Sunday, September 11, 2022

In memory of Queen Elizabeth II

Ci ha lasciati la donna più influente dei nostri tempi, nonché icona d’Inghilterra, la ReginaElisabetta II. L’Italia intera si stringe attorno a tutta la famiglia reale. Era Regina dal 1952 e il suo regno è stato il più longevo della storia britannica, un arco di tempo che va da Churchill a Liz Truss. Rimarrà per sempre simbolo del più alto valore delle istituzioni, delle tradizioni inglesi e del mondo libero. Per questo , sbagliano coloro che lamentano una presunta eccessiva manifestazione d’affetto nei confronti di Elisabetta II, come se nulla dovesse interrompere l’ormai abituale banalizzazione di qualsiasi evento, consumandolo superficialmente nello spazio di un pomeriggio; come se i fatti del mondo avessero tutti il medesimo valore e scorressero veloci, scomparendo subito per non annoiare, come sul muro di un social. Qui non è questione di monarchia o repubblica, di destra o sinistra, di chi se ne frega o invece m’interessa; è questione intima nostra ritrovarci in alcuni momenti, ammettendo anche banalmente di condividere un leggero velo di tristezza, che possa restituirci un desiderio di essere migliori tutti insieme. Martedì 24 novembre 1992, Guildhall di Londra, banchetto per festeggiare i suoi primi quarant’anni di regno. Elisabetta II ha la voce leggermente rauca. Qualche giorno prima è stata costretta a respirare i fumi dell’incendio che aveva devastato il castello di Windsor, ma non per questo rinuncia al discorso che ha preparato per i suoi sudditi. Una frase resterà idiomatica: “Questo 1992 non sarà un anno di cui mi ricorderò con piacere. È stato veramente un annus horribilis”. Per lei, davvero un’annata nera. Nerissima, se pensiamo al rogo di Windsor. Otto mesi prima, a marzo, il secondogenito maschio Andrea si era separato dalla provocante Fergie, dopo la pubblicazione di foto scandalose. Ad aprile era stato il turno di Anna, l’unica figlia: il divorzio da Mark Phillips, capitano del reggimento dei Dragoni, è l’ultimo atto di una tumultuosa love story punteggiata da reciproci tradimenti che fanno la gioia dei tabloid. A giugno, le rivelazioni di lady Diana piombano su Buckingham Palace scuotendo le fondamenta della Corona: la nuora denuncia la relazione extraconiugale di Carlo, l’erede al trono, con Camilla Parker Bowles (oggi è la regina consorte). Le polemiche virulente sul tenore di vita della famiglia reale affossano l’immagine della monarchia britannica. Gli anni Novanta, in verità, si rivelano miserabili sotto il profilo domestico, ma sulla scena internazionale il prestigio di Elisabetta si consolida, ha sottolineato Robert Hardman, ex corrispondente reale e autore della biografia Queen of the World. PUBBLICITÀ Martedì 6 settembre 2022. Trent’anni dopo, una Elisabetta II affaticata ma sorridente riceve al castello scozzese di Balmoral Liz Truss, ufficializzandone così la nomina a nuova premier conservatrice. Proprio colei che nel 1994, durante il congresso liberal-democratico di Brighton, aveva reclamato l’abolizione della monarchia (ma anche del nucleare, come la legalizzazione delle droghe). Fino all’ultimo, insomma, nonostante la salute precaria, la sovrana ha voluto assolvere il suo dovere, l’ormai celebre royal duty, che non ha mai smesso di onorare. Due giorni dopo, purtroppo, la sovrana britannica è spirata. Perlomeno era riuscita a compiere la sua missione: rafforzare l’istituzione reale, essendosi assunta, col suo ruolo, tutte le responsabilità. In un momento drammatico: perché mai come in queste ultime settimane il Regno