice Civile. Il Decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, come modificato dal decreto legislativo 18 luglio 2016, n. 141; (Contabilizzazione del calore), all’articolo 9, comma 5, lettera d, così dispone: “quando i condomini o gli edifici polifunzionali sono alimentati da teleriscaldamento o teleraffreddamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento, il raffreddamento delle unità immobiliari e delle aree comuni, nonché per l’uso di acqua calda per il fabbisogno domestico, se prodotta in modo centralizzato, l’importo complessivo è suddiviso tra gli utenti finali, in base alla norma tecnica UNI 10200 e successive modifiche e aggiornamenti. Ove tale norma non sia applicabile o laddove siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l’edificio polifunzionale superiori al 50 per cento, è possibile suddividere l’importo complessivo tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 70 per cento agli effettivi prelievi volontari di energia termica. In tal caso gli importi rimanenti possono essere ripartiti, a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate. È fatta salva la possibilità, per la prima stagione termica successiva all’installazione dei dispositivi di cui al presente comma, che la suddivisione si determini in base ai soli millesimi di proprietà…..” La norma citata impone di fatto al condominio le modalità di redazione delle tabelle millesimali del riscaldamento, così detto centralizzato e delle forme collegate. Il tutto la fine di una corretta applicazione della normativa sulla termoregolazione e contabilizzazione del calore.

Reddito Energetico

Fotovoltaico e reddito energetico nazionale, domande al via. Chi può accedere e interventi ammissibili Apre alle ore 12:00 del 5 luglio 2024, sul sito del GSE, il portale per inviare le istanze di accesso alla misura del Reddito Energetico. Rimarrà attivo fino a esaurimento delle risorse disponibili per ciascuna area geografica, secondo una procedura a sportello che seguirà l'ordine cronologico venerdì 5 luglio 2024 - Alessandro Giraudi installazione-fotovoltaico Al via le domande per il Reddito Energetico Nazionale, la misura del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica che consente alle famiglie con un basso reddito di realizzare un impianto fotovoltaico domestico a servizio dell'unità immobiliare di residenza. Apre alle ore 12:00 del 5 luglio 2024, sul sito del GSE, il portale per inviare le istanze di accesso alla misura del Reddito Energetico e rimarrà attivo fino a esaurimento delle risorse disponibili per ciascuna area geografica, secondo una procedura a sportello che seguirà l'ordine cronologico di presentazione delle istanze stesse. Dal 5 luglio sarà possibile monitorare la disponibilità del Fondo attraverso un contatore aggiornato in tempo reale pubblicato sul sito del Gestore dei Servizi Energetici. Ricordiamo che, per supportare i Soggetti Beneficiari nell'individuazione di un'impresa installatrice sul proprio territorio di appartenenza, il GSE mette a disposizione la Vetrina dei Soggetti Realizzatori.
Cos’è il reddito energetico Il Reddito Energetico Nazionale è un finanziamento in conto capitale finalizzato alla realizzazione di impianti fotovoltaici a uso domestico, di potenza non inferiore a 2 kW e non superiore a 6 kW, a servizio di unità immobiliari di tipo residenziale nella titolarità di nuclei familiari in condizione di disagio economico, con l'obiettivo di sostenere l'autoconsumo energetico e di favorire la diffusione delle energie rinnovabili. Il GSE è il soggetto gestore del “Fondo Nazionale Reddito Energetico", istituito con il Decreto Ministeriale 8 agosto 2023 (DM REN). Le risorse finanziarie rese disponibili per gli anni 2024 e 2025 sono complessivamente pari a 200 milioni di euro e, per ciascuna annualità, ripartite in 80 milioni di euro alle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, e in 20 milioni di euro alle restanti Regioni o Province Autonome. Il “Fondo Nazionale Reddito Energetico" consente quindi a coloro che presentano domanda, cioè i Soggetti Beneficiari, di realizzare impianti fotovoltaici e utilizzare l'energia prodotta per l'autoconsumo. L'eventuale quota di