Saturday, December 2, 2023

Diritto all'Oblio

il diritto alla riservatezza, sorto in passato come “right to be let alone”[26], viene oggi inteso quale libertà di verificare la diffusione e il trattamento di dati personali[27], col duplice proposito di porre, da un lato, un freno alle indebite ingerenze sulla sfera personale, appartenete a ciascun individuo, e di controllare, d’altro lato, il modo in cui avviene l’edificazione della biografia di ognuno, mediante la diffusione delle relative informazioni[28]. Sul piano normativo, il diritto ad un trattamento rispettoso della propria sfera personale è sancito all’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il quale indica anche le modalità in cui il trattamento debba concretamente avvenire[29], mentre la protezione della propria vita privata e familiare (ossia di ciò a cui facciamo comunemente riferimento col termine privacy) è garantita dall’art. 7 della stessa Carta[30]. Sempre sulla base dell’art. 2 Cost.[31], è stato successivamente elaborato il diritto all’identità personale, la cui natura è, tuttavia, ben distinta da quella del diritto alla riservatezza[32], seppur ne abbia seguito le orme e ne condivida il fondamento giuridico[33]. Sebbene l’art. 1 del Codice Privacy faccia espresso riferimento al «rispetto della dignità umana»[34], tuttora il contenuto del diritto all’identità personale non trova definizione in alcun testo normativo. Così, è necessario risalirne per il tramite delle riflessioni dottrinali[35] e delle decisioni giurisprudenziali[36]. A proposito, il comun denominatore delle innumerevoli definizioni sembrerebbe posarsi sul sentimento che ciascun individuo nutre di se stesso, per come è via via maturato nel tempo, mediante il singolare approccio alla vita che ognuno realizza con la propria matrice ideologica, il che rende l’individuo una personalità unica nel proprio genere. In ogni caso, bisogna specificare che, alla consapevolezza interiore di sé, deve, comunque, seguire la corretta rappresentazione di sé all’esterno, sempre in linea con i comportamenti e le condotte palesati dalla persona rappresentata[37], in maniera tale da farla sentire pienamente connotata nella vita di relazione con gli altri[38]. A questo punto, c’è comunque da sottolineare che l’interesse ad essere se stessi, congiunto a quello di non vedersi posti in cattiva luce, trova tutela in quanto tale, indipendentemente, cioè, dagli effetti, positivi o negativi, arrecati sull’onore e sulla reputazione ad opera di un travisamento circa gli aspetti della personalità: di conseguenza, anche un travisamento migliorativo potrebbe presentarsi come illegittimo[39]. Come anticipato, i diritti in parola, anche se distinti sul piano concettuale, si fondono quando ci si trova ad operare nell’ambito del corretto trattamento dei dati personali, per il cui soddisfacimento è, al contempo, necessario garantire un margine di riserbo ed una rappresentazione corrispondente alla realtà[40]. Questa contingenza è, a maggior ragione, riscontrabile nel contesto digitale odierno, in cui gli utenti della Rete, a volte volontariamente, altre volte in modo del tutto inconsapevole, concorrono a creare varie rappresentazioni virtuali del proprio essere, le quali si possono palesare molto eterogenee tra loro, proprio per la potenzialità, tipica degli strumenti informatici, di stratificare dati su dati riguardanti le persone, spesso senza alcuna verifica preventiva da parte dei soggetti idonei ad effettuare un’apposita cernita[41]. Per tale ragione, diviene ancor più pregnante assicurare una