Monday, January 25, 2021

Gli Uffici Iscrizione

3.12.5 L'ufficio iscrizione L'ufficio iscrizione rappresenta una ennesima novità, rispetto al sistema precedente che - a proposito di iscrizioni - distingueva due fasi: l'una volta alla compilazione della scheda, di competenza del cancelliere in forza presso l'Autorità giudiziaria che aveva emesso la sentenza; l'altra, successiva, di spettanza dell'ufficio locale del Casellario giudiziale, istituito presso ogni Procura della repubblica. Oggi le due fasi sono state riunite: con la redazione della scheda e l'iscrizione del contenuto della stessa nel sistema, ad opera di un unico centro di implementazione del data base, responsabile al contempo della completezza del dato e della iscrizione dello stesso nel sistema. E' così nata una nuova entità funzionale: l'ufficio iscrizione che, ai sensi della lettera m) dell'art. 2 del Testo unico, è "l'ufficio presso l'Autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento giudiziario soggetto ad iscrizione o a eliminazione, che ha competenze nella materia del presente testo unico". Tale ufficio ha il compito principale, ex art. 15, di iscrivere l'estratto dei provvedimenti nel sistema, accanto a quello di eliminare le iscrizioni nei casi previsti. Se un Decreto ministeriale del 10 Novembre 1999 aveva, infatti, già autorizzato gli 'uffici schede' degli organi giudicanti ad inserire, in via informatica, l'estratto del provvedimento da essi emesso direttamente sul sistema centrale (evitando di gravare gli oberati uffici del Casellario), è con la novella del 2002 che ci si pone sulla stessa lunghezza d'onda e si cerca di terminare quel processo che porterà alla completa abolizione delle schede cartacee. Così l'art. 46 della norma attuale di riferimento ha autorizzato gli uffici giudiziari, a seconda del livello delle loro potenzialità tecniche, ad inserire i dati nel sistema o tramite il supporto cartaceo o tramite quello informatico; sino alla completa operatività del sistema sull'intero territorio nazionale (di nuovo si veda il capitolo 4). In tal modo si cerca di arrivare non solo all'eliminazione delle schede cartacee ma anche dei fogli complementari (introdotti con le modifiche del 1931), adesso oggetto di autonoma registrazione nel sistema ad opera della Autorità giudiziaria. Il comma 3 dell'articolo in esame continua precisando che "L'iscrizione o l'eliminazione è effettuata quando il provvedimento giudiziario è definitivo; nel caso di iscrizione di provvedimenti non definitivi, quando il provvedimento è pubblicato nelle forme di legge". I commi successivi prescrivono le verifiche che debbono essere svolte da tale ufficio iscrizione (sulla presenza dei codici identificativi delle persone e del procedimento loro riferito): in caso di mancanza o incompletezza dei dati previsti l'ufficio fa segnalazione all'autorità competente alla integrazione; mentre la segnalazione vede come destinatario il Pubblico ministero, qualora si riscontri un contrasto tra il provvedimento da iscrivere e altri già presenti nel sistema. Come abbiamo già avuto occasione di osservare, il successivo art. 16 - qui riportato per continuità espositiva - dispone che: L'ufficio di cancelleria del Giudice dell'esecuzione comunica all'ufficio iscrizione l'avvenuta esecuzione della pena pecuniaria e di ogni altra pena ai fini della eliminazione delle iscrizioni collegate al decorso del tempo dall'esecuzione della pena. 3.12.6 Un possibile dubbio interpretativo La corretta individuazione dell'ufficio iscrizione, competente ad inserire nel sistema i dati relativi ad una sentenza penale definitiva, può creare qualche difficoltà che la lettera della norma sopra richiamata non riesce a chiarire. Ciò può accadere in quelle ipotesi in cui la sentenza diventi irrevocabile: o a seguito di una pronuncia di rigetto nel merito, o di inammissibilità del gravame. La domanda, alla quale si deve rispondere, riguarda quale sarà l'organo giudiziario competente ad inserire il provvedimento negli archivi del Casellario: il Giudice di primo grado, quello di appello o il supremo Giudice di cassazione? Esclusa la possibilità di ricorrere alle norme generali sulla competenza, ex art. 665 c.p.p, trattandosi di situazioni specifiche e differenti, certa dottrina (33) ha sostenuto la competenza del Giudice di primo grado. Questo dovrebbe essere competente ad iscrivere "tutti i provvedimenti in ordine ai quali l'interposto gravame (sia esso l'appello, sia il ricorso per cassazione) si sia risolto con una pronuncia di