energia eccedente, prodotta e non autoconsumata dal cittadino, è resa disponibile per 20 anni al GSE, che la utilizzerà per finanziare il “Fondo Nazionale Reddito Energetico". Il “Fondo Nazionale Reddito Energetico" può essere alimentato mediante un versamento volontario da parte di Amministrazioni centrali, Regioni, Province autonome, altri enti e organismi pubblici e organizzazioni no-profit, ma anche con risorse derivanti dalla programmazione di fondi strutturali e di investimento europei. Chi può accedere Possono accedere al Reddito Energetico le persone fisiche aventi i seguenti requisiti: appartenenza a nucleo familiare con ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) in corso di validità inferiore a 15.000 euro, oppure inferiore a 30.000 euro per i nuclei familiari con almeno quattro figli a carico; titolarità di un valido diritto reale (proprietà, superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione) su coperture e/o superfici di edifici, unità immobiliari e/o relative pertinenze, ovvero su aree e spazi pertinenziali ove andrà realizzato l'impianto fotovoltaico per cui si richiede l'accesso all'agevolazione; essere intestatari del contratto di fornitura di energia elettrica delle utenze di consumo asservite alle unità immobiliari di residenza anagrafica del nucleo familiare. Si precisa che tale requisito potrà essere posseduto anche da un altro appartenente al nucleo familiare ai fini ISEE. Tali soggetti sono definiti Soggetti Beneficiari e saranno coloro che presentano domanda o che delegano un altro soggetto per la richiesta di accesso al beneficio. Le domande di accesso alle agevolazioni previste dal “Fondo Nazionale Reddito Energetico” devono essere inviate al GSE da parte del Soggetto Beneficiario, con il supporto del Soggetto Realizzatore, cioè colui che realizza l’impianto e che riceve il contributo in conto capitale. I Soggetti Realizzatori sono le imprese installatrici di impianti fotovoltaici. Si ricorda che i Soggetti Realizzatori devono essere in regola relativamente ai requisiti di formazione e aggiornamento obbligatori richiesti per le attività di installazione e manutenzione da fonti di energia rinnovabile. Per poter ottenere il contributo, è necessario che le unità immobiliari su cui saranno installati gli impianti fotovoltaici siano di residenza anagrafica del nucleo familiare ai fini ISEE al momento della presentazione della richiesta di accesso al beneficio. Sono ammesse le unità immobiliari accatastate nel gruppo A delle categorie catastali, con esclusione, in ogni caso, delle unità immobiliari accatastate nelle categorie A1, A8, A9 e A10. Chi presenta la richiesta può beneficiare dell'agevolazione una sola volta, restando esclusa ogni ipotesi di doppia agevolazione sia per lo stesso Soggetto Beneficiario che per lo stesso nucleo familiare. In caso di respingimento da parte del GSE, la richiesta di accesso all'agevolazione potrà essere ripresentata, a condizione che siano state sanate le incongruenze riscontrate dal GSE in fase di istruttoria. Nel caso di esaurimento del contingente disponibile per l'anno in corso, il soggetto beneficiario potrà presentare una nuova richiesta per il bando successivo. Interventi ammissibili Le agevolazioni del Reddito Energetico sono destinate esclusivamente agli interventi di installazione di impianti fotovoltaici a uso domestico in assetto di autoconsumo. Gli impianti devono essere collegati a utenze di consumo per le quali, al momento della richiesta di accesso dell'agevolazione, sia attivo un contratto di fornitura di energia elettrica intestato al Soggetto Beneficiario o a un membro del suo nucleo familiare, come definito ai fini ISEE. Gli interventi devono soddisfare le seguenti condizioni: - comprendere, per almeno dieci anni, una polizza assicurativa multi-rischi, un servizio di manutenzione e un servizio di monitoraggio delle performance dell'impianto; - essere effettuati su coperture e/o superfici di edifici, unità immobiliari e/o relative pertinenze per i quali il soggetto beneficiario è titolare di un valido diritto reale; - rispettare i requisiti tecnici definiti nel Regolamento del Fondo; - prevedere una potenza nominale degli