specifica tutela nei confronti del diritto all’identità digitale, il quale prevede, in particolare, un aggiornamento continuo di quei dati che risultano pertinenti a qualificare ciascun individuo nella sua totalità, per far sì che vengano rimossi quegli elementi che, di converso, hanno perso la loro finalità caratterizzante verso uno specifico soggetto, sebbene l’abbiano avuta in passato[42]. Non a caso, l’art. 9 della Dichiarazione dei diritti in Internet stabilisce che «ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale ed aggiornata delle proprie identità in rete», cosicché, come previsto dallo stesso articolo, «l’uso di algoritmi e di tecniche probabilistiche deve essere portato a conoscenza delle persone interessate, che in ogni caso possono opporsi alla costruzione e alla diffusione di profili che le riguardano»[43]. In tal modo, si può far pulizia di quei dati inutili, e spesso fuorvianti, che altrimenti la Rete continuerebbe ad accumulare e riproporre indebitamente ai suoi utenti[44]. Cosicché, l’oblio diviene lo strumento fondamentale per rivendicare il diritto a vedere rappresentata la propria identità al passo con i tempi, soprattutto quando si siano verificati, nel frattempo, notevoli mutamenti sul proprio essere, che potrebbero aver reso inattuali alcuni tratti identitari, tipici di periodi della vita ormai trascorsi[45]. Nel caso in commento, in aggiunta alle esigenze del soggetto menzionato negli articoli giornalistici, è rinvenibile, sulla sponda opposta, l’interesse dei media a fornire le informazioni al pubblico, a cui fa da contraltare, per l’appunto, l’interesse della collettività a ricevere le informazioni, che rientra nel profilo, per così dire, passivo della libertà di informazione. Il diritto di cronaca giornalistica è tutelato, e allo stesso tempo limitato, dall’art. 21 Cost., in quanto si presenta come un corollario della libertà di stampa, la quale appartiene, a sua volta, al più ampio genus della libertà di manifestazione del pensiero. L’attività di dare informazioni non è, comunque, fine a se stessa, bensì è strumentale all’interno del processo di creazione di una pubblica opinione, per cui sarebbe impossibile, in un contesto democratico, per di più improntato sul principio di eguaglianza, immaginare una stampa avulsa da una sfera di garanzia, prevista anche a beneficio dei destinatari per cui la stessa stampa esiste ed opera. Così, pur nel silenzio dell’art. 21 Cost., il diritto ad essere informati è del pari desunto, in via interpretativa, ad opera della giurisprudenza costituzionale, dalla disposizione dello stesso articolo[46]. Inoltre, esso trova espresso riferimento in atti normativi sovranazionali: difatti, l’art. 10, co. 1, CEDU sancisce che «ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera […]»; ne fa eco l’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, a mente del quale «ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere»; lo stesso principio è posto nell’art. 11, co. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, per cui «ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera». Ad ogni modo, nel perimetro di una democrazia pluralista e digitalizzata, in cui circolano legittimamente una miriade di dati di matrice diversa, il punto focale parrebbe non esser più semplicemente il diritto a ricevere delle informazioni tout court, bensì il diritto di accedere a notizie veritiere, imparziali ed aggiornate, frutto cioè di un giornalismo responsabile[47]. In particolare, una corretta informazione è rinvenibile laddove sussistano alcune condizioni