Unito si è trovato così vicino alla “catastrofe sociale”, come si legge nell’edizione settimanale del Guardian datata 2 settembre. Il 2022 è l’annus horribilis del Regno Unito. Carovita incalzante, prezzi alle stelle, paura per l’immediato futuro (bollette, disoccupazione crescente, inflazione che galoppa: la Banca d’Inghilterra prevede che toccherà in autunno il 13%). Scioperi a ripetizione hanno scandito la profonda crisi politica che ha portato, molto faticosamente, alla nomina della Truss. La quale, nello stesso giorno in cui è morta Elisabetta, ha dichiarato: “È un momento durante il quale bisogna essere audaci”. E ha poi annunciato un piano di massicci aiuti (100 miliardi di sterline, ossia 115 miliardi di Euro, che però potrebbero raggiungere i 179 miliardi secondo una stima della Deutsche Bank): “Noi dobbiamo fronteggiare una crisi dell’energia. Non ci sono opzioni gratuite”. E ha aggiunto, per addolcire la pillola amara: “Le misure annunciate oggi porteranno importanti benefici alla nostra economia”. Ma intanto le bollette volano, ad aprile erano aumentate del 54%, ora sono cresciute di un altro 30%. Il nuovo governo, che sino a poco tempo fa si era opposto ad aiuti diretti perché ritenuti incapaci di risolvere i problemi di fondo, ha cambiato idea, decidendo di tamponare le bollette del gas e dell’elettricità: i nuclei familiari riceveranno un contributo medio calcolato su 1.000 sterline. Per i sindacati, tuttavia, sono palliativi. E cresce la rabbia. O peggio, cresce la voglia di ribellarsi. Disobbedienza civile. Strangolati dalle bollette, 145mila persone hanno accolto l’appello dell’associazione Don’t Pay UK (“Non pagate”) lanciato da un gruppo di quattro amici che il governo ha subito bollato di “irresponsabilità”. Le sottoscrizioni potrebbero raggiungere il milione di firme entro ottobre. Duplice, lo scopo. Quello politico, di far pressione sull’esecutivo. Quello pragmatico, di lanciare – nel caso non venissero adottate misure concrete – lo sciopero delle fatture. Questa iniziativa è una delle tante: la protesta coinvolge ormai quasi tutte le categorie dei lavoratori, ma anche le associazioni delle piccole imprese come la Fsb, la quale ha condotto un’inchiesta per appurare che più della metà delle piccole imprese sono asfissiate dai costi di produzione e di trasporto, col rischio di una pesante decrescita nei prossimi dodici mesi.
Consapevoli della gravità della crisi energetica, molte località hanno deciso di creare delle “banche di calore”. Lo spiega The Sunday Times: “A Birmingham, a Bristol e a Glasgow, dei centri di ricreazione, delle biblioteche e degli edifici religiosi potranno servire da rifugio per le famiglie che non possono permettersi questo inverno il riscaldamento”. Il problema è che anche molte strutture, soprattutto quelle religiose, aperte al pubblico temono di non poter pagare le bollette, è l’allarme lanciato dal settimanale New Statesman. Per rimediare qualche sterlina in più della loro pensione, 174mila persone di oltre 65 anni hanno ripreso a lavorare ed è un altro segnale che certifica una crisi che forse nasce da lontano. Di sicuro, anche dalla Brexit. Nel mirino di chi vede compromesso il futuro ci sono appunto i brexiteer a cui viene rinfacciato di non essere stati capaci di mantenere le promesse, ossia di “riprendere il controllo” emancipandosi dall’Unione europea. In questo bailamme, “il movimento sindacale è tornato in carreggiata dopo trent’anni di ripiegamento”, ha scritto il Financial Times, infatti gli scioperi si sono moltiplicati e coinvolgono ferrovieri e