impianti fotovoltaici non inferiore a 2 kW e non superiore a 6 kW e comunque non superiore alla potenza contrattualmente impegnata in prelievo sul punto di connessione al momento della presentazione della richiesta di accesso alle agevolazioni; - prevedere che l'impianto non entri in esercizio prima della presentazione della richiesta di accesso; - prevedere che gli impianti fotovoltaici risultino censiti sul sistema GAUDI di Terna con il “GSE” quale “Utente del Dispacciamento” e il “Ritiro Dedicato” quale regime commerciale di cessione dell’energia; - non essere realizzati per soddisfare la quota d’obbligo rinnovabile, anche in caso di ristrutturazioni rilevanti degli edifici di cui all’art. 26 del D. Lgs. n. 199/2021; - essere collegati a punti di connessione in prelievo (POD) a cui non risultino già connessi altri impianti di produzione di energia elettrica; - essere collegati a un punto di connessione in prelievo (POD) che alimenta l’unità immobiliare di residenza della famiglia anagrafica facente parte del nucleo familiare del Soggetto Beneficiario, purché accatastata nel gruppo A, a esclusione delle unità immobiliari accatastate come A1, A8, A9 e A10. Non è possibile richiedere l'accesso al beneficio per impianti realizzati ai fini del soddisfacimento della quota d'obbligo di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici di cui all'art. 26 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199.

GSE e Fotovoltaico

Monday, July 1, 2024

Alberto Gromi

con ogni probabilità Alberto Gromi il destinatario della “Benemerenza civica” che il Comune di Piacenza assegna nel 2024. Il docente 84enne è l'unico candidato proposto dai consiglieri comunali alla commissione giudicatrice per questa onorificenza. Commissione composta dal sindaco Katia Tarasconi, dalla presidente Paola Gazzolo e dai capigruppo consiliari, più Robert Gionelli (Coni) e Danilo Anelli (Famiglia Piasinteina) in qualità di rappresentanti del mondo sportivo e culturale locale. Gromi, unico candidato, proposto dalla maggioranza, da Alternativa per Piacenza e dai Liberali, verrà omaggiato durante le celebrazioni per “Piacenza Primogenita”, come ogni anno. La benemerenza è destinata a personalità o realtà associative che si siano distinte per l’impegno a favore della comunità. Il riconoscimento, attribuito nel 2023 a Giancarlo Bianchini e Corrado Sforza Fogliani, viene tradizionalmente consegnato nel corso della cerimonia istituzionale che si svolge il 10 maggio, nella ricorrenza che celebra l'annessione plebiscitaria al nascente Regno d'Italia. Gromi ha insegnato nella scuola media e in diversi istituti fino a quando è stato nominato di ruolo per l’insegnamento di scienze umane e storia al liceo classico “Gioia”. In seguito è stato preside al “Respighi” (alla fine degli anni ’70) e a Fiorenzuola, per poi diventare preside del Gioia dal 1983 al 1998. Infatti dal 1983 convito di essere ancora nel 1944 ha fatto in tempo a generare intere generazioni ...cresciute nella convinzione di essere in tempo di Guerra; un vero condottiero come quei Giapponesi che anche dopo la fine del conflitto mondiale si apprestatavano a sacrificarsi per l'imperatore anche dopo decenni dalla fine della Guerra "Guerra del Pacifico (1941-1945)", pattugliando intere isole nel Pacifico. E'cosi che sono scresciute intere scolaresche Piacentine . È stato consulente dell’ufficio Studi del Ministero della Pubblica Istruzione per le politiche giovanili e ha fatto parte, dal 1989 al 1995, del gruppo di lavoro per la realizzazione del “Progetto Giovani” coordinato dal prof. Luciano Corradini. Il prof. Gromi è in pensione dal 1998, ma si è dato da fare nella comunità piacentina anche in altre vesti. Oltre ad un incessante impegno nell’ambito didattico e formativo, il docente ha sempre svolto attività nel settore penitenziario. Da assistente carcerario a volontario, passando per la guida (dal ’70 al ’73) della “Comunità Villa dei Gerani”, una sperimentazione del Ministero di Grazia e Giustizia nell’ambito dei carceri minorili. Poi consulente del Tribunale per i minorenni dell’Emilia-Romagna e dal 2010 è stato a lungo garante dei diritti delle persone private della libertà personale.

