Saturday, June 24, 2023

Stiamo con l'IDROGENO

Siamo nel 2023

Inceneritore chiuso entro il 2020? Dosi: “Non siamo stati coinvolti” Il termovalorizzatore di Piacenza Non si è fatta attendere la risposta del sindaco di Piacenza sulla questione dell’inceneritore di Borgoforte la cui chiusura rientrerebbe nel nuovo piano regionale dei rifiuti. “Al momento è solo un’ipotesi anche perchè il territorio non è stato minimamente coinvolto in questa decisione – ha detto il primo cittadino – “Prima di tutto ci dovrà essere un confronto ampio e condiviso e poi mi sembra una soluzione lontana e difficilmente realizzabile”. Domani il sindaco contatterà il presidente della regione Vasco Errani per avere aggiornamenti sulla questione. Concordi anche alcuni Ordini come quello dei Medici . La regione vuole chiudere l’inceneritore di Piacenza entrò il 2020 La Regione Emilia Romagna punterebbe a chiudere l’inceneritore di Piacenza nel 2020. E’ quanto emerso nel corso dell’incontro che l’assessore regionale all’ambiente Sabrina Freda ha avuto con i gestori dei servizi, nel quale è stato presentato il piano Regionale dei rifiuti. Gli obiettivi sono ambiziosi: riduzione della produzione di rifiuti urbani pro capite del 25%, raggiungimento del 70% della raccolta differenziata e del 60% del recupero di materia entro il 2020, dimezzare il numero delle discariche e chiudere due termovalorizzatori. A quanto pare sarebbero già stati identificati due inceneritori da chiudere degli otto attualmente in funzione in Emilia Romagna: quello di Ravenna entro il 2017 e quello di Borgoforte (gestito da Tecnoborgo) nel 2020. I due impianti sarebbero stati individuati in base all’effettiva efficienza, all’età e alla ridotta produzione di rifiuti delle rispettive zone. IREN: TECNOBORGO E’ UN IMPIANTO MODERNO E TECNOLOGICAMENTE AVANZATO – Presenti alla riunione c’erano anche i rappresentanti di Iren, società che controlla la maggioranza proprio di Tecnoborgo. “Il piano regionale è giustamente ambizioso e condivisibile – spiega il gruppo – noi crediamo comunque che le valutazioni future dovranno necessariamente tenere conto dei dati che arriveranno in tema di produzione dei rifiuti, alla luce di tanti fattori. Riteniamo inoltre che se di chiusura si deve parlare, la precedenza vada data a quelle strutture che non rispettano le normative europee, ossia le discariche. E per quanto concerne i termovalorizzatori, pensiamo che ci sia anche un criterio logistico da seguire, evitando di lasciare scoperte grandi fette di regione come potrebbe essere l’Emilia occidentale”. Su tutto, però, da parte di Iren pare prevalere l’orgoglio di avere un impianto che ha 10 anni di età, ma solo anagraficamente: “Nel termovalorizzatore di Borgoforte, inaugurato nel 1993, sono stati fatti investimenti per 20 milioni di euro, dal punto vista tecnologico è assolutamente moderno e allineato a quelli più recenti”. Play 00:00 -01:51 Mute Settings Enter fullscreen

Friday, June 23, 2023

Gli addii per Silvio Berlusconi

Caldaie a GAS

Caldaie a gas vietate dal 2029, ecco cosa cambia: incognita prezzi e possibili eccezioni. Dal 2029, secondo la bozza, si dovranno eliminare dal mercato le caldaie a gas esistenti in Europa e quelle tradizionali alimentate anche da altre fonti, come l’idrogeno, e si dovrà accelerare la loro sostituzione Caldaie a gas vietate dal 2029, ecco cosa cambia: incognita prezzi e possibili eccezioni. La bozza Ue Condividi Ascolta questo articolo ora... Caldaie a gas, stop a partire dal primo gennaio 2029. È quanto prevede la bozza di revisione del regolamento 813/2013/Ue. Il testo verrà però discusso il 12 giugno quando la Commissione europea terrà un nuovo incontro con i soggetti che stanno partecipando alla fase di consultazione pubblica delle bozze dei regolamenti Ecodesign ed Ecolabelling. La norma definitiva, secondo quanto riporta Il Sole 24 ore, dovrebbe arrivare entro quest’anno ed essere pubblicato nel 2024. Ecco cosa prevede il regolamento. Cosa cambia Dal 2029, secondo la bozza, si dovranno eliminare dal mercato le caldaie a gas esistenti in Europa e quelle tradizionali alimentate anche da altre fonti, come l’idrogeno, e si dovrà accelerare la loro sostituzione. Viene ntrodotto un limite minimo di efficienza stagionale, da rispettare a partire da settembre 2029, per le caldaie pari al 115 per cento. Resteranno sul mercato principalmente le pompe di calore elettriche e gli apparecchi ibridi (pompa di calore + caldaia a gas). I contrari La bozza ha suscitato critiche da parte di alcuni Paesi e operatori del settore, tra cui Proxigas, Assogasliquidi, Assortermica, Federcostruttori e Appia Italia. Secondo le associazioni di settore, in particolare, il nuovo Regolamento contrasterebbe con la proposta di Direttiva EPBD (la cosiddetta direttiva Case Green). A fine aprile la Commissione aveva ribadito, sostenuta da diversi soggetti, la sua volontà di procedere su questa linea ma si era cominciato a nutrire anche il fronte dei contrari, come l’Italia, con perplessità varie di soggetti come Polonia, Slovacchia, Romania, Croazia e Repubblica Ceca, oltre che di diverse associazioni. Le possibili eccezioni Nel prossimo incontro del 12 giugno si concentrano dunque le speranze dei “detrattori della misura”, che quanto meno vorrebbero poter inserire soglie meno rigide capaci di includere alternative green parimenti sostenibili ma meno limitative per l’industria produttiva. Consentendo ad esempio i ricorso ad apparecchi ibridi. Dello stesso avviso le altre associazioni. Gli esperti dovranno individuare anche le “situazioni particolari” in cui non esiste un’alternativa tecnica alle caldaie a gas e valutare se la nuova legge debba contemplare eccezioni alla soglia di efficienza del 115%. La decisione finale riguardo al divieto di vendita delle caldaie a gas dal settembre 2029 dipenderà dunque dall’esito di questa discussione. Il nodo termosifoni L’argomento è oggetto di dibattito anche tra i tecnici: quindi, su questi limiti di fattibilità esistono pareri discordanti. Le questioni più dibattute, comunque, riguardano le misure più ingombranti di alcuni apparecchi e il fatto che, in qualche caso, gli impianti dotati di termosifoni non funzionerebbero in modo altrettanto efficiente con tecnologie diverse dalle caldaie.

