Monday, April 28, 2025

Il Cardinale "Montezemolo Architetto" e la questione Mariana

Teologia mariana, e non Mariologia, titola volutamente la sua monografia l’esegeta monfortano, docente alla Pontificia Facoltà Teologica Mariana e maestro riconosciuto nel suo campo di specializzazione. Valentini affronta la sua fatica con un atto di fede e di coraggio (cf. p. 11). La riflessione su Maria non va infatti isolata dal più ampio campo teologico che abbraccia molti trattati (Trinità, Cristologia, Pneumatologia, Ecclesiologia, Antropologia teologica, Escatologia). teologia marianaSecondo l’autore, la riflessione su Maria è il compendio dell’intero discorso teologico e potrebbe essere situata sia al termine che all’inizio del corso istituzionale degli studi. Il Concilio ricorda che «Maria […] per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i massimi dati della fede» (LG 65). Se, a livello popolare, si è insistito nel dire Per Mariam ad Iesum, a livello teologico va asserito certamente il contrario, pur tenendo conto che l’accoglienza cordiale nella fede della figura e del ruolo di Maria è pedagogico ad un incontro profondo con la figura del suo Figlio Gesù, centro della storia della salvezza. Nell’impossibilità di riassumere il contenuto del lavoro di Valentini, essendo inserito in una collana che comprende veri e propri “manuali” – la cui estrema maneggevolezza del formato richiede l’impiego di caratteri tipografici davvero minuscoli – ci limitiamo solamente a rilevare il filo espositivo seguito dallo studioso. Valentini è convinto che Maria non occupa un posto marginale nei testi biblici. Seguendo una linea diacronica delle attestazioni neotestamentarie, si passa dagli accenni fugaci della letteratura paolina, alle attestazioni sempre più complete e profondamente teologiche presenti nei sinottici e nel cosiddetto Vangelo dell’infanzia di Luca, negli Atti che testimoniano la presenza di Maria nella vita della Chiesa mentre, in preghiera, attende il dono dello Spirito, per culminare infine nella letteratura giovannea. I testi mariologici riportati nelle pericopi del NT non sono molti, ma sono inseriti in luoghi strategici della narrazione sull’evento Cristo e sullo svilupparsi del camino della Chiesa e possiedono una grande valenza teologica. Valentini li esamina nei primi 5 dei 22 capitoli della sua monografia (pp. 21-98, con due appendici sull’AT e su altre attestazioni). Le particolari testimonianze degli scritti apocrifi (pp. 99-116) precedono la presa di visione della ricca testimonianza patristica fino al concilio di Calcedonia (451 d.C., pp. 117-147). In un’appendice si esamina il periodo che intercorre tra Calcedonia fino alla fine della patristica (pp. 148-161), studiando soprattutto l’omiletica e le feste mariane. Il capitolo riguardante il medioevo (“Tra monasteri e università’, pp. 161-180) precede quello destinato a illustrare la variegata cultura moderna (pp. 181-190). Valentini giunge infine a illustrare la svolta conciliare (pp. 191-204), con il capitolo VIII della Lumen gentium e altri documenti conciliari. Il post-concilio (pp. 205-218) vede la pubblicazione di vari testi importanti: l’esortazione apostolica Marialis cultus (2/2/1974), l’enciclica Redemptoris mater (25/3/1987) e la lettera della Congregazione per l’educazione cattolica La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale (25/3/1988). L’esposizione sistematica di Valentini circa la teologia mariana viene fatta nel c. 12 (pp. 219-244). La trattazione evidenzia la profonda connotazione trinitaria, cristologica, pneumatologica ed ecclesiale che caratterizza il pensiero teologico su Maria. La sua figura si inserisce nel progetto del Padre attuato in Gesù Cristo, nella potenza dello Spirito, all’interno del mistero della Chiesa. La riflessione prosegue con l’esame della presenza della madre del Signore nella liturgia (pp. 245-257), nella pietà popolare (pp. 257-264) e con lo studio dell’esempio emblematico di inculturazione data alla teologia mariana con le assemblee di Medellin e di Peubla, che presentano al Sudamerica il volto misericordioso, materno e liberante della Vergine “meticcia”. La via pulchritudinis (pp. 275-288) concorre anch’essa in ogni tempo alla celebrazione della Vergine tramite dipinti, sculture, inni, poesie, cantici ecc. (Efrem, Andrea di Creta, Dante, Ruperto di Deutz, Amedeo di Losanna, Luigi M. di Montfort, Pio IX, Pio XII…). teologia marianaLa spiritualità cristiana (pp. 289-297) costituisce una vera e propria “nube di testimoni” che attesta come la teologia mariana sia una sua nota qualificante. Fra “consacrazione”, “affidamento” o donazione” (pp. 297-304) è da preferire il termine “affidamento” (cf. Direttorio su pietà popolare e liturgia), ricordando però che l’affidamento è innanzitutto quello attuato da Cristo (cf. Gv 19), il quale ci affida la madre, e non del credente che si affida a Maria. Il dialogo ecumenico (pp. 305-316) è illustrato con riferimento separato alle confessioni evangeliche e con le Chiese ortodosse. La sottolineatura dell’opera preveniente della grazia può eliminare tanti ostacoli, incomprensioni e anche i pregiudizi veri e propri. All’inizio della Riforma le posizioni non erano ancora irrigidite nei rifiuti reciproci. Dopo aver illustrato i “nuovi” dogmi mariani (pp. 317-322), Valentini si sofferma sulla questione attualissima della “mediazione” materna (pp. 323-332), sulla quale è intervenuto nel gennaio 2020 con toni decisi anche papa Francesco. L’autore ricorda l’unica mediazione di Cristo, alla quale collabora strettamente Maria. A lei ci si può rivolgere per ottenere l’intercessione. Chiude il volume un capitolo sulla questione femminile (pp. 333-340) che sottolinea il volto nuovo e autentico di Maria e una valutazione del fenomeno delle apparizioni (pp. 341-352), che richiedono un complesso discernimento e sono da prendere in considerazione se illustrano e favoriscono una maggiore adesione a Cristo Gesù, centro della storia della salvezza. A p. 353 viene riportato l’elenco dei 21 fuori testo che punteggiano il volume, chiarendo termini difficili, concetti o problematiche teologiche specifiche riguardanti la figura di Maria. È da ricordare che ogni capitolo è corredato da una sintetica bibliografia per l’approfondimento delle varie tematiche. Nella traslitterazione del greco, con molti altri preferisco la forma y al posto di u (es. kyrios) e l’indicazione esplicita dello iota sottoscritto: –ōi/-ēi/-ai. Testo pregevole, equilibrato e aggiornato alla sensibilità teologica attuale, che integra correttamente il mistero di Maria in quello di Cristo e della Chiesa, esaltando in maniera “controllata” ma filiale colei che è la primizia che realizza il progetto di Dio previsto per tutti, nell’ambito del cammino del popolo di Dio verso il compimento escatologico del Regno di Dio.