scaricatori, camionisti, postini e avvocati. L’ex ministro degli affarti Esteri Liz Truss riuscirà a sbrogliare la matassa sempre più ingarbugliata del caos provocato dalla crisi energetica, dalla guerra in Ucraina, dalla piena attuazione della Brexit, dalla scomparsa della Regina? Come il suo mentore Boris Johnson, è politicamente inafferrabile, poiché cambia opinione a seconda delle circostanze. Come hanno commentato in molti, la mancanza di spina dorsale della Truss inquieta gli ambienti della City ma pure quelli di Bruxelles. È diventata primo ministro dopo 52 giorni di lotte fratricide all’interno del partito conservatore, ottenendo il 5 settembre solo il 57,4% dei voti contro il 42% del rivale Rishi Sunak, ex ministro delle Finanze. Troppe incognite. Troppe situazioni al limite: dall’energia al sistema sanitario, dalle scuole alla recessione. E ora non c’è più Elisabetta a fare da parafulmine alle angosce e alle preoccupazioni nazionali. The Observer, prestigioso quotidiano di sinistra, dubita che la nuova premier sia all’altezza della sfida. Per ora ha le chiavi di Downing Street. Ma non le chiavi del cuore degli inglesi, come Sua Maestà Elisabetta II. Martedì 24 novembre 1992, Guildhall di Londra, banchetto per festeggiare i suoi primi quarant’anni di regno. Elisabetta II ha la voce leggermente rauca. Qualche giorno prima è stata costretta a respirare i fumi dell’incendio che aveva devastato il castello di Windsor, ma non per questo rinuncia al discorso che ha preparato per i suoi sudditi. Una frase resterà idiomatica: “Questo 1992 non sarà un anno di cui mi ricorderò con piacere. È stato veramente un annus horribilis”. Per lei, davvero un’annata nera. Nerissima, se pensiamo al rogo di Windsor. Otto mesi prima, a marzo, il secondogenito maschio Andrea si era separato dalla provocante Fergie, dopo la pubblicazione di foto scandalose. Ad aprile era stato il turno di Anna, l’unica figlia: il divorzio da Mark Phillips, capitano del reggimento dei Dragoni, è l’ultimo atto di una tumultuosa love story punteggiata da reciproci tradimenti che fanno la gioia dei tabloid. A giugno, le rivelazioni di lady Diana piombano su Buckingham Palace scuotendo le fondamenta della Corona: la nuora denuncia la relazione extraconiugale di Carlo, l’erede al trono, con Camilla Parker Bowles (oggi è la regina consorte). Le polemiche virulente sul tenore di vita della famiglia reale affossano l’immagine della monarchia britannica. Gli anni Novanta, in verità, si rivelano miserabili sotto il profilo domestico, ma sulla scena internazionale il prestigio di Elisabetta si consolida, ha sottolineato Robert Hardman, ex corrispondente reale e autore della biografia Queen of the World. Martedì 6 settembre 2022. Trent’anni dopo, una Elisabetta II affaticata ma sorridente riceve al castello scozzese di Balmoral Liz Truss, ufficializzandone così la nomina a nuova premier conservatrice. Proprio colei che nel 1994, durante il congresso liberal-democratico di Brighton, aveva reclamato l’abolizione della monarchia (ma anche del nucleare, come la legalizzazione delle droghe). Fino all’ultimo, insomma, nonostante la salute precaria, la sovrana ha voluto assolvere il suo dovere, l’ormai celebre royal duty, che non ha mai smesso di onorare. Due giorni dopo, purtroppo, la sovrana britannica è spirata. Perlomeno era riuscita a compiere la sua missione: rafforzare l’istituzione reale, essendosi assunta, col suo ruolo, tutte le responsabilità. In un momento drammatico: perché mai come in queste ultime settimane il Regno Unito si è trovato così vicino alla “catastrofe sociale”, come si legge nell’edizione settimanale del Guardian datata 2 settembre. Il 2022 è l’annus horribilis del Regno Unito. Carovita incalzante, prezzi alle stelle, paura per l’immediato futuro (bollette, disoccupazione crescente, inflazione che galoppa: la Banca d’Inghilterra prevede che toccherà in autunno il 13%). Scioperi a ripetizione hanno scandito la profonda crisi politica che ha portato, molto faticosamente, alla nomina della Truss. La quale, nello stesso giorno in cui è morta Elisabetta, ha dichiarato: “È un momento durante il quale bisogna essere audaci”. E ha poi annunciato un piano di massicci aiuti (100 miliardi di sterline, ossia 115 miliardi di Euro, che però potrebbero raggiungere i 179 miliardi secondo una stima della Deutsche Bank): “Noi dobbiamo fronteggiare una crisi dell’energia. Non ci sono opzioni gratuite”. E ha aggiunto, per addolcire la pillola amara: “Le misure annunciate oggi porteranno importanti benefici alla nostra economia”. Ma intanto le bollette volano, ad aprile erano aumentate del 54%, ora sono cresciute di un altro 30%. Il nuovo governo, che sino a poco tempo fa si era opposto ad aiuti diretti perché ritenuti incapaci di risolvere i problemi di fondo, ha cambiato idea, decidendo di tamponare le bollette del gas e dell’elettricità: i nuclei familiari riceveranno un contributo medio calcolato su 1.000 sterline. Per i sindacati, tuttavia, sono palliativi. E cresce la rabbia. O peggio, cresce la voglia di ribellarsi. Disobbedienza civile. Strangolati dalle bollette, 145mila persone hanno accolto l’appello dell’associazione Don’t Pay UK (“Non pagate”) lanciato da un gruppo di quattro amici che il governo ha subito bollato di “irresponsabilità”. Le sottoscrizioni potrebbero raggiungere il milione di firme entro ottobre. Duplice, lo scopo. Quello politico, di far pressione sull’esecutivo. Quello pragmatico, di lanciare – nel caso non venissero adottate misure concrete – lo sciopero delle fatture. Questa iniziativa è una delle tante: la protesta coinvolge ormai quasi tutte le categorie dei lavoratori, ma anche le associazioni delle piccole imprese come la Fsb, la quale ha condotto un’inchiesta per appurare che più della metà delle piccole imprese sono asfissiate dai costi di produzione e di trasporto, col rischio di una pesante decrescita nei prossimi dodici mesi.
Consapevoli della gravità della crisi energetica, molte località hanno deciso di creare delle “banche di calore”. Lo spiega The Sunday Times: “A Birmingham, a Bristol e a Glasgow, dei centri di ricreazione, delle biblioteche e degli edifici religiosi potranno servire da rifugio per le famiglie che non possono permettersi questo inverno il riscaldamento”. Il problema è che anche molte strutture, soprattutto quelle religiose, aperte al pubblico temono di non poter pagare le bollette, è l’allarme lanciato dal settimanale New Statesman. Per rimediare qualche sterlina in più della loro pensione, 174mila persone di oltre 65 anni hanno ripreso a lavorare ed è un altro segnale che certifica una crisi che forse nasce da lontano. Di sicuro, anche dalla Brexit. Nel mirino di chi vede compromesso il futuro ci sono appunto i brexiteer a cui viene rinfacciato di non essere stati capaci di mantenere le promesse, ossia di “riprendere il controllo” emancipandosi dall’Unione europea. In questo bailamme, “il movimento sindacale è tornato in carreggiata dopo trent’anni di ripiegamento”, ha scritto il Financial Times, infatti gli scioperi si sono moltiplicati e coinvolgono ferrovieri e scaricatori, camionisti, postini e avvocati.
