Sunday, April 6, 2025

Cesare Stevan a cura di Fabrizio Schiaffonati

Il 13 maggio 2024 è mancato Cesare Stevan 87 anni, dopo una lunga battaglia una notizia che ha suscitato un’ondata di emozioni. Al Politecnico di Milano, ma anche in città per la sua presenza politica e culturale in un arco temporale di sessant’anni. In questo momento molte voci lo hanno ricordato e non mancheranno certo altre occasioni per ritornare a ragionare sul ruolo da lui avuto e sul suo lascito, in particolare in ambito accademico dove sono reperibili le informazioni e le testimonianze per ricostruire e approfondire complesse vicende della formazione universitaria. Un lavoro che, con l’oggettività storica, sarà di grande utilità per ricostruire passaggi importanti per la città, tanto più utile oggi nel clima di inquietante incertezza per l’urbanistica e l’architettura milanese. Una figura così longeva con una presenza continuativa, ci permette di ripercorrere molti degli indirizzi nel governo del territorio, di diverse e anche controverse stagioni. Questo breve ricordo vuole collocarsi nella direzione di un confronto tanto più necessario oggi a Milano, dove si impongono scelte per ritrovare una linea riformista. Alcuni spunti quindi che nascono dalla nostra amicizia, da una parallela vicenda accademica, da un intreccio di ruoli e responsabilità nel Politecnico e non solo. Mi par utile richiamarne alcuni principali passaggi. Nei primi anni Sessanta, col sindaco Gino Cassinis non a caso già rettore del Politecnico, si anticipa la stagione politica del Centrosinistra e si dà luogo a scelte urbanistiche ed edilizie di fondamentale importanza: la realizzazione di grandi quartieri di edilizia economica e popolare col piano decennale Gescal, la realizzazione di decine di edifici scolastici per l’attuazione della riforma della scuola dell’obbligo, la istituzione del Consorzio del Piano Intercomunale Milanese per il coordinamento urbanistico e la programmazione dei servizi di 92 comuni dell’hinterland. In questo contesto la Facoltà di Architettura opera un repentino cambiamento sulla spinta della prima occupazione studentesca con la contestazione dei docenti dell’ “ancien regime” della precedente gestione di Piero Portaluppi. Da Venezia si trasferiscono Lodovico Belgiojoso e Franco Albini che con Ernesto Natan Rogers diventano un fondamentale punto di riferimento. Una politica dell’ascolto delle istanze studentesche, con una apertura ai temi del progetto dei servizi e dell’abitazione, con una primaria attenzione all’urbanistica. Un clima che apre la Facoltà agli ambienti politici e intellettuali della città, culminato con la cerimonia nel 1964 della laurea ad honorem a Alvar Aalto, Louis Kahn, Kenzo Tange, in occasione del centenario del Politecnico di Milano. L’anno prima era stata formata la Commissione Paritetica, con sette studenti eletti e i sette professori ordinari del Consiglio di Facoltà. Con Stevan ci incontravamo con loro per la discussione degli indirizzi didattici, non in modo formale ma con una dialettica, dove la nostra esuberanza giovanile trovava ascolto e accoglimento per un profondo rinnovamento dei contenuti e dei metodi d’insegnamento. Un vero laboratorio con la scuola aperta alla città, un approccio interdisciplinare e il coinvolgimento di tante figure. Il carisma di Rogers, con la rivista Casabella, era certamente da catalizzatore. Colpiva già in Stevan l’equilibrio e l’attenzione per gli aspetti istituzionali, la capacità di ascolto e anche di mediazione rispetto a nostri velleitarismi. Un equilibrio destinato a infrangersi con l’ondata del Sessantotto, che travalicava confini ed esondava da ogni parte, mettendo in discussione certezze e assetti. I fermenti dei primi anni Sessata in cui ogni agitazione era ricomposta da ragionamenti e da aperti confronti, avevano consentito l’arrivo a Milano anche di Paolo Portoghesi, certamente per volontà di Rogers e Belgiojoso. Scelta tutt’altro che facile nel settore della Storia dell’Architettura, tra i più arroccati. Le vicende successive della sospensione nel 1973 dei membri del Consiglio di Facoltà, e a cascata di un gruppo di docenti da loro incaricati, sono note. Un clima difficile, con quello che ne sarebbe conseguito. Con Stevan ci impegnammo nel contrasto al Comitato Tecnico che era subentrato al Consiglio di Facoltà, con il ricorso al Consiglio di Stato contro la nostra sospensione e la legittimità dei provvedimenti ministeriali. Seguivamo passo passo l’azione legale