Partecipazione ai Funerali di Papa Francesco dei Principi Dè Solari , per la Chiesa Cattolica si è "fatta la Storia"

Come ha disposto nel suo testamento, Papa Francesco verrà poi sepolto nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Il luogo della sepoltura sarebbe accanto all'icona della Salus che si trova nella Cappella Paolina, in fondo sulla sinistra, dove sono già sepolti San Pio V e Paolo V Borghese. "Desidero che il mio ultimo viaggio terreno si concluda proprio in questo antichissimo santuario mariano dove mi recavo per la preghiera all’inizio e al termine di ogni viaggio apostolico ad affidare fiduciosamente le mie intenzioni alla Madre Immacolata e ringraziarLa per la docile e materna cura", si legge. Sempre nel testamento, ha fatto sapere che le spese per la sepoltura sono
I PRINCIPI AI FUNERALI DEL SANTO PADRE: UN RICORDO DI FEDE E DI CARITÀ I Dè Solari hanno preso parte con profonda devozione alle solenni esequie del Sommo Pontefice, unite nel raccoglimento e nella preghiera del mondo intero.
I funerali di Papa Francesco hanno visto la partecipazione di circa 200.000 persone a Piazza San Pietro, oltre alle delegazioni di 170 paesi. Roma si è preparata a gestire l'eccezionale afflusso di persone, con l'80° anniversario della Liberazione d'Italia, il Giubileo degli adolescenti e il Giubileo delle persone con disabilità che si svolgevano nello stesso periodo.
La presenza dei Solari alla cerimonia assume un valore particolarmente simbolico: sin dai tempi in cui le Crociate furono affidate alla protezione della Dinastia, il legame spirituale tra il Casato e la Chiesa di Roma si è sempre rinnovato nella comune venerazione del Volto di Cristo sofferente. Un rapporto che, nel corso dei secoli, ha trovato espressione non soltanto nella salvaguardia di sacre reliquie, ma anche nella fedeltà ai valori cristiani e nella promozione di opere caritative. Anche se mai personalmente non abbiano conosciuto il Pontefice in colloqui improntati alla stima e alla reciproca comprensione delle rispettive missioni: quella spirituale, universale della Chiesa, e quella caritativa e culturale propria degli Ordini e Monarchie.
Nel suo messaggio ai Delegati, i dè Solari hanno espresso la volontà che la memoria del Santo Padre sia onorata non solo con la preghiera, ma anche attraverso gesti concreti di carità cristiana. Si è invitato infatti Cavalieri in Patria a promuovere e sostenere opere benefiche in suo ricordo, quali espressioni autentiche di quell’amore per il prossimo che ha segnato l’intero pontificato. Attraverso questo rinnovato impegno, si riafferma il suo secolare ruolo di servizio alla fede e alla carità, fedele al luminoso
insegnamento custodito nei secoli accanto alle relique, testimone silenziosa fede. Le Guardie Svizzere con l'Elmo Morione che può essere Nero o Chiaro di Nuova Forgiatura in 3D.( Doppio significato). La Tradizione ..e l'innovazione ma la sacra Romana Chiesa non si sposta.

