Saturday, October 15, 2022

ORO ITALIANO

Il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi ha presentato una proposta di legge che (1) prevede che l’oro che si trova nei forzieri della Banca d’Italia sia di proprietà dello Stato e la Banca d’Italia ne sia la sola depositaria. Questa richiesta fatta dal parlamentare della Lega ha lo scopo di dare una interpretazione autentica ad una norma che, evidentemente, non prevede lo Stato come proprietario dell’oro della Banca d’Italia. Avendo l’oro la stessa provenienza e natura di eventuali riserve in altre valute pregiate (dollaro statunitense) di cui non si contesta la proprietà, non si capisce perché mai la “nazionalizzazione” si limiti all’oro. Le motivazioni esposte nella relazione illustrativa affermano che “il tema della proprietà delle riserve auree nazionali, sebbene inconfutabile nei cuori di ogni cittadino italiano, è carsicamente apparso nella discussione parlamentare come tema di dibattito”. Esiste, secondo Borghi, “un vulnus normativo, se non addirittura una vera e propria errata interpretazione” per cui con interpretazione autentica occorre “riportare l’esegesi della normativa nazionale in una situazione di certezza e di chiarezza.” Con una interpretazione normativa si cambia la proprietà di tutto l’oro che, secondo palazzo Koch, è inequivocabilmente suo: “Il quantitativo di oro di cui la Banca d’Italia è ad oggi proprietaria è frutto di una serie di eventi che hanno permesso all’Istituto i diventare, nel tempo, uno dei maggiori detentori al mondo di metallo prezioso” (2). Non è difficile inquadrare questo disegno di legge nella filosofia generale di Claudio Borghi che ruota tutta attorno al concetto di sovranità nazionale e, quindi, all’uscita dall’euro, più volte auspicata anche se recentemente smentita o riqualificata quale preferenza personale, non presente nel contratto di governo, per ora. Ma la proposta di legge di Borghi non nasce come una esigenza disgiunta da problemi politici in atto, anzi essa va chiaramente connessa con la richiesta di un politico tedesco che, a memoria, proponeva che una legge europea sancisse che i saldi del target 2 fossero garantite dall’oro delle banche centrali dei singoli paesi debitori. Ora è noto che, per quel che riguarda il target 2, la Germania abbia un saldo positivo di 900 miliardi di €, mentre l’Italia abbia un debito di 400 miliardi di €. Faccio riferimento al mio articolo apparso su questa rivista per ricordare che i saldi target 2, finché i paesi aderenti rimangono aderenti all’Unione Europea, sono come i saldi a debito o a credito che filiali diverse di una stessa banca hanno tra di loro. Il problema nasce, evidentemente, quando un paese intende uscire dall’Unione Europea, e sia chiaro che a voler uscire non è necessariamente il paese debitore, ma può essere tranquillamente anche il paese creditore. In questa evenienza, e ciò è stato chiarito dal presidente Draghi, i saldi autocompensati fino al momento in cui le banche centrali dei singoli paesi sono solo filiali di una stessa banca, nel momento della eventuale rottura devono essere pagati dalle banche centrali dei paesi debitori alle banche centrali dei paesi creditori. Appare allora evidente che in questa improbabile, ma non impossibile, evenienza le banche creditrici cerchino di precostituirsi quegli strumenti giuridici che permettano loro di realizzare il loro credito e che esso non divenga un NPL (not performing loan); avere come garanzia l’oro detenuto presso le banche centrali pare essere una garanzia gradita al parlamentare tedesco. E’ tuttavia interessante chiedersi quanto sia l’oro detenuto o depositato presso la Banca d’Italia; ebbene, le riserve ammontano a 2.452 tonnellate (95.493 lingotti), pari ad un valore corrente di 85.3 miliardi di euro, il valore degli interessi passivi che paghiamo ogni anno, importo ben lontano dal saldo target 2. Ne deriva che in caso di uscita dall’euro, alla Banca d’Italia per rimborsare il saldo passivo, dovrebbe vendere i titoli di stato in suo possesso (il 16% del debito totale ovvero 370 miliardi circa) il che naturalmente causerebbe il crollo nella quotazione dei titoli stessi e quindi il default immediato di tutto il sistema bancario nazionale. Il testo del disegno di legge così recita: ”Il secondo comma dell’articolo 4 del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988 n. 148, si interpreta nel senso che la Banca d’Italia gestisce e detiene, ad esclusivo titolo di deposito, le riserve auree, rimanendo impregiudicato il diritto di proprietà dello Stato italiano su dette riserve, comprese quelle detenute all’estero”. “L’oro è della Banca d’Italia. Non è dello Stato (e quindi dei cittadini) e tantomeno dei partecipanti privati al capitale, che sulle riserve non possono vantare alcun diritto (cosa che, unico elemento positivo, è stata specificata anche nel discusso decreto IMU – Bankitalia). Ci è stato specificato che è impossibile per la stessa Banca disporre liberamente della Riserva dato che la stessa costituisce un presidio fondamentale di garanzia per la fiducia nel sistema Paese. Considerando però che la Banca Nazionale fa parte dell’Eurosistema, anche le riserve ne fanno parte e contemporaneamente garantiscono insieme a quelle degli altri Paesi europei il sistema stesso. “ Intervista a Salvatore Rossi DG Banca d’Italia. UN PIANO PER FREGARE I NAZISTI. Era un funzionario serio e scrupoloso, il capo si poteva fidare. Gli chiese dunque di condividere un disegno: in vista dell’arrivo dei nazisti, che nel frattempo avevano occupato la città, occorreva nascondere l’oro per evitare che venisse requisito. Il piano che il capo propose al funzionario era semplice: fingere che l’oro fosse stato trasferito mesi prima altrove, a Potenza, città che si presumeva presto nelle mani degli angloamericani. Occorreva creare la documentazione falsa che dimostrasse l’avvenuto trasferimento dell’oro e bisognava nascondere l’oro, che sarebbe rimasto lì, nelle intercapedini dei sotterranei, in quelle che in Banca d’Italia chiamano le sacristie. Si parla di un funzionario della Banca d’Italia che qualche giorno dopo l’8 settembre 1943 venne chiamato dal suo capo. Era un funzionario serio e scrupoloso, il capo si poteva fidare. Gli chiese dunque di condividere un disegno: in vista dell’arrivo dei nazisti, che nel frattempo avevano occupato la città, occorreva nascondere l’oro per evitare che venisse requisito. Il piano che il capo propose al funzionario era semplice: fingere che l’oro fosse stato trasferito mesi prima altrove, a Potenza, città che si presumeva presto nelle mani degli angloamericani. Occorreva creare la documentazione falsa che dimostrasse l’avvenuto trasferimento dell’oro e bisognava nascondere l’oro, che sarebbe rimasto lì, nelle intercapedini dei sotterranei, in quelle che in Banca d’Italia chiamano le sacristie. Il funzionario - accettò e iniziò a lavorare per organizzare l’inganno. Il 20 settembre era tutto fatto: i lingotti spostati, murata una apertura, creati i documenti falsi per certificare un trasferimento mai avvenuto. Ma il governatore della Banca d’Italia ci ripensò e ordinò di rimettere l’oro a posto. Due giorni dopo i tedeschi entrarono e presero l’oro. Lo spedirono prima a Milano, poi in Alto Adige, poi in una miniera abbandonata in Germania. E segnarono quei lingotti con la svastica. Una parte di quell’oro sarebbe tornato in possesso dell’Italia oltre 50 anni dopo. Intervista di Salvatore Rossi DG di Banca d’Italia.

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