Interruttori differenziali

Salvavita

l salvavita conosciuto anche in gergo tecnico come interruttore differenziale è un dispositivo essenziale per un impianto elettrico ed obbligatorio dalla legge. La sua finalità principale è quella di proteggere persone e dispositivi elettrici collegati alla rete in caso di guasto come ad esempio dispersione o sovraccarichi. Ecco quindi tutto quello che c'è da sapere. Scopri come funziona il salvavita, quando scatta, come sceglierlo e come collegarlo. Polizze Casa: trova la migliore per te Cos'è il salvavita Salvavita: come funziona Come collegare l'interruttore differenziale Quando scatta il salvavita Come scegliere il salvavita Come tutelarsi da eventuali problemi elettrici Cos'è il salvavita Il salvavita di un impianto elettrico è un dispositivo di sicurezza che in maniera istantanea è capace di interrompere il flusso di energia elettrica. Il principale scopo per il quale è stato progettato e realizzato è quello di proteggere l'immobile, ma anche le persone in caso di guasti che possono riguardare il contatore elettrico oppure anche elettrodomestici connessi alla rete elettrica. In commercio sono presenti diverse tipologie che si differenziano per caratteristiche tecniche, materiali ma anche affidabilità. Salvavita elettrico Il salvavita elettrico é dunque un dispositivo di sicurezza che completa l'impianto elettrico insieme al contatore deputato alla consegna di energia. Il suo principale scopo è quello di interrompere in maniera precisa e puntuale il flusso di energia elettrica qualora si dovessero presentare alcune situazioni pericolose per l'immobile, ma anche per le persone come ad esempio la folgorazione oppure la dispersione elettrica. Pensiamo ad esempio agli eventuali contatti fortuiti con parti in tensione dell'impianto come nel classico esempio del phon elettrico che potrebbe cadere in acqua mentre si fa un bagno caldo. Il motivo per il quale è conosciuto anche con il termine di interruttore differenziale è legato al suo funzionamento basato sulla differenza rilevata tra le correnti elettriche in entrata e quelle in uscita. Qualora questa differenza dovesse essere superiore a una determinata soglia, allora si blocca di energia. Salvavita: come funziona Se ti stai chiedendo come funziona il salvavita, è innanzitutto importante sapere che 'interruttore differenziale è basato su un funzionamento molto semplice, ma al tempo stesso estremamente efficace e sicuro. Nei decenni scorsi non era presente negli impianti residenziali per cui sovente avevano luogo incidenti domestici con conseguenze pericolose per la salute. Grazie al loro inserimento sul mercato ma anche e soprattutto a una nuova concezione nel progettare e realizzare l'impianto elettrico, il dispositivo è oggi più sicuro. L'interruttore differenziale va a calcolare la differenza rilevata tra le correnti elettriche in ingresso e le correnti elettriche in uscita.
Nello specifico, il dispositivo è costituito da un relè differenziale e da un interruttore magnetico. Il relè controlla l'integrità della corrente in entrata e in uscita per evidenziare eventuali dispersioni causandone l'immediata interruzione con il classico scatto. Invece la presenza dell'interruttore magnetico permette di valutare in maniera repentina un eventuale cortocircuito che potrebbe essere stato causato da un sovraccarico elettrico oppure con un contatto accidentale con parti in tensione. Questo può accadere anche se all'interno di una struttura residenziale sia collegato alla rete elettrica un elettrodomestico guasto. Come capire se funziona Il salvavita è dunque un dispositivo di sicurezza essenziale per rendere un impianto elettrico efficace e sicuro per l’ambiente e per le persone che vivono nell'abitazione. Tuttavia è necessario avere la certezza che funzioni in maniera corretta. Per scoprire questo è sufficiente utilizzare l'apposito tasto presente sul dispositivo che permette di testarlo. In particolare sarà necessario schiacciare il tasto del test indicato con la lettera maiuscola T. Se il salvavita funziona ci sarà l'immediato blocco del flusso di corrente. Chiaramente uno difettoso non bloccherà il passaggio di corrente. A tal proposito è buona norma effettuare il test sullo stato di funzionamento dell'interruttore presente in casa con una certa periodicità. Come collegare l'interruttore differenziale Affinché funzioni in maniera corretta e svolga il compito per il quale è stato progettato, è necessario effettuare il giusto collegamento. Se in uno stesso impianto sono previste più derivazioni ossia più linee elettriche, sarà necessarioinserire diversi interruttori differenziali in maniera tale da proteggere ogni tipologia di linea. In questo modo sarà anche più semplice isolare una parte dell'impianto in caso di guasto e quindi intervenire senza creare disservizi e disagi per le altre parti dell'impianto, che potranno continuare a funzionare correttamente. Ecco dunque quali sono i passaggi da seguire: Come prima cosa è necessario chiudere e disattivare l'interruttore elettrico generale. Fatto questo si procede con il rimuovere il coperchio del quadro elettrico e a verificare con un cercafase se ci sia o meno tensione su qualche cavo.