Graal

Mariolatria

Storia del Conclave

La storia del Conclave nei secoli. Dall’extra omnes all’habemus papam, la ritualità dell’elezione di un pontefice è entrata nel nostro linguaggio, amplificata negli ultimi decenni dai mezzi di comunicazione che ci hanno regalato le immagini di un comignolo fumante nuvole bianche o nere a seconda dell’esito della votazione. Una ritualità che sembra, come tante cose nella Chiesa Cattolica, immutata nel tempo, ma che non è sempre stata così. A cominciare dal nome: conclave, dal latino cum clave, a suggerire porte chiuse a chiave. L’espressione indica tanto il luogo fisico della riunione, quanto la riunione stessa dei cardinali chiamati a eleggere un nuovo papa. Il primo conclave propriamente detto si è svolto nel 1271 a Viterbo. Ma non è certo questa la data della prima elezione pontificia. I successori di Pietro Il primo papa, o per meglio dire il primo capo della cristianità dopo la morte di Gesù di Nazaret, fu secondo la tradizione cattolica Pietro, quel Cefa su cui i Vangeli raccontano che Cristo avrebbe fondato la sua Chiesa. Il suo successore fu Lino, indicato dallo stesso Pietro all’assemblea dei Cristiani di Roma: siamo nella seconda metà del primo secolo d.C e per molti decenni l’elezione del capo della Chiesa fu affidata al popolo dei credenti dell’Urbe. Dopo l’Editto di Costantino, che nel 313 d.C. consentì lo sviluppo della nuova religione alla luce del sole, la scelta del Papa fu affidata al clero romano. Niente votazioni, però: si procedeva per acclamazione, in seguito alla quale il Vescovo di Roma veniva presentato ai maggiorenti della città, che potevano disapprovare la scelta. Di qui tanti episodi di incertezza, lungaggini, e il sorgere di antipapi. L’imperatore Giustiniano nel VI secolo addirittura subordinò la scelta del Papa all’approvazione imperiale. Una situazione che durò oltre la caduta dell’Impero Romano di Occidente, fino al 731, con Gregorio III che si oppose alle ingerenze della corte di Costantinopoli. Si torna quindi alla situazione precedente, con il papa eletto dai sacerdoti e dalle famiglie romane, ma con una pressione sempre maggiore da parte delle diverse fazioni di potere. Fu Nicola II nel 1059 ad affidare l’elezione ai soli cardinali vescovi, mentre nel 1179 Alessandro III la estese a tutti i cardinali, rendendo necessari i due terzi dei voti per la decisione. E se a eleggere dovevano essere le alte sfere del clero, l’eletto poteva essere un tizio qualsiasi, purché battezzato. La storia del primo conclave Il documento di istituzione formale del conclave risale al 1274, con il secondo Concilio di Lione: Gregorio X presentò la costituzione apostolica Ubi periculum, che riformava i meccanismi di elezione dopo il lungo periodo di “vacanza” seguito alla morte di Clemente IV. Era infatti successo che per 33 mesi diciannove cardinali riuniti a Viterbo non erano stati in grado di scegliere un nome: nei primi tempi i prelati si incontravano quotidianamente nella cattedrale (era tradizione che l’elezione si svolgesse nella cattedrale della città in cui il papa era morto), per poi tornare la sera ciascuno alla propria dimora. Ma le traversie si succedevano e i tempi si allungavano a dismisura; il popolo diventava insofferente e le autorità locali decisero di agire. Chiuse le porte della città, costrinsero i cardinali a entrare nel Palazzo dei papi, dove li rinchiusero, comunicando loro che non sarebbero usciti se non a elezione avvenuta. Aggiunsero, per maggior sicurezza, una riduzione nel regime alimentare. Inoltre il tetto venne scoperchiato, perché lo Spirito Santo potesse (testualmente) scendere più facilmente a guidare i sacerdoti. Per evitare il sorgere di situazioni simili, la costituzione del 1274 stabiliva una serie di rigidi protocolli: i cardinali dovevano rimanere nella città in cui era morto il pontefice e attendere gli assenti per dieci giorni; dopo di che si sarebbero riuniti nel palazzo dove il papa aveva abitato, con un seguito ridotto all’essenziale, ossia un servitore ciascuno; avrebbero dovuto abitare «in comune una sola sala, senza pareti intermedie o altro tendaggio (…) chiusa da ogni parte affinché nessuno possa entrare o uscire da essa». Se entro tre giorni i cardinali non avessero deciso, sarebbero stati messi a dieta stretta, con un solo piatto a pranzo e a cena servito attraverso l’unica finestra aperta sull’esterno. Se ancora il verdetto tardava, si sarebbe passati a un regime da fame, solo pane, vino e acqua. E nessuna retribuzione per tutto il periodo del conclave. Chi trasgrediva incorreva nella scomunica. Tali restrizioni vennero confermate in seguito, nonostante le proteste dei porporati, da Celestino V e Bonifacio VIII. Saccheggi e simonia, tumulti di popolo e lotte di potere Cambiano dunque modalità e riti, ma una costante rimane nei secoli, fin dai primi anni della Chiesa: spoliazioni e saccheggi accompagnarono in più occasioni il passaggio da un papa all’altro, eventi testimoniati fino dal V secolo e riportati dagli storici nelle epoche successive. A essere razziati potevano essere i beni del defunto pontefice o quelli del neoeletto: una sorta di tradizione violenta che rientrava in quel quadro di lotte e contrapposizioni tra fazioni diverse durato per lunghissimo tempo. A razziare erano soldati, chierici e popolani, e addirittura altri vescovi: nel 1378 il cardinale Corsini di Firenze rubò un reliquiario del defunto papa Gregorio XI, ma lo dovette restituire. Il saccheggio era sì una condotta biasimevole, ma accettata in considerazione dello straordinario impatto dell’evento. Moti di protesta potevano essere suscitati da un’opposizione alle politiche del papa eletto ma anche alle sue origini: il popolo non amava gli stranieri, e non desiderava che salissero al soglio pontificio, quasi fossero degli usurpatori. Un altro vizio endemico nelle elezioni papali fu per lungo tempo la simonia, legata non solo a interessi economici dei diversi potentati ma anche ad accordi politici e, nei secoli più recenti, all’ingerenza degli stati europei. Nuove regole per un nuovo pensiero Per porre un freno alla ridda di mali che si accompagnavano al conclave, Gregorio XV emanò tra il 1620 e il 1621 due bolle che ribadivano le regole della clausura e aggiungevano precise disposizioni sui tempi e sulla procedura da seguire durante le votazioni: i cardinali potevano eleggere il pontefice per ispirazione o acclamazione all’unanimità, oppure per compromesso in seguito a un accordo tra gruppi diversi, o con votazioni a schede, con una maggioranza di due terzi. Il voto doveva essere segreto, tanto che divenne necessario bruciare le schede: era nata l’usanza della fumata bianca per indicare l’avvenuta elezione o nera in caso di fallimento. Questa normativa rimase sostanzialmente immutata fino ad oggi. L’ingerenza del potere temporale venne combattuta a lungo, e solo nel 1904 Pio X abolì il diritto di veto che ancora avevano le potenze cattoliche. Insieme al cerimoniale a partire dall’età moderna si andò consolidando la definizione del luogo del conclave: Roma, e più precisamente, a partire dalla sua costruzione, la Cappella Sistina. Il primo papa qui eletto fu Leone X nel 1513, poi la cappella venne saltuariamente utilizzata e a partire dal 1878 è diventata la sede stabile. VIDEO Paolo Oliva a Wired Health 2024: "Stampa 3D? Oggi abbiamo un laboratorio multidisciplinare" Poche altre modifiche hanno cambiato la procedura in tempi recenti: Paolo VI ha introdotto il limite di 80 anni per i cardinali elettori. Giovanni Paolo II ha abolito l’elezione per acclamazione o per compromesso. Benedetto XVI ha modificato le regole relative alla maggioranza, rendendole ancora più restrittive, e ha stabilito la scomunica per chi violi il segreto sull’andamento dei lavori.