essenziali, grazie alle quali è possibile preservare l’onore, la reputazione e la dignità delle persone menzionate, al punto tale da consentire al diritto di cronaca di assumere i connotati di esimente[48], al pari del diritto di critica e di satira. Tali condizioni rientrano nel c.d. Decalogo del buon giornalista, che è stato formulato dalla giurisprudenza[49], proprio al fine di tratteggiare dei criteri specifici da tener conto in occasione del bilanciamento tra i diritti dei soggetti coinvolti nelle notizie e diritto di informazione, ivi compresi quei casi in cui si palesino i margini per il diritto all’oblio. Questi requisiti consistono nella verità della notizia, nella continenza espositiva, nell’utilità sociale dell’informazione, nella sua essenzialità ed attualità[50]. Un riferimento generico a tali condizioni è presente all’art. 137, co. 3, del Codice Privacy, con riguardo al trattamento dei dati «effettuato nell’esercizio della professione di giornalista» (lett. a), art. 136) e «finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione anche occasionale di articoli» (lett. c), art. 136). In aggiunta, l’art. 139 affida ad un corpo normativo, predisposto dal Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti e allegato al Codice Privacy, l’individuazione di «regole deontologiche relative al trattamento dei dati di cui all’articolo 136, che prevedono misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate alla natura dei dati, in particolare per quanto riguarda quelli relativi alla salute e alla vita o all’orientamento sessuale»[51]. Allo stesso tempo, nel mezzo tra la notizia e i fruitori del servizio informativo, si posizionano degli intermediari, che prestano anche ulteriori servizi, in aggiunta alla semplice catalogazione[52]. In effetti, l’uso preponderante dei motori di ricerca, per ottenere aggiornamenti costanti e in tempo reale sull’attualità, induce a porre l’attenzione sul trattamento dei dati, forniti da terzi sui siti Internet, che vengono poi raccolti e trattati nei server dei motori di ricerca. In proposito, bisogna rimarcare che «il trattamento di dati personali svolto nel contesto delle attività di un motore di ricerca è cosa diversa e ulteriore rispetto al trattamento svolto dagli editori di siti terzi»[53]. Difatti, il motore di ricerca, come già scritto, fa solo da intermediario per giungere alla notizia, ma non contribuisce a creare la notizia medesima. Ciononostante, l’evoluzione normativa e la giurisprudenza propendono sempre di più verso una responsabilizzazione dei motori di ricerca, per far sì che, in una realtà eterea senza confini, com’è quella virtuale, trovino, comunque, soddisfacimento sia gli interessi degli utenti che gli interessi dei soggetti nominati sui siti[54]. In conclusione, preme ribadire che il diritto alla riservatezza e all’identità personale aggiornata, da un lato, e il diritto di informazione e di cronaca, dall’altro, sono diritti fondamentali di pari rango costituzionale. Ne consegue che è inammissibile predeterminarne una gerarchia fissa, mediante la quale enucleare, una volta per tutte, quale tra questi diritti possa ritenersi predominante rispetto agli altri, con un ragionamento semplicistico in termini di assolutezza[55]. Ne discende la necessità di operare, caso per caso, un bilanciamento giudiziale sulla base di tutte le circostanze significative[56], il quale, sebbene consenta di esaltare, di volta in volta, le peculiarità del singolo caso, non può, del resto, esonerare dal rischio di creare alcune difformità tra le varie decisioni[57].

