Monday, January 29, 2024
In pensione a 62 anni, ma solo con il contributivo
In pensione a 62 anni, ma solo con il contributivo: il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, ridisegna il sistema pensionistico e il welfare italiano.
In pensione a 62 anni, ma solo con il contributivo. Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ribadisce la sua proposta per la riforma delle pensioni in Italia.
In una intervista rilasciata a La Stampa, il responsabile dell’Istituto indica al governo una strada possibile per rendere le pensioni inclusive, flessibili, più adatte a un welfare moderno e che non può essere pensato con gli stessi criteri del ‘900.
In pensione con 15 anni di contributi, ecco come
Il presidente dell’Inps non si è detto stupito dal mancato inserimento delle pensioni nel Recovery. E spende poche parole sulla fine di Quota 100.
Quota 100 si autodistrugge, nulla da aggiungere
«Quota 100 ha un pilota automatico che si autodistrugge. È una riforma sperimentale, durava tre anni e finisce il 31 dicembre, non c’è nulla da aggiungere».
Tridico non è preoccupato dallo scalone che la fine di Quota 100 comporta, cioè quando dal 2022 l’uscita verrà spostata da 62 a 67 anni.
Lo scalone? Ci sono uscite alternative
«Non è corretto – ha dichiarato – portare sempre il discorso sullo scalone. Dopo Quota 100 non c’è la fine del mondo, ci sono diverse misure di flessibilità da ampliare: l’Ape sociale, i precoci, gli usuranti».
In pensione a 62 anni, ecco come
Poi articola la sua proposta. Lo sta facendo da qualche giorno. Sul punto ha idee chiare.
«Si può andare in pensione a 62 anni solo con la quota che si è maturata dal punto di vista contributivo. Il lavoratore uscirebbe dunque con l’assegno calcolato con il contributivo e aspetterebbe i 67 anni per ottenere l’altra quota, che è quella retributiva».
L’assegno diviso in due quote: in questo modo si garantisce la flessibilità in uscita senza incidere tanto sull’equilibrio dei conti pubblici.
Garantire più tutele
L’altro aspetto sul quale punta il presidente dell’Insp sono le tutele.
«È necessario tutelare i fragili, come gli oncologici e gli immunodepressi, che nella fase post Covid devono poter andare in pensione prima».
Il confronto con i sindacati
La proposta Tridico ha molti punti in comune con quella che è stata avanzata dai sindacati. Diverge in un punto, la divisione in due quote, Per Cgil, Cisl e Uil gli assegni potrebbero essere troppo bassi.
«Penso che con i sindacati si possa trovare una convergenza. Se pagassimo subito tutta la pensione a 62 anni, indipendentemente dai contributi, verrebbe meno la sostenibilità finanziaria. La mia è una proposta aperta ad altri innesti».
Staffetta generazionale e part time
E infatti il presidente dell’Inps conferma che «il ministro Orlando sta valutando altre soluzioni, come la staffetta generazionale o le uscite parziali con il part-time. Ma non possiamo tornare indietro rispetto al modello contributivo».
Legge Dini e Fornero
«Il sistema previdenziale italiano – aggiunge Tridico – è stato scolpito da due grandi riforme: la Dini del ’95 e la Fornero nel 2011. È quello il nostro impianto ed è proprio qui dentro che dobbiamo incrementare i livelli di flessibilità, tenendo presente che abbiamo bisogno di equità e sostenibilità».
Ma non solo. L’Italia è cambiata profondamente negli ultimi anni, e cambierà ancora nei prossimi, forse a un ritmo anche più sostenuto. Il che significa ridiscutere anche l’impianto del welfare italiano. Non solo, dunque, la pensione a 62 anni.
«È tempo di ridisegnare il welfare italiano – continua nell’intervista a La Stampa -. I principi del welfare novecentesco sono da ridiscutere e noi siamo già avanti perché abbiamo iniziato a farlo affrontando la pandemia».
Welfare inclusivo e universale
«Il sistema di welfare del futuro deve essere più inclusivo e universale. Ai lavoratori occorre garantire una formazione continua, conoscenze e competenze per rimanere sempre agganciati al mercato».