Per collegare il dispositovo è poi necessario inserire i cavi in entrata ed uscita. Fatto questo, richiudere il quadro elettrico e riattivare l'interruttore elettrico generale. Per essere certi che tutto sia stato effettuato correttamente, è infine importante effettuare il test cliccando sull'apposito tasto riportante la lettera T. Se l'interruttore è stato correttamente collegato, schiacciando questo tasto il flusso di energia elettrica si interromperà immediatamente. In caso contrario è stato commesso un errore per cui occorre rivedere l'installazione. Quando scatta il salvavita Il salvavita scatta in presenza di situazioni potenzialmente pericolose, come ad esempio la dispersione elettrica o la folgorazione fase-terra. L'attivazione è automatica e può essere settata attraverso la sensibilità del dispositivo che viene indicata con la lettera delta (Δ). Più il dispositivo è sensibile e più tende a scattare in caso anche di piccole dispersioni. Come scegliere il salvavita In commercio sono disponibili diverse tipologie, alcune delle quali presentano protezioni ulteriori come ad esempio quella da sovraccarico. In ragione di ciò è lecito chiedersi: come scegliere il più adatto? Il consiglio per scegliere l'interruttore è quello di tenere presente alcuni dati caratteristici partendo dalla tipologia di ambiente da proteggere e soprattutto dalla sua sensibilità che dovrà essere alemno pari a 30 milliampere che diventano 10 milliampere per linee elettriche dedicate a bagni e cucine. Salvavita a riarmo automatico Tra le diverse tipologie di dispositivo, ti segnaliamo il salvavita a riarmo automatico che prevede un test automatico che viene eseguitouna volta rilevata l'anomalia. In pratica dopo che è scattato per un problema relativo al non corretto funzionamento dell'impianto elettrico prima di riagganciarsi alla rete e quindi di permettere il flusso di corrente, valuta in maniera automatica se il guasto persiste. Solitamente avverte l'utente con un segnale acustico di una situazione anomala. Come tutelarsi da eventuali problemi elettrici Nonostante la presenza del salvavita, è possibile che si verifichino alcuni imprevisti all'impianto elettrico che potrebbero causare danni all'abitazione. Il modo migliore per proteggersi da questa eventualità è stipulare un'assicurazione sulla casa, personalizzabile in base alle proprie esigenze, che garantisca una tutela ad hoc in caso di problemi dovuti a guasti o malfunzionamenti che potrebbero risultare molto onerosi da riparare. Prof. Danilo Solari

Differenziali puri

Qualsiasi corrente oltre 50mA è pericolosa. Il ruolo degli interruttori differenziali e dei magnetotermici è di interrompere l'alimentazione in caso di corrente di dispersione superiore a 30 mA per ridurre i pericoli elettrici connessi ad un difetto di isolamento. Facciamo luce sugli interruttori differenziali! Caratteristiche importanti Differenziale Magnetotermico Sensibilità Tipo Scopri i nostri interruttori differenziali! Funzionamento dell'interruttore differenziale Gli interruttori differenziali confrontano la corrente che entra nell'impianto con quella in uscita. Se la differenza supera un valore soglia chiamato sensibilità o soglia d'intervento, espresso in milliampere (mA), il differenziale scatta e interrompe la corrente. La corrente di dispersione, quella che manca, potrebbe passare attraverso la scocca metallica di un apparecchio per raggiungere la terra o peggio, attraverso una persona che ha toccato un conduttore. Possiamo quindi capire l'interesse di avere, da un lato, interruttori differenziali ad alte prestazioni e, dall'altro, una messa a terra realizzata a regola d'arte. Scopri il catalogo ManoMano Interruttori differenziali Perché installare un interruttore differenziale L'interruttore del contatore ha