intrapresa, aprimmo diverse interlocuzioni con esponenti politici comunali e regionali, e ci recammo a Roma in occasione dell’udienza in Consiglio di Stato. Il fronte dei docenti sospesi nella difesa di era diviso, da un lato quelli d’area comunista e dall’altro socialisti ed “extraparlamentari”; nonostante lo sforzo di Stevan e mio di andare uniti. La sentenza del Consiglio di Stato accoglieva appieno le motivazioni della difesa del nostro gruppo, basate su questioni di principio e non di appartenenza politica. Prima dall’udienza, mi avvicinai con la disarmante disinvoltura giovanile al professor Giuseppe Guarino, poi futuro ministro democristiano, che rappresentava l’accusa del Ministero. Mi presentai e ne ebbi subito una breve paternale non priva di comprensione. La sua arringa concisa e per nulla avvocatesca, richiamava il clima difficile e la necessità di comprendere e dialogare per superare i conflitti: in pratica apriva a una sentenza favorevole alla nostra reintegrazione e al ripristino del Consiglio di Facoltà per illegittimità del Comitato Tecnico. Ho ritenuto opportuno ritornare su questo passaggio perché da allora si apre una nuova difficilissima fase per gli equilibri interni alla Facoltà, nella gestione del grande numero di iscritti a seguito della Riforma Codignola del 1969 che aveva liberalizzato l’accesso ai corsi universitari. Qui l’impegno di Stevan non manca, anche per frenare estremismi, mantenendo sempre aperto il dialogo con la variegata geografia di movimenti e gruppuscoli, di turbolenti momenti assembleari, di attacchi a docenti. Un decennio che nel 1982 lo posterà alla presidenza di Architettura. Una elezione che riproponeva la stessa divisione vissuta in Consiglio di Stato. Un confronto da lui condotto a viso aperto da cui era chiara la linea pluralista che avremmo imboccato. Rispettosa di ogni settore disciplinare, senza insegnamenti “ancellari” rispetto alla Composizione Architettonica. Abbiamo quindi vissuto gli anni Ottanta, a valle della legge che istituiva i dipartimenti, i dottorati di ricerca e riordinava la docenza, il suo impegno e per l’attuazione di quei provvedimenti. Importante il suo appoggio per il consolidamento e sviluppo dell’area della Tecnologia dell’Architettura, per un approccio alla progettazione integrata alle competenze economiche e gestionali, anticipatrice delle questioni ambientali. Nel 1981 era diventato professore ordinario di Architettura Sociale, disciplina da lui fondata e strutturata per ribadire la centralità dei servizi nell’assetto del territorio e della città. La Facoltà cresceva, con l’attenzione anche alla formazione permanente, a corsi extracurricolari, a master e rapporti internazionali, a partire dal fondamentale concetto di “libertà di insegnamento”. Stevan, un primus inter pares, per cui molti lo ricordano in molte occasioni culturali e istituzionali. Ma degli anni Ottanta è importante ricordare anche quanto avveniva nell’urbanistica cittadina: una fase controversa non priva di cambiamenti con il nuovo Piano Regolatore, con più di cinque milioni di metri di aree dismesse, i nuovi processi di terziarizzazione, la rete dei trasporti e dei servizi da potenziare. Qui il ruolo di Stevan si fa visibile nella interlocuzione con l’amministrazione comunale, promuovendo momenti di confronto sulle grandi funzioni urbane e per una urbanistica con i Piani d’Area di indirizzo e coordinamento. Una scala imprescindibile senza la quale il coacervo delle singole iniziative è destinato a far danno molto più di quanto non si creda. E la situazione odierna insegna. Allora la sua intuizione per il Politecnico alla Bovisa. Non un nuovo Ateneo, come in altre università, ma un articolato decentramento. Il PIM, fin dagli anni Settanta aveva ipotizzato una nova sede del Politecnico in una Città della Scienza a Gorgonzola sulle Celeri dell’Adda. Stevan, con il rettore Emilio Massa, coglie l’opportunità di un nuovo insediamento in Milano, per far fronte alla grande carenza di spazi. Una decisione allora nel Senato Accademico, limitato al rettore e ai due presidi di ingegneria e architettura. Prende avvio l’insediamento di Bovisa. Massa mi coinvolge, come membro eletto nel Consiglio di Amministrazione, nei primi sopralluoghi per l’affittanza della Ceretti e Tanfani per un primo insediamento del dipartimento di Tecnologia dell’Architettura. Nella Segreteria Tecnica per l’Accordo di Programma dei primi anni Novanta, con Valeria Erba prorettore e Giorgio Diana coordinatore dei direttori