Accolito

Sacerdozio femminile: una conquista ancora lontana Nonostante la sua apertura rispetto alle nomine femminili per posizioni di potere, Papa Francesco ha sempre mantenuto - in accordo con la posizione ufficiale della Chiesa cattolica - una posizione di netto rifiuto rispetto alla possibilità che le donne possano accedere al sacerdozio. Le ragioni per cui le persone di sesso femminile non sono ammesse al ministero ordinato sono teologiche, ma anche storiche: secondo l'insegnamento della Chiesa, Gesù Cristo ha scelto solo uomini come apostoli, e questa scelta è vincolante per l’istituzione. Papa Francesco ha dichiarato nell’intervista al TG1 che per i cattolici il sacerdozio femminile “è un problema teologico”. Davvero c’è un problema teologico riguardante il sacerdozio femminile o siamo di fronte alla struttura patriarcale della Chiesa? Non c’è base biblica, storica, teologica o di tradizione per l’esclusione delle donne dal ministero ordinato. Lo hanno dimostrato tantissimi studi dell’ultimo secolo. Siamo alla terza commissione istituita fin dagli anni ’70 per affrontare il problema, e ogni volta non si capisce perché, gli esiti devono essere ridiscussi. Le donne hanno avuto ruoli di potere, profezia, culto e guida di comunità nel corso del cristianesimo, anche e soprattutto primitivo. Nel corso dei secoli poi il loro ruolo è stato sempre più ristretto sulla base di una cultura di genere che le ha collocate in ruoli di subordinazione e dipendenza. Il concetto di ordinazione con le sue funzioni e i suoi riti è cambiato notevolmente nel corso della storia come anche le motivazioni per l’esclusione delle donne da esso. Ciò a cui fa riferimento il Papa è una posizione teologica, peraltro piuttosto recente,se guardiamo le tante diverse motivazioni apportate nel corso dei secoli per escludere le donne dall’ordine, e che risale a H.U.von Balthasar. È una posizione teologica che si basa su una ideologia della differenza sessuale oramai superata da tempo e cioè quella che ipotizza che i generi abbiano caratteristiche del tutto opposte, con un ricorso altrettanto problematico ad archetipi del maschile e del femminile che vede quest’ultimo confinato nelle sue funzioni al ruolo domestico e materno. Secondo Papa Francesco una donna non può accedere al sacerdozio “perché non le spetta il principio petrino, bensì quello mariano, che è più importante (…) Il fatto dunque che la donna non acceda alla vita ministeriale non è una privazione, perché il suo posto è molto più importante”. Parole che racchiudono clericalismo, patriarcato, potere, ma soprattutto la trappola della “sublimazione”: le donne non possono accedere ai posti di potere perchè il loro ruolo è più importante. Ciò ricorda un po’ il “genio femminile”[1] di cui parlava Papa Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem. Premetto di essere fedele alla visione anarco-cristiana di Don Gallo e alle parole di Leonardo Boff che diceva che “laddove c’è potere non c’è amore e sparisce la misericordia”, ma qui siamo di fronte all’indifendibile. Si può nel 2023 oscurare una discriminazione e un ruolo inferiore in una struttura di potere, sublimando ed esaltando il discriminato, facendogli credere che il suo ruolo – nonostante tutto – è più importanti degli altri? A metà del 5° secolo, durante il suo pontificato, papa Leone I (passato alla storia come s. Leone Magno) coniò l’espressione plenitudo potestatis (in latino «pienezza del potere») per indicare che nella Chiesa ogni potere viene dal papa, il diretto successore di Pietro, e non esiste sulla Terra un’autorità superiore a quella del pontefice. In quel periodo terribile, quando le popolazioni barbariche si riversarono nella penisola italiana, spesso erano proprio i papi gli unici in grado di difendere non solo la Chiesa ma tutta la città di Roma e i suoi abitanti: il loro prestigio presso il popolo crebbe così a dismisura. Ma ciò nonostante l’imperatore bizantino Giustiniano, nel 6° secolo, sottopose l’elezione del papa all’approvazione imperiale. Dall’8° secolo il diritto di elezione continuò a essere esercitato dal clero e dal popolo romano, ma sotto la pressione delle fazioni politiche in lotta che si disputavano il potere.