inammissibilità" (34). Quando, invece, sull'impugnazione sia intervenuta una pronuncia di merito, sia essa di accoglimento parziale o di rigetto, sembra più opportuno ritenere competente il giudice di secondo grado. In ipotesi di rigetto del ricorso o di annullamento parziale senza rinvio da parte della suprema Corte, sembra gravi su di essa l'onere di procedere all'iscrizione dell'estratto del provvedimento nel sistema, ma la cosa non è del tutto pacifica; mancando un riferimento analogo a quello che, sotto la vigenza del R.d. n. 778/1931, prevedeva espressamente tale casistica. Una soluzione che si ponga, comunque, su questa scia non può non mostrare il pregio di privilegiare l'ufficio che, per ultimo, si è espresso sul merito della questione. 3.13 Questioni concernenti le iscrizioni e i certificati L'art. 40 del Testo unico, titolato come questo paragrafo, prevede l'organo giudiziario competente a decidere, qualora sorgano questioni sulle iscrizioni o sulle certificazioni del Casellario giudiziale. Tale organo è individuato nel "Tribunale del luogo dove ha sede l'ufficio locale nel cui ambito territoriale è nata la persona cui è riferita l'iscrizione o il certificato", il quale decide in composizione monocratica e nelle forme di cui all'art. 666 c.p.p., cioè secondo le regole proprie del procedimento di esecuzione. Il rinvio a tali forme procedurali ha voluto sottolineare la necessaria partecipazione paritaria all'udienza in camera di consiglio, davanti al Giudice dell'esecuzione, sia del Pubblico ministero sia del difensore dell'interessato, rispecchiando l'esigenza di sistematicità dell'intera materia esecutiva. Opportunamente, precisa la norma che è competente il tribunale di Roma, per i casi di persone nate all'estero o delle quali non è accertato il territorio di nascita (in Italia). Per quanto riguarda i poteri del Giudice dell'esecuzione, allorquando statuisce sulla legittimità di una iscrizione, può risultare opportuno richiamare la sentenza n. 38033 del 18/06/2004 della I Sezione penale della Corte di cassazione. Questa, con esemplare linearità, ha precisato che il Giudice - quando riconosce l'illegittimità per violazione dell'art. 27 D.p.r. n. 313/2002 - non ha la facoltà di ordinare all'ufficio del Casellario giudiziale di cancellare l'iscrizione illegittima. Ciò in quanto il Giudice, ai sensi degli artt. 4 e 5 della Legge 20 Marzo 1865 n. 2248, allegato E, non può comminare un facere, ma limitarsi ad ordinare a chi ha ottenuto il certificato dichiarato illegittimo di non farne uso. In questo, la persona oggetto delle iscrizioni effettuate con violazione di legge sarebbe comunque tutelata, proprio grazie alla non utilizzabilità delle certificazioni ottenute. 3.14 L'art. 495 comma 3 c.p La norma in questione si occupa, incidenter tantum, del Casellario, prevedendo la reclusione fino a tre anni per "chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l'identità o lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona". Il comma 3 aggiunge che la pena non può essere inferiore ad un anno per l'imputato che, per le suddette false dichiarazioni, abbia causato che "nel Casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto un falso nome". Il tribunale di Perugia sollevò, con ordinanza del 17 Dicembre 1976, questione di legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui prevedeva che tra le qualità da dichiarare all'Autorità giudiziaria fossero comprese quelle sui precedenti penali, utilizzabili a suo discapito sotto il profilo della determinazione della pena (recidiva). La Corte costituzionale, con sentenza 6 Maggio 1976 n. 108 (35), ritenne non fondata le questione, ritenendo che l'imputato avrebbe potuto rifiutarsi di fornire le notizie richieste; anche perché nessun rilievo si darebbe, sotto il profilo della fattispecie del reato in analisi, al silenzio o alle reticenza (Manzini, Pagliaro, Cristiani). Giurisprudenza (36) sostiene altresì che il reato non venga meno neppure se manca, in concreto, la possibilità per il pubblico ufficiale o per l'Autorità di essere ingannata, risultando i precedenti penali già in atti. Personalmente riteniamo una simile posizione, seppur corretta sotto il profilo strettamente ermeneutico (poiché, per il perfezionamento del reato è sufficiente rendere la dichiarazione mendace), viziata da una certa qual forzatura di fondo, nella misura in cui sembra non tener conto delle acquisizioni d'ufficio delle risultanze del Casellario giudiziale, specialmente laddove previste come obbligatorie da disposizioni di legge (ad esempio artt. 431 e 236 c.p.p.). Addirittura, però, secondo il Manzini (37), si avrebbe mendacio sui procedimenti penali anche a seguito di riabilitazione dell'imputato, in quanto questa non potrebbe incidere sul fatto storico della condanna pregressa, foriera di dati effetti sfavorevoli. Il richiamo alla norma ed ai precedenti, per evidenziare nuovamente l'importanza riconosciuta dal nostro ordinamento al Casellario ed alle notizie ivi iscritte, dalle quali derivano spesso conseguenze, anche inaspettate, per chi viene imputato o condannato. 