Piani Cottura

Friday, December 1, 2023

Camini Aperti

Il divieto per i camini aperti Sono molte le località italiane in cui è vietato utilizzare i camini aperti, con lo scopo di favorire la lotta all’inquinamento dell’aria, purtroppo aggravato dall’uso di queste soluzioni per il riscaldamento. Camino a legna aperto tradizionale Un divieto che non è esteso a priori all’intero Paese, ma che riguarda tutti i Comuni situati ad un altitudine inferiore ai 300 metri, nelle regioni Lombardia ed Emilia Romagna. Ulteriori restrizioni ci sono anche in altre regioni, come il Piemonte e il Veneto. Il parametro è stato scelto in relazione al clima che contraddistingue le località più fredde, dove il camino contribuisce molto al riscaldamento degli edifici. I provvedimenti sopra accennati, sono ormai in vigore da alcuni anni, ma non sempre vengono rispettati. Che cosa si intende per camino aperto Per camino aperto si intende un focolare a fiamma libera, quindi senza un vetro. Si tratta di una tipologia di camino spesso tradizionale, ma non solo, in quanto negli scorsi anni sono stati installati ancora dispositivi, anche moderni, fatti in questo modo. In realtà, questa tipologia di camini, soprattutto di nuova installazione, nasce più come componente d’arredo che come soluzione per il riscaldamento della casa, tanto che anche la sua efficienza non è adeguata ai livelli richiesti ora per le abitazioni. Però, ciò che davvero non li rende adatti ad essere accesi con elevata frequenza, è proprio il loro contributo all’inquinamento atmosferico, in quanto sono fonte di polveri sottili e altri inquinanti. Utilizzare un camino di questa tipologia, quindi, vanifica il vantaggio di ricorrere ad una fonte rinnovabile e naturale come la legna, generalmente considerata a impatto zero in quanto, durante il suo ciclo di vita, un albero assorbe una quantità di emissioni almeno pari a quanta ne produce durante la combustione. Perché installare un caminetto chiuso a norma Un caminetto chiuso, invece, prevede la presenza di un vetro temprato che isola il focolare dall’ambiente, aumentano l’efficienza della combustione e il calore prodotto e riducendo le emissioni di sostanze inquinanti. Perché installare un caminetto chiuso a norma Un’ulteriore evoluzione avvenuta, poi, è quella che prevede la sostituzione della legna con il pellet, con la possibilità di programmare e regolare il camino in modo ancor più puntuale. In ogni caso, al di là del modello installato, un camino chiuso moderno riscalda la casa in modo più efficiente, è più sicuro per le persone che la abitano ed è decisamente meno inquinante. Per misurare al meglio le prestazioni di questi nuovi camini, si utilizza una classificazione a stelle: più stelle si raggiungono (il massimo è 5), più le performance ambientali sono buone. Un camino aperto può essere riqualificato e messo a norma? La Legge non prevede tanto il divieto di uso del camino, ma piuttosto che lo si usi per il riscaldamento solo nel caso in cui rispetti la normativa. Anche un camino aperto, quindi, può essere riqualificato e trasformato in un camino chiuso efficiente, eventualmente in grado anche di scaldare tutti gli ambienti domestici, tramite apposito sistema di canalizzazione. In ogni caso, il risultato ottenuto deve essere coerente con le prestazioni richieste. Un camino aperto può essere riqualificato e messo a norma? Ad esempio, in Lombardia si possono installare sistemi a biomassa a 4 o 5 stelle e non si possono accendere sistemi che abbiano meno di 3 stelle. Alcuni divieti più stringenti, poi, possono essere imposti in periodi specifici dell’anno. Inoltre, è necessario rispettare la normativa in materia di manutenzione, anche per gli impianti di riscaldamento a legna. Sono previsti controlli periodici della canna fumaria, che in Lombardia diventano annuali da questo inverno. Inoltre, l’intero impianto deve essere sottoposto a manutenzione, con una frequenza che varia a seconda della potenza del camino. Il consiglio, è quello di affidarsi sempre a manutentori professionali, in Regione Lombardia registrati nel CURIT, che rilasciano anche il Rapporto di Controllo regionale. All’utente, chiaramente, è demandata la pulizia quotidiana del camino, necessaria per assicurarne le massime prestazioni.