Quota mamma: pensione anticipata per le donne
«Il mondo – continua il presidente dell’Inps – sta ripensando un ruolo dello Stato diverso, più incisivo nella sanità e nel sostegno a famiglie e imprese. Perché ogni crisi rappresenta una rottura rispetto al passato». E dunque non solo pensione a 62 anni.
Il caso dei rider
Uno degli esempi riguarda i rider, che sono un po’ l’emblema del lavoro precario, sottopagato e senza tutele di questi anni.
«È un tema che mi appassiona – dichiara -, stiamo lavorando con il ministro Orlando per dare diritti a questi lavoratori che in molti casi lavorano a cottimo e questo non dovrebbe essere permesso».
«Sono persone – aggiunge – che corrono per strada per fare più consegne possibili, rischiando infortuni gravi. Sono spesso considerati autonomi, ma nella realtà sono etero-organizzati e andrebbero protetti in quanto tali».
«In assenza di un contratto, la legge 128 del 2019 ha fatto passi avanti e prevede per queste figure tutele simili ai lavoratori dipendenti. Però nella realtà vediamo che troppo spesso i rider rimangono senza contributi pagati né assicurazione Inail, perché tenuti sotto la soglia della prestazione occasionale o a partita Iva. Il ministro Orlando ha un progetto per estendere davvero i diritti e all’Inps lo stiamo supportando».
Troppe morti sul lavoro
L’ultimo passaggio Pasquale Tridico lo riserva alle morti bianche, le vittime del lavoro.
«La riforma degli ispettori del 2015 necessita di una revisione perché non ha prodotto buoni risultati né sulla vigilanza degli infortuni né sulla lotta all’evasione. Il testo unico sulla sicurezza del 2008 di Cesare Damiano è una buona legge, ma 13 anni dopo c’è l’esigenza di intervenire sulla prevenzione e stabilire maggiori controlli».
L’Italia post pandemia
E quindi, per Tridico, il futuro molto prossimo prevede di andare in pensione a 62 anni, con una quota contributiva, maggiori tutele a determinate categorie, un welfare universale e inclusivo, più sostegno dello Stato a famiglie, imprese e sanità.
Un modello che sta nascendo in questi mesi, e che in larga parte sta trovando concordi, seppur con qualche distinguo, le diverse parti che stanno progettando il nuovo sistema pensionistico e di welfare italiano nel segno della post pandemia.
Sunday, January 28, 2024
Saturday, January 27, 2024
ex Giudice Penale di Piacenza
La commissione incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura giovedì ha designato all'unanimità il giudice Pio Massa come nuovo presidente del tribunale di Parma. Il magistrato è presidente della sezione penale del tribunale di Cremona dal 2011.
Tra qualche settimana il plenum del Csm dovrebbe ratificare la sua nomina per il nuovo incarico di grande prestigio a Parma, vacante dalla fine dello scorso anno quando il giudice Roberto Piscopo è andato in pensione.
Pio Massa, 62enne originario di Foggia e piacentino d'adozione, prima dell'incarico direttivo a Cremona è stato per molti anni giudice per le indagini preliminari a Piacenza.
"Sono onorato della designazione della Commissione incarichi direttivi del Csm - dichiara il giudice Pio Massa, contattato da Repubblica Parma - se il Plenum confermerà la nomina mi impegnerò al massimo per rispondere alle aspettative di utenti e avvocati nell'amministrazione della giustizia. Cercherò per quanto possibile di organizzare l'ufficio in modo da ottenere il massimo dei risultati: so che ci sono carenze a livello nazionale negli organici amministrativi ed è possibile che Parma debba ancora scontare alcuni ritardi dovuti ai procedimenti Parmalat. Spero che il personale possa arrivare anche dalla mobilità degli enti locali. Mi aspetto buoni rapporti con il Comune e con tutta la comunità territoriale, di cui il Tribunale è una ricchezza. Sono contento di tornare nella mia Regione: Parma è una città bellissima, farò il pendolare da Piacenza".