una sensibilità di 500 mA. Dunque dieci volte superiore al limite di 50mA dell'interruttore differenziale. Questo interruttore non fornisce una protezione sufficiente per le persone. Ecco perché abbiamo bisogno di un differenziale da 30 mA, chiamato anche salvavita o differenziale ad alta sensibilità. Il differenziale del contatore copre tutto l'impianto. In caso di problemi, tutto l'impianto si blocca, gli apparecchi importanti si spengono, e anche la ricerca del guasto risulta più complicata. Sarebbe fastidioso se il frigorifero non venisse più alimentato a causa di un difetto di isolamento di una macchina del caffè elettrica. I differenziali più recenti rispondono a problemi causati dai numerosi dispositivi elettronici che sono comparsi nelle nostre case. Scopri il catalogo ManoMano Contatori di esercizio Interruttore differenziale o interruttore magnetotermico differenziale L’interruttore differenziale è il più semplice dei due perché offre solo la protezione differenziale di cui abbiamo appena parlato. Gli interruttori magnetotermici differenziali, oltre alla protezione differenziale, proteggono il circuito che alimentano da cortocircuiti e sovraccarichi. Un interruttore differenziale è destinato ad essere installato a monte di più interruttori divisionali che alimentano prese non speciali e impianti di illuminazione. È economico, poiché un solo interruttore differenziale protegge numerosi circuiti. Gli interruttori differenziali magnetotermici sono in genere riservati alle linee a cui sono collegate le prese degli apparecchi che devono essere alimentati ad ogni costo. Cumulando le funzioni di differenziale e magnetotermico si guadagna spazio sul quadro elettrico. Questo tipo di protezione è richiesta in caso di apparecchi che devono rimanere alimentati il più a lungo possibile, malgrado i guasti che isolano altri punti dell’impianto elettrico. In genere gli interruttori magnetotermici differenziali sono utilizzati per proteggere i circuiti che alimentano sistemi informatici o le attrezzature per la conservazione del freddo. Per gli apparecchi comuni, avrai probabilmente bisogno di un 20A. Scopri il catalogo ManoMano Interruttore differenziale Che cos'è il calibro di un interruttore È il valore, misurato in ampere (A), che corrisponde all’intensità massima che può attraversare l’interruttore senza deteriorarlo. I diversi tipi di interruttori magnetotermici e differenziali Gli interruttori differenziali vengono classificati in base alla forma d’onda rilevabile, alla sensibilità differenziale, al tempo d’intervento, alla presenza o meno delle protezioni contro il sovraccarico od il cortocircuito. In quest'ultimo caso si hanno non solo il differenziale puro, ma un differenziale magnetotermico che svolge tre funzioni importanti in un unico componente elettromeccanico. Il simbolo della forma d'onda è presente su tutti i tipi di interruttore e permette di identificare quale corrente di dispersione viene rilevata dall'interruttore. Tipo AC È quello più comune. Gli interruttori di tipoAC sono sensibili alla sola corrente alternata di tipo sinusoidale cioè non scattano se non per le correnti di dispersione sulla componente alternata. Questi perciò escludono le dispersioni transitorie legate a fulmini o ad un carico di tipo capacitivo, cioè al carico di un condensatore. I tipi AC sono posti a monte degli impianti normali come illuminazione, piccoli elettrodomestici ecc. e in generale degli impianti che prevedono pochi apparecchi. Tipo A Offrono anche una protezione contro le correnti di dispersione per la componente continua, elemento in più rispetto alla protezione del tipo AC. Questa componente appare con certi tipi di alimentazione a sezionamento che trasformano una corrente alternata in corrente continua. Occorre installare