3.15 Il beneficio della non menzione Art. 175 c.p. Se, con una prima condanna, è inflitta una pena detentiva non superiore a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore ai cinquecentosedici Euro, il Giudice, avuto riguardo alle circostanze indicate dall'art. 133, può ordinare in sentenza che non sia fatta menzione della condanna nel certificato del Casellario giudiziale, spedito a richiesta di privati, non per ragione di diritto elettorale. La non menzione della condanna può essere altresì concessa quando è inflitta congiuntamente una pena detentiva non superiore a due anni ed una pena pecuniaria che, ragguagliata a norma dell'art. 135 e cumulata alla pena detentiva, priverebbe complessivamente il condannato della libertà personale per un tempo non superiore a trenta mesi. Se il condannato commette successivamente un delitto, l'ordine di non fare menzione della condanna precedente è revocato. In origine il testo prevedeva che il beneficio (spesso, ma non necessariamente (38), concesso assieme alla sospensione condizionale della pena, in quelli che vengono chiamati 'doppi benefici') non fosse concesso se erano state comminate sanzioni accessorie alla condanna. La legge 7 Febbraio 1990 n. 19 ha, per ragioni di equità (39), eliminato tale divieto. In ogni caso, il condannato - non recidivo, come appare dall'inciso "prima condanna" - in possesso dei requisiti previsti dalla legge non ha alcun diritto soggettivo alla non menzione, essendo questa rimessa all'arbitrium judicis, seppure regolatum dall'obbligo di motivazione (40), in riferimento all'art. 133 c.p. La norma in analisi prevede, dunque, una causa estintiva degli effetti penali della condanna, che fa apparire la dicitura 'nulla' sul certificato penale (non, come correttamente osservato dal Dolce (41) e dal Bellavista (42), una causa estintiva della pena). Ovviamente ciò non comporta che nel data base del Casellario non vengano registrati gli estremi della condanna, ma solo il fatto che essa non appaia sulle certificazioni richiedibili dai privati. Il che, a sua volta, vuol dire che comunque la condanna apparirà in quei certificati richiesti, per esempio, da Pubbliche amministrazioni o acquisiti dall'Autorità giudiziaria per ragioni di giustizia. La qual cosae, a ben vedere, potrebbe scontrarsi, seppure parzialmente, con la funzione ultima della non menzione, assimilata dall'Antolisei alla riabilitazione in quanto "mira a favorire il ravvedimento e la risocializzazione del condannato" (43). E' opportuno soffermarsi anche sull'ultimo comma dell'art. 175, che prevede la revoca del beneficium in qualsiasi tempo, col compimento di un nuovo reato; avendosi in tal modo, in effetti, nulla più di una 'sospensione' di un effetto della condanna, costituito dalla "buona fama che il condannato gode presso i privati". (44) In ciò la disciplina si differenzia dall'istituto della sospensione condizionale della pena, sovente accomunato alla non menzione, in quanto la prima prevede il decorso di un dato periodo di tempo (due anni per le contravvenzioni e cinque per i delitti), trascorso il quale cessa la sospensione della condanna, a favore della estinzione del reato. A nostro avviso la disciplina della non menzione, per come oggi articolata, non risponde alle esigenze di tutela, del condannato a pene non gravi, dal pregiudizio che potrebbe ricevere dalla diffusione della notizia del suo 'precedente'. Per essere funzionale al suo scopo, dovrebbe essere previsto un tempo, trascorso il quale la condanna non possa 'miracolosamente riapparire', e dovrebbe riguardare tutte le certificazioni e le visure estraibili dal Casellario da chicchessia (con eccezione per l'Autorità giudiziaria, se proprio vogliamo). Nello stesso senso, il Dolcini che osservò il carattere di "pena perpetua della menzione della condanna nel Casellario, alla stessa stregua dell'ergastolo" (45), data la possibilità - ex u.c. dell'art. 175 c.p. - che essa riviva, a seguito della revoca del beneficio.

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