Wednesday, June 25, 2025

GABRIELE D'ANNUNZIO

Gabriele D'Annunzio, allo stato civile Gabriele d'Annunzio[2] (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1º marzo 1938), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del decadentismo e dell'estetismo[3] e celebre figura della prima guerra mondiale[4][5], dal 1924 insignito dal re Vittorio Emanuele III del titolo di Principe di Montenevoso. Soprannominato il Vate (allo stesso modo di Giosuè Carducci), cioè "poeta sacro, profeta", cantore dell'Italia umbertina, o anche "l'Immaginifico", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. È stato definito «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana».[6][7] Come figura politica, lasciò un segno nella sua epoca ed ebbe un'influenza notevole sugli eventi che gli sarebbero succeduti.[8] La sua arte fu così determinante per la cultura di massa, che influenzò usi e costumi nell'Italia – e non solo – del suo tempo: un periodo che più tardi sarebbe stato definito, appunto, dannunzianesimo.[9] Biografia (latino) «Hoc habeo quodcumque dedi.» (italiano) «Io ho quel che ho donato.» (Motto dannunziano[10]) La famiglia e gli anni di formazione La casa natale di Gabriele D'Annunzio a Pescara Gabriele D'Annunzio a 7 anni Nacque a Pescara Vecchia, in corso Manthoné, il 12 marzo 1863 da una famiglia borghese benestante. Terzo di cinque figli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Dalla madre, Luisa de Benedictis (1839-1917), erediterà la fine sensibilità; il temperamento dal padre, Francesco Paolo Rapagnetta-D'Annunzio (1838-1893). Il padre Francesco aveva acquisito nel 1851 il cognome D'Annunzio aggiungendolo al proprio, traendolo dal cognato della madre Rita Olimpia Lolli, cioè lo zio acquisito Antonio D'Annunzio che sposato con Anna Giuseppa Lolli non aveva avuto eredi a causa dell'infertilità della moglie e per questo aveva lasciato l'eredità ai Rapagnetta che invece avevano avuto 8 figli, tra cui il padre di Gabriele. Riguardo all'infanzia del poeta, qualche detrattore fece l'ipotesi che il suo nome fosse Gaetano Rapagnetta e fosse un orfano adottato dai D'Annunzio; in realtà era già il padre a chiamarsi Rapagnetta-D'Annunzio, avendo aggiunto legalmente con relativo Atto di Adozione della Corte Civile de L’Aquila del 1851, il cognome d'adozione al suo cognome di nascita. Sembra che il nome "Gabriele" fosse forse stato scelto in onore del fratello dello zio, morto in mare.[11] Per quanto riguarda il cognome del futuro Vate, in ogni suo documento ufficiale ed estratto di nascita apparirà unicamente come d'Annunzio, anche se non è per nulla chiaro il motivo per cui sia sparito il doppio cognome comprendente il cognome originale di cui non si ha più traccia. Il padre Francesco aveva un carattere e temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, che in effetti portarono la famiglia da una condizione agiata a una difficile situazione economica. Reminiscenze della condotta paterna, la cui figura è ricordata nelle Faville del maglio e accennata nel Poema paradisiaco, sono presenti nel romanzo Trionfo della morte.[12] Ebbe tre sorelle, cui fu molto legato per tutta la vita, e un fratello minore[13]: Anna (Pescara, 27 luglio 1859 - Pescara, 9 agosto 1914); Elvira (Pescara, 3 novembre 1861 - Pescara, 1942); Ernestina (Pescara, 10 luglio 1865 - Pescara, 1938); Antonio (Pescara, 1867 - New York, 1945), direttore d'orchestra, si trasferì negli Stati Uniti dove fece l'insegnante di oboe, ma subì un tracollo finanziario nella crisi economica del 1929; Gabriele lo aiutò finanziariamente con alcuni prestiti, ma le continue richieste di denaro spinsero Gabriele a rompere i rapporti e a rifiutare di incontrarlo al Vittoriale. Il giovane D'Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso e privo di complessi e inibizioni, portato al confronto competitivo con la realtà. Ne è testimonianza la lettera che, ancora sedicenne, scrisse nel 1879 a Giosuè Carducci, il poeta più stimato nell'Italia umbertina,[14] mentre frequenta il liceo al prestigioso istituto Convitto Cicognini di Prato. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo.

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