Silvio Berlusconi

L’Italia di oggi è figlia del berlusconismo, e ancor prima del fascismo . Il Cavaliere, con le sue politiche e con la visione del mondo che rappresentava, è entrato nelle vene di milioni di cittadini. Ma i suoi governi non hanno risolto problemi con cui il Paese è ancora alle prese. Anzi, hanno alimentato una disuguaglianza crescente Davanti alla morte ci sono soltanto rispetto e pietà. Da vivo, però, Silvio Berlusconi, di pietà ne ha suscitata poca. Altri sentimenti, semmai: ammirazione, invidia, entusiasmo, rancore. Silvio è stato tutto: genio e furbastro, imprenditore e politico, padre e amante, piduista ed europeista. Ha speso milioni per gli avvocati, qualche soldo anche per magistrati e parlamentari; è sempre stato convinto che con il denaro si potesse fare tutto. L’Espresso è stato un tenace avversario di Silvio Berlusconi sin dalla sua discesa in campo. Non gli ha perdonato niente e dedicato più di cento copertine. L’ex direttore Bruno Manfellotto ha ricostruito in questo numero le battaglie di quel tempo: «Da fuori ci accusavano di “accanimento giornalistico”, rimprovero diffuso e frequente sia da destra sia da sinistra», scrive. «Una “fissazione”, coniugata per di più a previsioni puntualmente smentite: una decina di copertine, infatti, si ostinavano a dare Silvio sull’orlo di una crisi di nervi, magari finito, esaurito, battuto per sempre. E invece no, il berlusconismo, con la sua carica di “populismo scientifico” – come lo chiamava Claudio Rinaldi già a metà degli anni Novanta, dunque con grande anticipo sui tempi – era entrato nella pelle di milioni di italiani, o forse più semplicemente, più realisticamente, aveva esaltato e legittimato dati del carattere nazionale a lungo repressi, o nascosti, o autocensurati». Già. Silvio Berlusconi non c’è più, ma il berlusconismo continuerà a circolare nelle vene di questo Paese. In fondo se oggi Giorgia Meloni è al governo è grazie al processo innescato proprio dal Cavaliere con il suo sdoganamento di Alleanza Nazionale al tempo guidata da Gianfranco Fini. Le sue televisioni hanno introdotto un modello di vita che per i più esisteva solo nello schermo, ma in tanti hanno finito per credere che quello che vedevano fosse possibile: la famiglia del mulino bianco ha avuto più effetto di un manifesto politico. In un certo periodo storico è stato il più votato, perché incarnava quello che molti italiani avrebbero voluto essere: furbi, ricchi, impuniti. E l’idea di trasformare i telespettatori in consumatori e poi in elettori di chi altri è se non sua? Ha reimpaginato un quadro politico bombardato da Tangentopoli riuscendo a riproporre vecchi paradigmi su nuovi spartiti. Ma poi è andato avanti con le sue idee neoliberiste, con il primato del privato sul pubblico, con la convinzione di essere inseguito da fisco e magistrati («È moralmente accettabile non pagare le tasse», si lasciò sfuggire o forse se lo fece sfuggire). E alla fine, tra mille processi, cavilli, legittimi impedimenti, prescrizioni, l’unica condanna l’ha avuta proprio per evasione fiscale. Però non era in grado di dare risposte adeguate ai problemi sociali e infatti l’Italia di oggi è soprattutto figlia delle sue politiche con i ricchi sempre più ricchi e i poveri più poveri. E il Pride ci ricorda quanto sia ancora necessario lottare in difesa dei diritti.
Berlusconi è stato un personaggio del nostro tempo che ha diviso l’Italia e non capiva perché l’altra metà non lo amasse. Però l’Italia che lo ha amato, oggi al governo, poteva risparmiarsi il lutto nazionale. Al netto di terremoti, alluvioni e stragi è stato proclamato solo per tre persone: Karol Wojtyla, Giovanni Leone e Carlo Azeglio Ciampi, un Papa diventato santo e due presidenti della Repubblica. Mai per un capo di partito o un semplice presidente del Consiglio. Con lui finisce la prima Repubblica .