Thursday, April 24, 2025

Lezioni di Estetica

Eresia Liberale di Sallusti

Alessandro Sallusti è finito in galera per un reato, l'omesso controllo, che inevitabilmente commettono tutti i direttori di giornale (i direttori degli altri giornali, però, in galera non ci vanno); ha avuto un trisavolo fedele a Francesco II, re spodestato delle Due Sicilie, e dunque considerato un brigante dai governanti sabaudi della nuova Italia unita; ha scoperto sul manuale di storia delle medie che cosa era successo al nonno durante e dopo la guerra civile; ha sperimentato lo "stato di natura", vivendo per un mese in Amazzonia tra gli Yanomami; è stato fra i protagonisti, nel novembre 1994, dello scoop sull'avviso di garanzia che avrebbe fatto cadere il primo governo Berlusconi, mentre durante l'ultimo governo Berlusconi ha partecipato, nella villa di Arcore, alle riunioni della fantomatica "Struttura Delta" che avrebbe ordito strategie e complotti; ha conosciuto molto da vicino i protagonisti della politica, dell'economia, della società degli ultimi quarant'anni. A partire dagli episodi della sua vita famigliare, personale e professionale e con lo sguardo attento ai cambiamenti che stanno stravolgendo la nostra immagine del mondo, Sallusti mostra in questo libro il punto di vista eretico di un liberal-conservatore abituato a sentirsi minoranza - spesso irrisa - nei salotti buoni della cultura dominante, e tuttavia consapevole di essere in sintonia con la maggioranza delle persone in Europa e in Occidente, come le elezioni si incaricano invariabilmente di dimostrare. Contro la cancel culture e il senso di colpa della sinistra globalista, un liberal-conservatore difende le libertà che costituiscono l'orgoglio dell'Occidente e il suo più grande apporto alla storia del mondo. Contro le pericolose utopie buoniste, il conservatorismo rappresenta la voce del buonsenso in accordo con la realtà.

Wednesday, April 23, 2025

Divieto di Spargere le ceneri

La cremazione di un defunto "non è vietata dalla Chiesa" se non è fatta per una scelta di contrarietà alla fede. Lo conferma la Congregazione per la Dottrina della Fede in una Istruzione che ha avuto il 'placet' del Papa. Confermato anche che la pratica debba avvenire "dopo la celebrazione delle esequie".

Monday, April 14, 2025

L'esame di Stato e le Lauree Abilitanti

COSA PREVEDE IL DISEGNO DI LEGGE, IN SINTESI? Per alcune professioni, l’Esame di Stato sarà svolto con l’Esame di laurea. Ci sarà un vero e proprio doppio esame, e la parte abilitante sarà gestita da professionisti indicati dall’Ordine. Di conseguenza il tirocinio sarà spostato all’interno del corso di studi. Il DDL prevede un tirocinio di 30 CFU, pari a circa 750 ore. Per gli psicologi attualmente è di 1000 ore, quindi ci sarà una riduzione di circa 250 ore. Non ci sarà quindi alcuna abolizione dell’Esame di Stato – previsto dall’articolo 33 della Costituzione – né del tirocinio. Tutto sarà semplicemente anticipato. I VANTAGGI DELLA PROPOSTA Il primo vantaggio è l’accorciamento del percorso abilitativo. Oggi dalla laurea all’albo passa almeno un anno e mezzo, in alcuni casi due. Di cui solo un anno effettivamente impiegato in attività formativa. Il resto sono tempi morti dettati da questioni puramente burocratiche. È una situazione anacronistica. Anche la modifica del tirocinio potrebbe essere un vantaggio. L’organizzazione dei tirocini potrebbe diventare più flessibile, anche con possibilità di frazionare i 30 CFU in esperienze più brevi e variegate rispetto a oggi. L’attuale sistema a due blocchi semestrali da 500 ore ciascuno rende molto rigida l’esperienza di tirocinio, è difficile cambiare sede in corsa quando l’esperienza non è formativa, e non sempre le 20 ore settimanali sono sfruttate al meglio. Il tempo di attesa fra conclusione del tirocinio ed Esame di Stato rimanda ulteriormente l’avvio alla professione. Tutto questo può esitare in una dilatazione forzata dei tempi, fino ad un vero e proprio periodo di sospensione esistenziale e lavorativa. Un limbo che non fa bene a nessuno.

