Monday, October 17, 2022

Test

Da molte settimane è perlopiù un vociferare ufficioso, ma ora pare essere diventato un fenomeno riconosciuto, prima a livello mediatico e poi scientifico: tra la comparsa dei sintomi di Covid-19 e l'ottenimento di tamponi con esito positivo si tra creando in molti casi uno scarto temporale sempre maggiore, un ritardo che rischia di incrinare ulteriormente il già fragile sistema di contenimento dei contagi. In questo caso non si tratta (più) di un ritardo di natura burocratico-organizzativa come era nelle prime fasi della pandemia, poiché tra test in farmacia e analoghi domestici la possibilità di eseguire un tampone è per chiunque sostanzialmente immediata. Il ritardo, invece, dipende ora da questioni prettamente biologiche, nel senso che molte persone manifestano sintomi compatibili con il Covid-19 risultando però ancora negative, arrivando a positivizzarsi solamente quando ormai i sintomi si sono affievoliti o addirittura sono del tutto scomparsi. PUBBLICITÀ
Una situazione, questa, che crea più di una complicazione a livello organizzativo. Anzitutto, il singolo paziente non è in grado di stabilire, durante la fase acuta dei propri sintomi, se sia stato infettato da qualche variante del Sars-Cov-2 o se invece si tratti di un patogeno e di una malattia diversa. Secondo, l'arrivo di un tampone positivo quando ormai la malattia e in via di guarigione crea qualche stortura burocratica, nel senso che porta a iniziare il periodo di isolamento quando ormai potrebbe volgere al termine, favorendo indirettamente la trasmissione virali nelle giornate iniziali della malattia, quando si è già sintomatici. Le origini incerte del ritardo Se sul fatto che questo ritardo sia reale - e non solo una suggestione - ci sono ormai pochi dubbi, allo stesso tempo su che cosa lo determini restano parecchie incertezze, tanto che al momento tutto ciò di cui disponiamo sono delle ragionevoli ipotesi. La prima delle teorie più gettonate riguarda la diversa dinamica con cui le più recenti varianti di Sars-Cov-2 circolano nell'organismo: se infatti le alte vie aeree e il naso fossero le ultime parti dell'apparato respiratorio a essere interessate dal virus, questo potrebbe giustificare la presenza di sintomi vistosi anche quando il tampone non risulta ancora positivo. Su questa direzione punterebbe anche l'evidenza che l'accumulo di virus nel naso con la variante omicron è mediamente inferiore rispetto alla variante delta. L'altra ipotesi che ha ottenuto un buon consenso è che, soprattutto per chi ha già avuto il Covid-19 o ha completato il ciclo vaccinale e ha quindi gli anticorpi in circolo, il sistema immunitario sia diventato più reattivo e porti alla comparsa di sintomi di risposta molto precocemente, anticipando la diffusione virale nell'organismo e quindi la positività del tampone. Contro questa ipotesi, tuttavia, c'è l'evidenza che anche persone che - almeno formalmente - incontrano per la prima volta il nuovo coronavirus e i suoi antigeni manifestano comunque il ritardo nella positività dei tamponi (potrebbe però trattarsi di persone - non vaccinate - che in passato hanno contratto la malattia in forma asintomatica e non se ne sono mai accorte). La mancanza di studi scientifici sistematici non permette ancora di fare chiarezza su questo punto.
Una terza possibilità, forse aggiuntiva più che alternativa alle altre due, è che il ritardo sia il riflesso di come è cambiato nel tempo il modo in cui il tampone nasale viene eseguito. Nel fai-da-te, infatti, si ritiene che molte persone non raccolgano con particolare cura né in grande profondità il materiale biologico che impregna il tampone, determinando una frequenza più alta dei falsi negativi, a maggiore ragione in un momento come quello iniziale della malattia in cui la carica virale nel naso è più bassa. Infine, una ulteriore considerazione riguarda il cambiamento di tutta la dinamica di circolazione del virus da quando la variante omicron è diventata prevalente: è diminuito il tempo di incubazione, è diminuita la durata media di manifestazione dei sintomi, ed è cambiato quindi più in generale il modo in cui il nuovo coronavirus interagisce con l'essere umano. In qualche modo, questo potrebbe avere avuto un riflesso anche sul tempismo dei tamponi. Più che le cause, le conseguenze Anche se molto del dibattito in seno alla comunità scientifica e a livello pubblico si concentra sul perché di questo ritardo, probabilmente a meritare attenzione è soprattutto la questione delle conseguenze che determinerà, in particolare dopo l'estate. Come sappiamo, infatti, già ora le restrizioni e i tracciamenti sono notevolmente ridotti rispetto al passato, a cui si aggiunge il fatto che ci sono persone che non si sottopongono al tampone anche da sintomatiche per timore di risultare positive, altre che svolgono il test in casa senza registrarlo né ripeterlo nelle strutture preposte, altre ancora che - magari sintomatiche - vedendo un primo tampone negativo non si preoccupano di ripeterlo nei giorni successivi. Tutto ciò ha come effetto che la nostra capacità di fotografare la reale circolazione del virus e di impedire il contagio da persona persona è drasticamente diminuita, a maggiore ragione se il tampone positivo che dovrebbe sancire l'inizio del periodo di isolamento arriva quando ormai la gran parte del danno in termini di contagio rischia di essere già stata fatta. Questa situazione di attuale disordine e scarso rigore, inoltre, è allo stesso tempo anche causa dell'impossibilità di definire contorni precisi per il ritardo diagnostico stesso, sia in termini di numero di giornate medie sia come incidenza e come prevalenza delle diverse varianti. Il che a sua volta impedisce di pianificare strategie alternative o diffondere consigli su come riconoscere in maniera alternativa Covid-19, visto anche che i sintomi si stanno facendo sempre meno specifici e sono confondibili con quelli di altre infezioni virali a carattere respiratorio, se non addirittura con allergie o fastidi da aria condizionata. La domanda che verrebbe da porsi a questo punto, dunque, è se lo strumento del tampone così come inteso in questo momento sia davvero ancora efficace come attrezzo di diagnosi dell'infezione da Covid-19 e come strategia per limitare la circolazione del virus. Anche se al momento non ci sono particolari preoccupazioni poiché la pressione sulle strutture sanitarie è molto bassa, il problema potrebbe porsi in maniera importante qualora con la stagione fredda si arrivasse a un aumento importante dei casi che richiedono trattamenti ospedalieri. E come abbiamo imparato dalle scorse due estati, abbassare la guardia adesso e disinteressarsi al problema sarebbe una grave mancanza che rischieremmo di pagare con un conto salato.

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