Si torna a parlare del problema dell’accorpamento del tribunale di Crema a quello di Cremona. E’ arrivato il no del consiglio giudiziario alla richiesta di proroga, così come previsto dalla legge, inoltrata dal presidente ad interim del tribunale di Cremona Pio Massa, secondo il quale non ci sono spazi sufficienti per accorpare subito i due tribunali.
Quello del consiglio giudiziario è un parere comunque non vincolante. Lo ha ribadito lo stesso Massa, che ha tenuto a precisare: “si tratta di un parere richiesto insieme a tanti altri, come il Consiglio dell’Ordine, i sindaci dei comuni interessati, i tribunali, finalizzato a poter attivare o meno la possibilità di prolungare fino a cinque anni l’utilizzo del tribunale da sopprimere in presenza di specifiche ragioni funzionali”.
In tutto questo tempo il presidente Massa ha acquisito pareri e contatti con gli enti locali per cercare soluzioni affinchè “la fusione venga fatta nel modo più tranquillizzante”. “Non si tratta”, ha chiarito “di aspettare cinque anni sperando che la legge cambi, ma di garantire al meglio l’efficienza della giustizia proprio con l’accorpamento. Oggi, però, tutto questo è impossibile per problemi di spazio e di logistica”.
Il presidente Massa ha poi spiegato di aver mantenuto contatti con gli enti territoriali e con il demanio per cercare ulteriori spazi. “Ma per settembre”, ha detto, “non saremo in grado di averli”.
“Abbiamo un tribunale bello, ristrutturato, calibrato”, ha continuato il presidente, “ma solo per le dimensioni di Cremona, non pensato per le oltre 50 persone che tra procura e tribunale arriveranno da Crema.
Quella di Massa è un’analisi “realistica” della situazione attuale e una “valutazione prudenziale”. “Se tutto resta così non ci stiamo, in questo modo ci si prepara ad offrire un disservizio”. “Dove mettiamo il personale, i magistrati e la mole di fascicoli che arriveranno da Crema?”, si è chiesto il presidente.
Lo scorso aprile a Cremona c’era stata la visita della presidente della corte d’appello Graziana Campanato. “Anche la stessa presidente”, ha ricordato Massa, “ha puntato molto sui contatti con il Comune per avere spazi dove spostare giudice di pace e uffici giudiziari”.
E poi c’è il problema, “non secondario”, dei costi. “La legge non ha previsto il piano dei fondi pubblici a favore dell’ente territoriale che gestisce il tribunale che accorpa. “In questo caso”, ha aggiunto il presidente Massa, “sarebbe utile valorizzare gli uffici dell’ex carcere di via Jacini, palazzo di proprietà demaniale. E’ in corso un progetto per farlo passare da demanio statale a comunale: in questo modo si potrebbero risparmiare i 100.000 euro di affitto che il Comune paga, denaro che in questo modo potrebbe essere utilizzato per le esigenze di ampliamento”.
“Sono in corso contatti”, ha spiegato Massa, anche con il demanio per vedere quali potrebbero essere gli immobili da destinare agli uffici del giudice di pace e a quelli giudiziari”.
“In totale”, ha detto il presidente del tribunale, “occorrerebbero 700/800 metri quadrati di spazi per poter lavorare in modo adeguato”.
Il tribunale di Crema (3/4000 metri quadrati di uffici) è in linea con quello di Cremona. “Chi ha operato sul posto ed ha valutato le disponibilità degli spazi di Cremona e Crema è arrivato alle mie stesse conclusioni, e parlo del presidente del tribunale di Crema e del procuratore di Cremona”.
Massa ha ribadito ancora una volta: “non ci servono cinque anni di proroga per non far niente, ma per fare un lavoro ordinato. Se no ci saranno moltissimi problemi e la situazione sarà ingestibile. Oggi le cancellerie sono stracolme di fascicoli. Abbiamo uffici che ospitano 11/12 giudici e che invece, con l’accorpamento, dovranno ospitarne 20”.
Ora, dopo il no alla proroga da parte del consiglio giudiziario, la decisione passa alle competenti sedi ministeriali.
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