Canile

Thursday, November 30, 2023

Piani cottura

E' Morto

Le STP, vale a dire le società costituite tra professionisti, possono costituire un’opportunità per lo svolgimento dell’attività professionale potendo fruire delle sinergie dei suoi partecipanti. E’ bene però comprende a fondo anche quali sono i vincoli e i limiti per non incorrere in qualche falsa aspettativa. Il legislatore nel prevedere questa innovativa tipologia di soggetto societario ne ha fornito solo le regole civilistiche, rinviando in modo più o meno puntuale alle tipologie societarie prevista dal codice civile. Non ha però fornito la disciplina fiscale talché sul punto l’Agenzia delle entrate è stata costretta ad esprimersi in via interpretativa. Gli elementi delle STP Le STP si collocano nel contesto della abrogazione oramai datata del divieto di esercizio in forma societaria delle attività di assistenza e consulenza in materia tecnica, legale commerciale, amministrativa, contabile o tributaria, di cui all’art. 2 della legge 1815/1939. Va tenuto conto che al momento, in ambito professionale, coesistono tre diverse tipologie societarie che non sono tuttavia esattamente sovrapponibili: “Società tra professionisti” (STP) – art. 10, comma da 3 a 11, della legge n. 183 del 2011; “Società tra avvocati” – art. 4 bis della legge n. 247 del 2012; “Società tra avvocati” – (STA) – art. 16 e ss del D.lgs. n. 96 del 2011. In questo contributo ci occupiamo solo delle STP – società tra professionisti. La STP nella normativa codicistica La legge 12 novembre 2011, n. 183, con l’articolo 10, commi da 3 a 11, ha introdotto nel nostro ordinamento la società tra professionisti (STP) la quale può operare nel settore di una o più attività professionale laddove sia previsto l’obbligo di iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico. Il DM Giustizia n. 34/2013 dell’8 febbraio 2013 ha definito i contorni attuativi. Secondo il Notariato del Triveneto, l’oggetto sociale delle STP deve essere limitato esclusivamente all’attività professionale (o alle attività professionali in caso di STP costituita per l’esercizio di più attività professionali) in funzione all’esercizio della quale (o delle quali) sono costituite. Al riguardo si ritiene che nella STP debba essere presente nella compagine sociale almeno un socio professionista, legalmente abilitato, per ogni attività professionale dedotta nell’oggetto sociale. In definitiva la STP può essere costituita rivestendo la forma di qualsivoglia soggetto societario conosciuto dal codice civile e dunque: società semplice; società in nome collettivo; società in accomandita semplice; società a responsabilità limitata società a responsabilità limitata semplificata (soci solo persone fisiche); società per azioni società in accomandita per azioni; società cooperative (il numero dei soci non può essere inferiore a 3).
Circa la possibilità che la società rivesta la forma di società a socio unico si registrano posizioni non concordi tra Consiglio Nazionale DDCC (contrari) e il Notariato del Triveneto (favorevoli, ovviamente nelle sole società di capitali). La ragione/denominazione sociale della STP deve contenere l’indicazione di “società tra professionisti” o la sigla (STP) e nell’ipotesi di società di persone anche indicare il nome dei soci responsabili che non necessariamente devono essere professionisti; va poi aggiunto il suffisso in relazione alla tipologia scelta (Spa, Srl, Snc, etc.). L’art. 7, comma 1 del citato D.M. n. 34/2013, stabilisce che la STP vada iscritta nella apposita Sezione Speciale del registro delle imprese (articolo 16, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96). Al riguardo il Notariato del Triveneto (Orientamenti societari 9/2013 – Q.A.4) ritiene che la società veda comunque anche iscritta nel Registro delle Imprese ordinario. Inoltre, la società multidisciplinare deve essere iscritta presso l’albo o il registro dell’ordine o del collegio professionale relativo alla attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo. I soci possono anche non essere professionisti I soci della STP possono essere: professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, nonché cittadini UE in possesso del titolo di studio abilitante; non professionisti. I soci non professionisti a loro volta si distinguono in due categorie: coloro che svolgono prestazioni tecniche (strumentali, accessorie o di supporto organizzativo, quali ad esempio, softweristi, segretarie, amministrativi); coloro che apportano solo capitale per finalità di investimento ma non svolgono attività nell’ambito societario (sono ammessi anche soggetti societari). I soci professionisti devono avere i 2/3 dei voti, ma non necessariamente i 2/3 del capitale sociale, dal che deriva che i soci non professionisti possono detenere più di 1/3 del capitale sociale sempre che le quote eccedenti 1/3 non consentano l’esercizio del diritto