Sunday, April 6, 2025

LECTIO PAOLO PORTOGHESI

Cesare Stevan a cura di Fabrizio Schiaffonati

Il 13 maggio 2024 è mancato Cesare Stevan 87 anni, dopo una lunga battaglia una notizia che ha suscitato un’ondata di emozioni. Al Politecnico di Milano, ma anche in città per la sua presenza politica e culturale in un arco temporale di sessant’anni. In questo momento molte voci lo hanno ricordato e non mancheranno certo altre occasioni per ritornare a ragionare sul ruolo da lui avuto e sul suo lascito, in particolare in ambito accademico dove sono reperibili le informazioni e le testimonianze per ricostruire e approfondire complesse vicende della formazione universitaria. Un lavoro che, con l’oggettività storica, sarà di grande utilità per ricostruire passaggi importanti per la città, tanto più utile oggi nel clima di inquietante incertezza per l’urbanistica e l’architettura milanese. Una figura così longeva con una presenza continuativa, ci permette di ripercorrere molti degli indirizzi nel governo del territorio, di diverse e anche controverse stagioni. Questo breve ricordo vuole collocarsi nella direzione di un confronto tanto più necessario oggi a Milano, dove si impongono scelte per ritrovare una linea riformista. Alcuni spunti quindi che nascono dalla nostra amicizia, da una parallela vicenda accademica, da un intreccio di ruoli e responsabilità nel Politecnico e non solo. Mi par utile richiamarne alcuni principali passaggi. Nei primi anni Sessanta, col sindaco Gino Cassinis non a caso già rettore del Politecnico, si anticipa la stagione politica del Centrosinistra e si dà luogo a scelte urbanistiche ed edilizie di fondamentale importanza: la realizzazione di grandi quartieri di edilizia economica e popolare col piano decennale Gescal, la realizzazione di decine di edifici scolastici per l’attuazione della riforma della scuola dell’obbligo, la istituzione del Consorzio del Piano Intercomunale Milanese per il coordinamento urbanistico e la programmazione dei servizi di 92 comuni dell’hinterland. In questo contesto la Facoltà di Architettura opera un repentino cambiamento sulla spinta della prima occupazione studentesca con la contestazione dei docenti dell’ “ancien regime” della precedente gestione di Piero Portaluppi. Da Venezia si trasferiscono Lodovico Belgiojoso e Franco Albini che con Ernesto Natan Rogers diventano un fondamentale punto di riferimento. Una politica dell’ascolto delle istanze studentesche, con una apertura ai temi del progetto dei servizi e dell’abitazione, con una primaria attenzione all’urbanistica. Un clima che apre la Facoltà agli ambienti politici e intellettuali della città, culminato con la cerimonia nel 1964 della laurea ad honorem a Alvar Aalto, Louis Kahn, Kenzo Tange, in occasione del centenario del Politecnico di Milano. L’anno prima era stata formata la Commissione Paritetica, con sette studenti eletti e i sette professori ordinari del Consiglio di Facoltà. Con Stevan ci incontravamo con loro per la discussione degli indirizzi didattici, non in modo formale ma con una dialettica, dove la nostra esuberanza giovanile trovava ascolto e accoglimento per un profondo rinnovamento dei contenuti e dei metodi d’insegnamento. Un vero laboratorio con la scuola aperta alla città, un approccio interdisciplinare e il coinvolgimento di tante figure. Il carisma di Rogers, con la rivista Casabella, era certamente da catalizzatore. Colpiva già in Stevan l’equilibrio e l’attenzione per gli aspetti istituzionali, la capacità di ascolto e anche di mediazione rispetto a nostri velleitarismi. Un equilibrio destinato a infrangersi con l’ondata del Sessantotto, che travalicava confini ed esondava da ogni parte, mettendo in discussione certezze e assetti. I fermenti dei primi anni Sessata in cui ogni agitazione era ricomposta da ragionamenti e da aperti confronti, avevano consentito l’arrivo a Milano anche di Paolo Portoghesi, certamente per volontà di Rogers e Belgiojoso. Scelta tutt’altro che facile nel settore della Storia dell’Architettura, tra i più arroccati. Le vicende successive della sospensione nel 1973 dei membri del Consiglio di Facoltà, e a cascata di un gruppo di docenti da loro incaricati, sono note. Un clima difficile, con quello che ne sarebbe conseguito. Con Stevan ci impegnammo nel contrasto al Comitato Tecnico che era subentrato al Consiglio di Facoltà, con il ricorso al Consiglio di Stato contro la nostra sospensione e la legittimità dei provvedimenti ministeriali. Seguivamo passo passo l’azione legale intrapresa, aprimmo diverse interlocuzioni con esponenti politici comunali e regionali, e ci recammo a Roma in occasione dell’udienza in Consiglio di Stato. Il fronte dei docenti sospesi nella difesa di era diviso, da un lato quelli d’area comunista e dall’altro socialisti ed “extraparlamentari”; nonostante lo sforzo di Stevan e mio di andare uniti. La sentenza del Consiglio di Stato accoglieva appieno le motivazioni della difesa del nostro gruppo, basate su questioni di principio e non di appartenenza politica. Prima dall’udienza, mi avvicinai con la disarmante disinvoltura giovanile al professor Giuseppe Guarino, poi futuro ministro democristiano, che rappresentava l’accusa del Ministero. Mi presentai e ne ebbi subito una breve paternale non priva di comprensione. La sua arringa concisa e per nulla avvocatesca, richiamava il clima difficile e la necessità di comprendere e dialogare per superare i conflitti: in pratica apriva a una sentenza favorevole alla nostra reintegrazione e al ripristino del Consiglio di Facoltà per illegittimità del Comitato Tecnico. Ho ritenuto opportuno ritornare su questo passaggio perché da allora si apre una nuova difficilissima fase per gli equilibri interni alla Facoltà, nella gestione del grande numero di iscritti a seguito della Riforma Codignola del 1969 che aveva liberalizzato l’accesso ai corsi universitari. Qui l’impegno di Stevan non manca, anche per frenare estremismi, mantenendo sempre aperto il dialogo con la variegata geografia di movimenti e gruppuscoli, di turbolenti momenti assembleari, di attacchi a docenti. Un decennio che nel 1982 lo posterà alla presidenza di Architettura. Una elezione che riproponeva la stessa divisione vissuta in Consiglio di Stato. Un confronto da lui condotto a viso aperto da cui era chiara la linea pluralista che avremmo imboccato. Rispettosa di ogni settore disciplinare, senza insegnamenti “ancellari” rispetto alla Composizione Architettonica. Abbiamo quindi vissuto gli anni Ottanta, a valle della legge che istituiva i dipartimenti, i dottorati di ricerca e riordinava la docenza, il suo impegno e per l’attuazione di quei provvedimenti. Importante il suo appoggio per il consolidamento e sviluppo dell’area della