L’ex ministro degli affarti Esteri Liz Truss riuscirà a sbrogliare la matassa sempre più ingarbugliata del caos provocato dalla crisi energetica, dalla guerra in Ucraina, dalla piena attuazione della Brexit, dalla scomparsa della Regina? Come il suo mentore Boris Johnson, è politicamente inafferrabile, poiché cambia opinione a seconda delle circostanze. Come hanno commentato in molti, la mancanza di spina dorsale della Truss inquieta gli ambienti della City ma pure quelli di Bruxelles. È diventata primo ministro dopo 52 giorni di lotte fratricide all’interno del partito conservatore, ottenendo il 5 settembre solo il 57,4% dei voti contro il 42% del rivale Rishi Sunak, ex ministro delle Finanze. Troppe incognite. Troppe situazioni al limite: dall’energia al sistema sanitario, dalle scuole alla recessione. E ora non c’è più Elisabetta a fare da parafulmine alle angosce e alle preoccupazioni nazionali. The Observer, prestigioso quotidiano di sinistra, dubita che la nuova premier sia all’altezza della sfida. Per ora ha le chiavi di Downing Street. Ma non le chiavi del cuore degli inglesi, come Sua Maestà Elisabetta II. Quando Elisabetta II è ascesa al trono, nel 1952, sull’impero britannico non tramontava mai il sole. Il declino era già cominciato con l’indipendenza dell’India, nel 1947, ma Winston Churchill, tornato a guidare il governo durante i primi passi della giovane sovrana, era deciso ad aggrapparsi a un impero ancora potente. Nel momento della sua scomparsa, 70 anni dopo, Elisabetta II era ancora la regina di 14 paesi oltre a quelli che formano il Regno Unito (al suo apogeo erano 32). Tuttavia – a parte Canada, Australia e Nuova Zelanda – queste nazioni sono soprattutto piccoli residui dell’ex impero nei Caraibi e nel Pacifico meridionale. Tutti gli altri si sono allontanati dalla corona, anche se mantengono un legame privilegiato attraverso il Commonwealth. Senza dubbio i prossimi giorni saranno segnati da un cordoglio planetario per la perdita di una sovrana che sembra essere stata sempre presente, a prescindere dall’età o dalla provenienza di ciascuno di noi. Ma possiamo già chiederci quale sarà l’influenza della monarchia dopo la sua scomparsa, in un mondo che sta vivendo un colossale cambiamento. Svolte repubblicane “Dall’impero alla Brexit”: forse questo è un riassunto troppo brutale del regno di Elisabetta II, ma in fondo è una descrizione fedele del Regno Unito degli ultimi decenni, che non ha mai smesso di rimpicciolirsi e rischia un’ennesima amputazione. Altri paesi potrebbero infatti abbandonare il simbolo monarchico. L’ultimo ad averlo fatto, nel 2021, è stata Barbados, un’isola caraibica abitata da 300mila persone il cui governo ha proclamato che “è arrivato il momento di lasciarci alle spalle il nostro passato coloniale”. La lista non si concluderà con Barbados. La notizia è passata abbastanza inosservata, ma nel maggio scorso, quando i laburisti hanno vinto le elezioni legislative in Australia, hanno nominato un sottosegretario per la repubblica. Il partito vorrebbe infatti organizzare un referendum per passare dalla monarchia alla repubblica nel caso in cui ottenesse un secondo mandato. Altre fonti hanno rivelato che il suo attaccamento all’Europa era immenso Con la morte di Elisabetta II non si volta solo la pagina coloniale, ma anche quella postcoloniale. Elisabetta era diretta discendente della regina Vittoria – il cui giubileo, nel 1897, coincise con l’apogeo dell’impero britannico – e ha vissuto la transizione postcoloniale. Il suo successore dovrà affrontare un mondo completamente diverso. Elisabetta è stata regina di un impero scomparso, ma anche di un Regno Unito che non trova il suo posto nel mondo. La riservatezza a cui era costretta le ha impedito di esprimersi pubblicamente in merito alla Brexit. I tabloid britannici le hanno attribuito a volte opinioni favorevoli, ma altre fonti hanno rivelato che il suo attaccamento all’Europa era immenso.

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