di voto (Consiglio Notarile del Triveneto Orientamenti societari 9/2013 – Q.A.). La disposizione in commento consente di fatto alcune situazioni composite posto che: è possibile che un socio professionista intervenga in qualità di mero socio investitore senza per questo essere coinvolto dell’attività professionale delle società; alla società possono partecipare professionisti e anche oggetti che svolgono prestazioni tecniche e ausiliare senza che vi siano soci meri investitori. Si può anche configurare l’ipotesi in cui il socio professionista investitore possegga la maggioranza dei diritti di voto e che quindi sia in grado di nominare l’organo amministrativo, nonostante non svolga poi alcuna attività professionale nell’ambito della STP. Quel che risulta chiara dalla norma è che la partecipazione ad una STP risulta incompatibile con la partecipazione ad altra STP, tanto per il socio professionista quanto per il socio per finalità d’investimento o per prestazioni tecniche. L’assunzione dell’incarico e l’amministrazione della STP Il Notariato del Triveneto rileva l’assenza di limiti legali circa la composizione dell’organo amministrativo talché il medesimo può essere composto da chiunque è può pertanto essere formato, anche per intero, da non professionisti ovvero da persone giuridiche. Ciò detto, l’articolo 4 del predetto decreto attuativo stabilisce che all’atto del primo contatto con il cliente, la società deve informarlo: sul suo diritto di ottenere la prestazione da uno specifico professionista (o più) facente parte della società; sulla possibilità (è evidente in alternativa a quanto precede) che l’incarico sia svolto da uno qualunque dei soci che possiedono i requisiti per l’esercizio dell’attività professionale; sulla esistenza di conflitti di interesse tra cliente e società derivanti dalla presenza di soci con finalità di investimento (s’immagini il socio finanziatore, che può anche essere una società, il quale svolge una attività d’impresa in concorrenza con il cliente). STP e fisco L’agenzia delle entrate in risposta a interpello 954-55/2017 ha chiarito che il reddito della STP, posto che è prodotto da una società, è da considerarsi reddito d’impresa. D’altronde va detto che una interpretazione difforme avrebbe determinato difficoltà di gestione fiscale pressoché insormontabili in assenza di una norma specifica riservata alla nuova tipologia societaria. L’interpretazione è poggiata sull’art. 6, comma 3, Tuir, letto in abbinamento con gli artt. 81, comma 1, e 73, comma 1, lettere a) e b), i quali prevedono che il reddito prodotto dalle S.n.c., S.a.s., Società di capitali e cooperative è considerato reddito di impresa “da qualsiasi fonte provenga”. Ovviamente resta esclusa la collaudata società semplice laddove il reddito resta di lavoro autonomo. La logica conseguenza di tale interpretazione è che ad eccezione della società semplice, le fatture emesse dalla STP non devono evidenziare la ritenuta d’acconto, poiché la prestazione si pone al di fuori dell’articolo 25 del D.P.R. n. 600/1973. La qualificazione come reddito d’impresa rileva coerentemente anche ai fini Irap. La migrazione da associazione tra professionisti a STP I professionisti che già esercitano l’attività in forma individuale o in uno studio associato possono transitare alla forma di STP mediante: la “trasformazione” dello studio associato in “società tra professionisti”; il “conferimento” dell’attività svolta in forma individuale o associato in “società tra professionisti” o “società tra avvocati”. La possibilità di conferimento dello studio professionale in una società di persone o di capitali è stata ratificata dall’Agenzia delle entrate di due diverse occasioni. Sul punto con la circolare n. 8/2009 e la risoluzione n. 177/2009, a breve distanza di tempo tra loro, hanno chiarito preliminarmente che la cessione dello studio professionale comporta l’emersione di un reddito di lavoro autonomo disciplinato dall’ articolo 54 comma 1 – quater del Tuir il quale stabilisce che “concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”. Ebbene, considerato che il conferimento, in base all’articolo 9 del Tuir è operazione assimilata alla cessione, il timore è che l’operazione divenisse “plusvalente”: invece, l’agenzia delle entrate ha chiarito che ricorrendo specifici presupposti il conferimento di cui trattasi è neutrale dal punto di vista reddituale. Le condizioni sono che: 1) al momento del conferimento dello studio nella STP non sia prevista alcuna remunerazione al professionista conferente, al di là del fatto che ovviamente il conferente ottenga la partecipazione nella costituenda STP in contropartita del conferimento. 2) in caso di recesso del socio che a suo tempo ha conferito lo studio professionale sia previsto statutariamente che al medesimo non competa alcuna somma a titolo di remunerazione della sua fuoriuscita dall’ente collettivo.