Tecnologia dell’Architettura, per un approccio alla progettazione integrata alle competenze economiche e gestionali, anticipatrice delle questioni ambientali. Nel 1981 era diventato professore ordinario di Architettura Sociale, disciplina da lui fondata e strutturata per ribadire la centralità dei servizi nell’assetto del territorio e della città. La Facoltà cresceva, con l’attenzione anche alla formazione permanente, a corsi extracurricolari, a master e rapporti internazionali, a partire dal fondamentale concetto di “libertà di insegnamento”. Stevan, un primus inter pares, per cui molti lo ricordano in molte occasioni culturali e istituzionali. Ma degli anni Ottanta è importante ricordare anche quanto avveniva nell’urbanistica cittadina: una fase controversa non priva di cambiamenti con il nuovo Piano Regolatore, con più di cinque milioni di metri di aree dismesse, i nuovi processi di terziarizzazione, la rete dei trasporti e dei servizi da potenziare. Qui il ruolo di Stevan si fa visibile nella interlocuzione con l’amministrazione comunale, promuovendo momenti di confronto sulle grandi funzioni urbane e per una urbanistica con i Piani d’Area di indirizzo e coordinamento. Una scala imprescindibile senza la quale il coacervo delle singole iniziative è destinato a far danno molto più di quanto non si creda. E la situazione odierna insegna. Allora la sua intuizione per il Politecnico alla Bovisa. Non un nuovo Ateneo, come in altre università, ma un articolato decentramento. Il PIM, fin dagli anni Settanta aveva ipotizzato una nova sede del Politecnico in una Città della Scienza a Gorgonzola sulle Celeri dell’Adda. Stevan, con il rettore Emilio Massa, coglie l’opportunità di un nuovo insediamento in Milano, per far fronte alla grande carenza di spazi. Una decisione allora nel Senato Accademico, limitato al rettore e ai due presidi di ingegneria e architettura. Prende avvio l’insediamento di Bovisa. Massa mi coinvolge, come membro eletto nel Consiglio di Amministrazione, nei primi sopralluoghi per l’affittanza della Ceretti e Tanfani per un primo insediamento del dipartimento di Tecnologia dell’Architettura. Nella Segreteria Tecnica per l’Accordo di Programma dei primi anni Novanta, con Valeria Erba prorettore e Giorgio Diana coordinatore dei direttori dei dipartimenti, operiamo con grande unità di intenti per quella iniziativa. Si apre un nuovo decennio: nuovi ordinamenti, nuovi corsi ed indirizzi didattici. Una fase di profondo cambiamento della struttura e articolazione territoriale delle università in tutta Italia. Qui Stevan mette in campo la sua consolidata esperienza e conoscenza dei complessi meccanismi istituzionali. Il suo, un approccio che mira sempre ai contenuti, per non farsi ingabbiare dalla rete burocratica. La sua è la carica elettiva di tutta la base docente, che gli riconferma la fiducia più volte e lo sostiene con un indirizzo maggioritario, anche quando una parte deciderà di dar luogo a un’altra Facoltà alla Bovisa. La divaricazione culturale dei nostri trascorsi si ripropone, nel merito della quale non mi dilungo, senza però non osservare la sua breve durata. Ritornava la presunzione di un primato di alcune discipline, di un diverso approccio al mercato al lavoro, delle competenze e dei ruoli professionali. Vengo ora al dopo Duemila. La presidenza Stevan si chiude e si apre al compito di prorettore del Polo di Mantova. Una in iniziativa che mi ha visto fin dalla sua incubazione negli ultimi anni Ottanta insieme e al suo fianco, promuovendo un articolato rapporto con istituzioni e numerosi contratti di ricerca con enti territoriali, che aprono a nuovi docenti e giovani ricercatori. Un contesto dove Stevan raccogli riconoscimenti per l’equilibrio e la capacità di strutturare la nuova sede nel quadro di un Politecnico a scala regionale. Richiamo anche il suo ruolo per una presenza dell’Architettura nella Facoltà di Ingegneria di Pavia, come pure la collaborazione con l’Accademia di Mendrisio dove abbiamo operato nel rapporto con Mario Botta e Aurelio Galfetti per il riconoscimento della loro laurea a livello europeo. Io da lui delegato, con il supporto di Aldo Castellano e Sergio Crotti. Nel 2002 Stevan fu a un passo per diventare rettore. Consistenti settori dell’ingegneria apprezzarono il suo programma per una cultura politecnica aperta alle problematiche sociali ed urbanistiche, e per un rinnovato impegno per la collaborazione tra Architettura e Ingegneria. Al ballottaggio Osvaldo De Donato, preside di ingegneria, espresse il suo appoggio, ma interferenze e defezioni portarono ad un diverso esito. Voglio chiudere questa breve disanima sulla figura di Cesare Stevan con un recente ricordo. Il primo maggio mi ha invito un suo scritto su Paolo Portoghesi per una pubblicazione a un anno della scomparsa. Più che un saggio una testimonianza della umanità e del tratto di Portoghesi, col titolo “Il disegno di una continuità”. Così scrive Stevan: “Tra gli aspetti che più ho apprezzato nel rapporto con Paolo è la maturità con cui sapeva veicolare un ‘messaggio-insegnamento’ rivolto in particolare ai giovani docenti: la necessità cioè di cambiare prioritariamente se stessi se si vuole operare un cambiamento seppur piccolo del mondo”. Questa riflessione mi è parsa la chiave che ha ispirato l’operato di Stevan nella sua lunga dedizione all’insegnamento e agli impegni istituzionali della Facoltà di Architettura e nel Politecnico. Fabrizio Schiaffonati . «ll 1984 è stata la tappa finale: passò quindi l’idea di avere un indirizzo di Laurea, per promuovere un Corso di Laurea in Disegno industriale. La realizzazione vide passare ancora dieci anni, dall’84 al ‘93, per riuscire ad arrivare, alla fine da me auspicata, di una Facoltà del Design. La cosa era da me auspicata non solo astrattamente, per ragioni culturali, perché vedevo in questa apertura sul design una cultura nuova, aperta, che affrontasse le nuove realtà di progetto, ma ci tenevo anche perché è stata, dalla fondazione del Politecnico, l’unica vera innovazione dell’Ateneo: passare da due a tre Facoltà.» Ricordo ad un convegno sulla Sanità qualche anno fa in Piazza Leonardo a Milano relativamente alla "Progettazione di Ospedali" , affermò di essere ancora vivo grazie alla sua meticolosa ricersa in campo Scientifico ! Il 10 febbraio 2024 il Ministero dell'istruzione ha confermato l'insegnamento della Matematica e Fisica nei Licei Scientifici. L'Uomo ha sempre bisogno di asseverare se stesso ! In primis vince la competizione con gli ingegneri, e successivamente crea un bacino di designer, in Bovisa Milano . Complimenti !!!! il gioco è fatto, in una città come Milano ove i laureati superano i non laureati per numero. Addio Preside ! Danilo Solari