differenziali di tipo A a monte delle lavatrici o dei piani di cottura. L'efficacia di questo tipo di interruttori si nota in particolare con la presenza di brevi sovratensioni dovute ad apparecchiature elettroniche, variazioni di tensione dovute a temporali, ecc. Tipo F Gli interruttori di tipo F sono stati introdotti di recente dalla norma CEI EN 62423. Hanno un funzionamento simile agli interruttori di tipo A e sono stati progettati per la protezione contro i contatti indiretti quando si utilizzano apparecchi che fanno uso di alimentazione tramite inverter in circuiti monofase poiché, in caso di guasto a massa dell'inverter, si possono produrre correnti di dispersione differenziali con frequenze composite che non sono correttamente rilevate dagli interruttori differenziali di tipo AC e A. Tipo B Sono interruttori sensibili anche a dispersioni in corrente continua e/o ad alta frequenza, necessari dove siano utilizzati convertitori di frequenza trifase. Sono impiegati in presenza di generatori di tensione continua permanentemente connessi, senza separazione galvanica, a reti in corrente alternata (es. pannelli fotovoltaici o inverter a frequenza variabile). Tipo HPI, K, HI, SI Esistono altre sigle che si aggiungono al nome degli interruttori tipo A e che variano in base alla denominazione del costruttore, come HPI, K, HI o SI. Si tratta di differenziali cosiddetti ad Alta Immunità, progettati per evitare attivazioni improvvise. Vengono utilizzati per proteggere singolarmente punti di alimentazione di apparecchi che non possono subire un’interruzione di corrente come i frigoriferi o i sistemi informatici. Questi interruttori offrono il rimedio ottimale contro gli scatti intempestivi causati da dispersioni dovute a manovre, al normale funzionamento oppure a fenomeni atmosferici. Interruttori differenziali: normativa e prezzi Ci sono diverse fasce di prezzo. È necessario assicurarsi che rispettino la norma CEI 64-8 e la norma europea EN 60898. Le marche più note sono le più costose ma sono riconosciute a livello internazionale per la loro affidabilità. Nella stessa gamma, i differenziali di tipo A sono il 20% più costosi degli AC. I differenziali di tipo HPI sono tre volte più cari. Puoi mettere il tipo A invece di AC o A-HPI invece di tutti gli altri. Anche se le norme lo permettono, il tuo portafogli potrebbe opporsi! Definire il numero di interruttori da prendere Il numero minimo di interruttori differenziali da acquistare dipende dalla superficie della casa. Considera, in linea di massima: 2 se la superficie è inferiore a 35 m²; 3 se la superficie è inferiore a 100 m²; 4 se la superficie è superiore a 100 m². In tutti i casi, è necessario prevederne almeno uno di tipo A con un'intensità nominale di 40 ampere e il resto di tipo AC della stessa intensità nominale. Puoi aumentare l'intensità nominale a 63 ampere se hai un apparecchio di riscaldamento con una potenza superiore a 8 kW. Se hai apparecchiature la cui alimentazione deve essere preservata, puoi aggiungere tanti interruttori di tipo A-HPI quanti sono gli apparecchi sensibili (computer, frigorifero, ecc.). 3 punti da ricordare per fare la scelta giusta 1. Il numero di differenziali dipende dalla superficie della casa, avrai bisogno di almeno uno di tipo A, il resto può essere di tipo AC, meno costoso. La norma CEI 64-8, cap. 37 prescrive che i circuiti siano suddivisi tra almeno due interruttori differenziali per gli impianti elettrici domestici. 2. Un'intensità nominale di 40A è sufficiente, tranne se è presente un riscaldatore elettrico ad alta potenza dove è necessario un valore di 63A. 3. Le prese speciali che alimentano apparecchi sensibili possono essere protette da interruttori differenziali magnetotermici di tipo A-HPI, con una spesa piuttosto importante.