Saturday, December 2, 2023
Friday, December 1, 2023
Camini Aperti
Il divieto per i camini aperti
Sono molte le località italiane in cui è vietato utilizzare i camini aperti, con lo scopo di favorire la lotta all’inquinamento dell’aria, purtroppo aggravato dall’uso di queste soluzioni per il riscaldamento.
Camino a legna aperto tradizionale
Un divieto che non è esteso a priori all’intero Paese, ma che riguarda tutti i Comuni situati ad un altitudine inferiore ai 300 metri, nelle regioni Lombardia ed Emilia Romagna.
Ulteriori restrizioni ci sono anche in altre regioni, come il Piemonte e il Veneto. Il parametro è stato scelto in relazione al clima che contraddistingue le località più fredde, dove il camino contribuisce molto al riscaldamento degli edifici.
I provvedimenti sopra accennati, sono ormai in vigore da alcuni anni, ma non sempre vengono rispettati.
Che cosa si intende per camino aperto
Per camino aperto si intende un focolare a fiamma libera, quindi senza un vetro. Si tratta di una tipologia di camino spesso tradizionale, ma non solo, in quanto negli scorsi anni sono stati installati ancora dispositivi, anche moderni, fatti in questo modo.
In realtà, questa tipologia di camini, soprattutto di nuova installazione, nasce più come componente d’arredo che come soluzione per il riscaldamento della casa, tanto che anche la sua efficienza non è adeguata ai livelli richiesti ora per le abitazioni.
Però, ciò che davvero non li rende adatti ad essere accesi con elevata frequenza, è proprio il loro contributo all’inquinamento atmosferico, in quanto sono fonte di polveri sottili e altri inquinanti. Utilizzare un camino di questa tipologia, quindi, vanifica il vantaggio di ricorrere ad una fonte rinnovabile e naturale come la legna, generalmente considerata a impatto zero in quanto, durante il suo ciclo di vita, un albero assorbe una quantità di emissioni almeno pari a quanta ne produce durante la combustione.
Perché installare un caminetto chiuso a norma
Un caminetto chiuso, invece, prevede la presenza di un vetro temprato che isola il focolare dall’ambiente, aumentano l’efficienza della combustione e il calore prodotto e riducendo le emissioni di sostanze inquinanti.
Perché installare un caminetto chiuso a norma
Un’ulteriore evoluzione avvenuta, poi, è quella che prevede la sostituzione della legna con il pellet, con la possibilità di programmare e regolare il camino in modo ancor più puntuale. In ogni caso, al di là del modello installato, un camino chiuso moderno riscalda la casa in modo più efficiente, è più sicuro per le persone che la abitano ed è decisamente meno inquinante.
Per misurare al meglio le prestazioni di questi nuovi camini, si utilizza una classificazione a stelle: più stelle si raggiungono (il massimo è 5), più le performance ambientali sono buone.
Un camino aperto può essere riqualificato e messo a norma?
La Legge non prevede tanto il divieto di uso del camino, ma piuttosto che lo si usi per il riscaldamento solo nel caso in cui rispetti la normativa. Anche un camino aperto, quindi, può essere riqualificato e trasformato in un camino chiuso efficiente, eventualmente in grado anche di scaldare tutti gli ambienti domestici, tramite apposito sistema di canalizzazione. In ogni caso, il risultato ottenuto deve essere coerente con le prestazioni richieste.
Un camino aperto può essere riqualificato e messo a norma?
Ad esempio, in Lombardia si possono installare sistemi a biomassa a 4 o 5 stelle e non si possono accendere sistemi che abbiano meno di 3 stelle. Alcuni divieti più stringenti, poi, possono essere imposti in periodi specifici dell’anno. Inoltre, è necessario rispettare la normativa in materia di manutenzione, anche per gli impianti di riscaldamento a legna. Sono previsti controlli periodici della canna fumaria, che in Lombardia diventano annuali da questo inverno.
Inoltre, l’intero impianto deve essere sottoposto a manutenzione, con una frequenza che varia a seconda della potenza del camino. Il consiglio, è quello di affidarsi sempre a manutentori professionali, in Regione Lombardia registrati nel CURIT, che rilasciano anche il Rapporto di Controllo regionale.
All’utente, chiaramente, è demandata la pulizia quotidiana del camino, necessaria per assicurarne le massime prestazioni.
Thursday, November 30, 2023
Le STP, vale a dire le società costituite tra professionisti, possono costituire un’opportunità per lo svolgimento dell’attività professionale potendo fruire delle sinergie dei suoi partecipanti. E’ bene però comprende a fondo anche quali sono i vincoli e i limiti per non incorrere in qualche falsa aspettativa.