dei dipartimenti, operiamo con grande unità di intenti per quella iniziativa. Si apre un nuovo decennio: nuovi ordinamenti, nuovi corsi ed indirizzi didattici. Una fase di profondo cambiamento della struttura e articolazione territoriale delle università in tutta Italia. Qui Stevan mette in campo la sua consolidata esperienza e conoscenza dei complessi meccanismi istituzionali. Il suo, un approccio che mira sempre ai contenuti, per non farsi ingabbiare dalla rete burocratica. La sua è la carica elettiva di tutta la base docente, che gli riconferma la fiducia più volte e lo sostiene con un indirizzo maggioritario, anche quando una parte deciderà di dar luogo a un’altra Facoltà alla Bovisa. La divaricazione culturale dei nostri trascorsi si ripropone, nel merito della quale non mi dilungo, senza però non osservare la sua breve durata. Ritornava la presunzione di un primato di alcune discipline, di un diverso approccio al mercato al lavoro, delle competenze e dei ruoli professionali. Vengo ora al dopo Duemila. La presidenza Stevan si chiude e si apre al compito di prorettore del Polo di Mantova. Una in iniziativa che mi ha visto fin dalla sua incubazione negli ultimi anni Ottanta insieme e al suo fianco, promuovendo un articolato rapporto con istituzioni e numerosi contratti di ricerca con enti territoriali, che aprono a nuovi docenti e giovani ricercatori. Un contesto dove Stevan raccogli riconoscimenti per l’equilibrio e la capacità di strutturare la nuova sede nel quadro di un Politecnico a scala regionale. Richiamo anche il suo ruolo per una presenza dell’Architettura nella Facoltà di Ingegneria di Pavia, come pure la collaborazione con l’Accademia di Mendrisio dove abbiamo operato nel rapporto con Mario Botta e Aurelio Galfetti per il riconoscimento della loro laurea a livello europeo. Io da lui delegato, con il supporto di Aldo Castellano e Sergio Crotti. Nel 2002 Stevan fu a un passo per diventare rettore. Consistenti settori dell’ingegneria apprezzarono il suo programma per una cultura politecnica aperta alle problematiche sociali ed urbanistiche, e per un rinnovato impegno per la collaborazione tra Architettura e Ingegneria. Al ballottaggio Osvaldo De Donato, preside di ingegneria, espresse il suo appoggio, ma interferenze e defezioni portarono ad un diverso esito. Voglio chiudere questa breve disanima sulla figura di Cesare Stevan con un recente ricordo. Il primo maggio mi ha invito un suo scritto su Paolo Portoghesi per una pubblicazione a un anno della scomparsa. Più che un saggio una testimonianza della umanità e del tratto di Portoghesi, col titolo “Il disegno di una continuità”. Così scrive Stevan: “Tra gli aspetti che più ho apprezzato nel rapporto con Paolo è la maturità con cui sapeva veicolare un ‘messaggio-insegnamento’ rivolto in particolare ai giovani docenti: la necessità cioè di cambiare prioritariamente se stessi se si vuole operare un cambiamento seppur piccolo del mondo”. Questa riflessione mi è parsa la chiave che ha ispirato l’operato di Stevan nella sua lunga dedizione all’insegnamento e agli impegni istituzionali della Facoltà di Architettura e nel Politecnico. Fabrizio Schiaffonati . «ll 1984 è stata la tappa finale: passò quindi l’idea di avere un indirizzo di Laurea, per promuovere un Corso di Laurea in Disegno industriale. La realizzazione vide passare ancora dieci anni, dall’84 al ‘93, per riuscire ad arrivare, alla fine da me auspicata, di una Facoltà del Design. La cosa era da me auspicata non solo astrattamente, per ragioni culturali, perché vedevo in questa apertura sul design una cultura nuova, aperta, che affrontasse le nuove realtà di progetto, ma ci tenevo anche perché è stata, dalla fondazione del Politecnico, l’unica vera innovazione dell’Ateneo: passare da due a tre Facoltà.» Ricordo ad un convegno sulla Sanità qualche anno fa in Piazza Leonardo a Milano relativamente alla "Progettazione di Ospedali" , affermò di essere ancora vivo grazie alla sua meticolosa ricersa in campo Scientifico ! Il 10 febbraio 2024 il Ministero dell'istruzione ha confermato l'insegnamento della Matematica e Fisica nei Licei Scientifici. L'Uomo ha sempre bisogno di asseverare se stesso ! In primis vince la competizione con gli ingegneri, e successivamente crea un bacino di designer, in Bovisa Milano . Complimenti !!!! il gioco è fatto, in una città come Milano ove i laureati superano i non laureati per numero. Addio Preside ! Danilo Solari

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