Friday, April 4, 2025

PEI chi ne ha diritto

PDP per BES e DSA

Abolizione o meglio.... riformando l'Esame di Stato

Abolizione esame di Stato, meglio riformando Ingegneri - Architetti

Il disegno di legge sulle lauree abilitanti Nel suddetto articolo 4 del ddl in discussione alla Camera viene previsto che tutti i titoli universitari per i quali non è richiesto lo svolgimento di un tirocinio post lauream, possono essere resi abilitanti, su richiesta del CNAPPC con uno o più regolamenti su proposta del MIUR di concerto con il Ministro della Giustizia, oppure su iniziativa del MIUR di concerto con il Ministro della Giustizia, sentito il Consiglio Nazionale. Il testo, così come modificato in Commissione, consentirà una trasformazione delle attuali norme per svolgere la professione, prevedendo la semplificazione delle procedure per l’esercizio della professione. In tal modo, l’esame di laurea diventerà coincidente con l’esame di stato, e quindi semplificherà e velocizzerà l’accesso al mondo del lavoro da parte dei laureati, con un effettivo miglioramento qualitativo del titolo di studio universitario, grazie in particolare all’introduzione del Tirocinio obbligatorio. Si tratta del primo provvedimento del PNRR: si attende quindi l’ok definitivo entro l’autunno, con l’entrata in vigore della legge a partire dall’anno accademico successivo a quello dell’approvazione dei decreti rettorali, quindi potrebbe essere fissata già per settembre 2022. Per il Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, l’approvazione di questa legge rappresenterà non solo l’occasione per intervenire sul funzionamento del sistema universitario e sull’avvio all’esercizio della professione, ma anche un progetto di investimento sulla formazione e la professione degli Architetti. Le Commissioni Giustizia e Cultura della Camera dei Deputati hanno approvato il Testo del disegno di legge in materia di titoli universitari abilitanti. Al riguardo il CNAPPC (Consiglio Nazionale Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori) evidenzia con una nota che è stato riscritto interamente l’art. 4, che permetterà una discussione con il MIUR al fine di riorganizzare l’abilitazione professionale con l’obiettivo di creare professionisti pronti a entrare in tempi rapidi nel mercato del lavoro. Ricordiamo infatti che il testo, così come aveva fatto ingresso nelle Commissioni, prevedeva la possibilità di rendere abilitanti i soli titoli di accesso alle professioni di pianificatore, paesaggista e conservatore. Con la riscrittura dell’art. 4, tale possibilità è stata estesa anche al titolo di architetto.

Edipo RE

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