Il legislatore nel prevedere questa innovativa tipologia di soggetto societario ne ha fornito solo le regole civilistiche, rinviando in modo più o meno puntuale alle tipologie societarie prevista dal codice civile. Non ha però fornito la disciplina fiscale talché sul punto l’Agenzia delle entrate è stata costretta ad esprimersi in via interpretativa.
Gli elementi delle STP
Le STP si collocano nel contesto della abrogazione oramai datata del divieto di esercizio in forma societaria delle attività di assistenza e consulenza in materia tecnica, legale commerciale, amministrativa, contabile o tributaria, di cui all’art. 2 della legge 1815/1939.
Va tenuto conto che al momento, in ambito professionale, coesistono tre diverse tipologie societarie che non sono tuttavia esattamente sovrapponibili:
“Società tra professionisti” (STP) – art. 10, comma da 3 a 11, della legge n. 183 del 2011;
“Società tra avvocati” – art. 4 bis della legge n. 247 del 2012;
“Società tra avvocati” – (STA) – art. 16 e ss del D.lgs. n. 96 del 2011.
In questo contributo ci occupiamo solo delle STP – società tra professionisti.
La STP nella normativa codicistica
La legge 12 novembre 2011, n. 183, con l’articolo 10, commi da 3 a 11, ha introdotto nel nostro ordinamento la società tra professionisti (STP) la quale può operare nel settore di una o più attività professionale laddove sia previsto l’obbligo di iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico. Il DM Giustizia n. 34/2013 dell’8 febbraio 2013 ha definito i contorni attuativi.
Secondo il Notariato del Triveneto, l’oggetto sociale delle STP deve essere limitato esclusivamente all’attività professionale (o alle attività professionali in caso di STP costituita per l’esercizio di più attività professionali) in funzione all’esercizio della quale (o delle quali) sono costituite.
Al riguardo si ritiene che nella STP debba essere presente nella compagine sociale almeno un socio professionista, legalmente abilitato, per ogni attività professionale dedotta nell’oggetto sociale.
In definitiva la STP può essere costituita rivestendo la forma di qualsivoglia soggetto societario conosciuto dal codice civile e dunque:
società semplice;
società in nome collettivo;
società in accomandita semplice;
società a responsabilità limitata
società a responsabilità limitata semplificata (soci solo persone fisiche);
società per azioni
società in accomandita per azioni;
società cooperative (il numero dei soci non può essere inferiore a 3).
Circa la possibilità che la società rivesta la forma di società a socio unico si registrano posizioni non concordi tra Consiglio Nazionale DDCC (contrari) e il Notariato del Triveneto (favorevoli, ovviamente nelle sole società di capitali).
La ragione/denominazione sociale della STP deve contenere l’indicazione di “società tra professionisti” o la sigla (STP) e nell’ipotesi di società di persone anche indicare il nome dei soci responsabili che non necessariamente devono essere professionisti; va poi aggiunto il suffisso in relazione alla tipologia scelta (Spa, Srl, Snc, etc.).
L’art. 7, comma 1 del citato D.M. n. 34/2013, stabilisce che la STP vada iscritta nella apposita Sezione Speciale del registro delle imprese (articolo 16, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96). Al riguardo il Notariato del Triveneto (Orientamenti societari 9/2013 – Q.A.4) ritiene che la società veda comunque anche iscritta nel Registro delle Imprese ordinario.
Inoltre, la società multidisciplinare deve essere iscritta presso l’albo o il registro dell’ordine o del collegio professionale relativo alla attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo.
I soci possono anche non essere professionisti
I soci della STP possono essere:
professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, nonché cittadini UE in possesso del titolo di studio abilitante;
non professionisti. I soci non professionisti a loro volta si distinguono in due categorie:
coloro che svolgono prestazioni tecniche (strumentali, accessorie o di supporto organizzativo, quali ad esempio, softweristi, segretarie, amministrativi);
coloro che apportano solo capitale per finalità di investimento ma non svolgono attività nell’ambito societario (sono ammessi anche soggetti societari).
I soci professionisti devono avere i 2/3 dei voti, ma non necessariamente i 2/3 del capitale sociale, dal che deriva che i soci non professionisti possono detenere più di 1/3 del capitale sociale sempre che le quote eccedenti 1/3 non consentano l’esercizio del diritto di voto (Consiglio Notarile del Triveneto Orientamenti societari 9/2013 – Q.A.).
La disposizione in commento consente di fatto alcune situazioni composite posto che:
è possibile che un socio professionista intervenga in qualità di mero socio investitore senza per questo essere coinvolto dell’attività professionale delle società;
alla società possono partecipare professionisti e anche oggetti che svolgono prestazioni tecniche e ausiliare senza che vi siano soci meri investitori.
Si può anche configurare l’ipotesi in cui il socio professionista investitore possegga la maggioranza dei diritti di voto e che quindi sia in grado di nominare l’organo amministrativo, nonostante non svolga poi alcuna attività professionale nell’ambito della STP.
Quel che risulta chiara dalla norma è che la partecipazione ad una STP risulta incompatibile con la partecipazione ad altra STP, tanto per il socio professionista quanto per il socio per finalità d’investimento o per prestazioni tecniche.
L’assunzione dell’incarico e l’amministrazione della STP
Il Notariato del Triveneto rileva l’assenza di limiti legali circa la composizione dell’organo amministrativo talché il medesimo può essere composto da chiunque è può pertanto essere formato, anche per intero, da non professionisti ovvero da persone giuridiche.
Ciò detto, l’articolo 4 del predetto decreto attuativo stabilisce che all’atto del primo contatto con il cliente, la società deve informarlo:
sul suo diritto di ottenere la prestazione da uno specifico professionista (o più) facente parte della società;
sulla possibilità (è evidente in alternativa a quanto precede) che l’incarico sia svolto da uno qualunque dei soci che possiedono i requisiti per l’esercizio dell’attività professionale;
sulla esistenza di conflitti di interesse tra cliente e società derivanti dalla presenza di soci con finalità di investimento (s’immagini il socio finanziatore, che può anche essere una società, il quale svolge una attività d’impresa in concorrenza con il cliente).
STP e fisco
L’agenzia delle entrate in risposta a interpello 954-55/2017 ha chiarito che il reddito della STP, posto che è prodotto da una società, è da considerarsi reddito d’impresa. D’altronde va detto che una interpretazione difforme avrebbe determinato difficoltà di gestione fiscale pressoché insormontabili in assenza di una norma specifica riservata alla nuova tipologia societaria.
L’interpretazione è poggiata sull’art. 6, comma 3, Tuir, letto in abbinamento con gli artt. 81, comma 1, e 73, comma 1, lettere a) e b), i quali prevedono che il reddito prodotto dalle S.n.c., S.a.s., Società di capitali e cooperative è considerato reddito di impresa “da qualsiasi fonte provenga”. Ovviamente resta esclusa la collaudata società semplice laddove il reddito resta di lavoro autonomo.
La logica conseguenza di tale interpretazione è che ad eccezione della società semplice, le fatture emesse dalla STP non devono evidenziare la ritenuta d’acconto, poiché la prestazione si pone al di fuori dell’articolo 25 del D.P.R. n. 600/1973. La qualificazione come reddito d’impresa rileva coerentemente anche ai fini Irap.
La migrazione da associazione tra professionisti a STP
I professionisti che già esercitano l’attività in forma individuale o in uno studio associato possono transitare alla forma di STP mediante:
la “trasformazione” dello studio associato in “società tra professionisti”;
il “conferimento” dell’attività svolta in forma individuale o associato in “società tra professionisti” o “società tra avvocati”.
La possibilità di conferimento dello studio professionale in una società di persone o di capitali è stata ratificata dall’Agenzia delle entrate di due diverse occasioni. Sul punto con la circolare n. 8/2009 e la risoluzione n. 177/2009, a breve distanza di tempo tra loro, hanno chiarito preliminarmente che la cessione dello studio professionale comporta l’emersione di un reddito di lavoro autonomo disciplinato dall’ articolo 54 comma 1 – quater del Tuir il quale stabilisce che “concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”. Ebbene, considerato che il conferimento, in base all’articolo 9 del Tuir è operazione assimilata alla cessione, il timore è che l’operazione divenisse “plusvalente”: invece, l’agenzia delle entrate ha chiarito che ricorrendo specifici presupposti il conferimento di cui trattasi è neutrale dal punto di vista reddituale. Le condizioni sono che:
1) al momento del conferimento dello studio nella STP non sia prevista alcuna remunerazione al professionista conferente, al di là del fatto che ovviamente il conferente ottenga la partecipazione nella costituenda STP in contropartita del conferimento.
2) in caso di recesso del socio che a suo tempo ha conferito lo studio professionale sia previsto statutariamente che al medesimo non competa alcuna somma a titolo di remunerazione della sua fuoriuscita dall’ente collettivo.
Wednesday, November 29, 2023
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