Monday, April 14, 2025

L'esame di Stato e le Lauree Abilitanti

COSA PREVEDE IL DISEGNO DI LEGGE, IN SINTESI? Per alcune professioni, l’Esame di Stato sarà svolto con l’Esame di laurea. Ci sarà un vero e proprio doppio esame, e la parte abilitante sarà gestita da professionisti indicati dall’Ordine. Di conseguenza il tirocinio sarà spostato all’interno del corso di studi. Il DDL prevede un tirocinio di 30 CFU, pari a circa 750 ore. Per gli psicologi attualmente è di 1000 ore, quindi ci sarà una riduzione di circa 250 ore. Non ci sarà quindi alcuna abolizione dell’Esame di Stato – previsto dall’articolo 33 della Costituzione – né del tirocinio. Tutto sarà semplicemente anticipato. I VANTAGGI DELLA PROPOSTA Il primo vantaggio è l’accorciamento del percorso abilitativo. Oggi dalla laurea all’albo passa almeno un anno e mezzo, in alcuni casi due. Di cui solo un anno effettivamente impiegato in attività formativa. Il resto sono tempi morti dettati da questioni puramente burocratiche. È una situazione anacronistica. Anche la modifica del tirocinio potrebbe essere un vantaggio. L’organizzazione dei tirocini potrebbe diventare più flessibile, anche con possibilità di frazionare i 30 CFU in esperienze più brevi e variegate rispetto a oggi. L’attuale sistema a due blocchi semestrali da 500 ore ciascuno rende molto rigida l’esperienza di tirocinio, è difficile cambiare sede in corsa quando l’esperienza non è formativa, e non sempre le 20 ore settimanali sono sfruttate al meglio. Il tempo di attesa fra conclusione del tirocinio ed Esame di Stato rimanda ulteriormente l’avvio alla professione. Tutto questo può esitare in una dilatazione forzata dei tempi, fino ad un vero e proprio periodo di sospensione esistenziale e lavorativa. Un limbo che non fa bene a nessuno.

Sunday, April 6, 2025

LECTIO PAOLO PORTOGHESI

Cesare Stevan a cura di Fabrizio Schiaffonati

Il 13 maggio 2024 è mancato Cesare Stevan 87 anni, dopo una lunga battaglia una notizia che ha suscitato un’ondata di emozioni. Al Politecnico di Milano, ma anche in città per la sua presenza politica e culturale in un arco temporale di sessant’anni. In questo momento molte voci lo hanno ricordato e non mancheranno certo altre occasioni per ritornare a ragionare sul ruolo da lui avuto e sul suo lascito, in particolare in ambito accademico dove sono reperibili le informazioni e le testimonianze per ricostruire e approfondire complesse vicende della formazione universitaria. Un lavoro che, con l’oggettività storica, sarà di grande utilità per ricostruire passaggi importanti per la città, tanto più utile oggi nel clima di inquietante incertezza per l’urbanistica e l’architettura milanese. Una figura così longeva con una presenza continuativa, ci permette di ripercorrere molti degli indirizzi nel governo del territorio, di diverse e anche controverse stagioni. Questo breve ricordo vuole collocarsi nella direzione di un confronto tanto più necessario oggi a Milano, dove si impongono scelte per ritrovare una linea riformista. Alcuni spunti quindi che nascono dalla nostra amicizia, da una parallela vicenda accademica, da un intreccio di ruoli e responsabilità nel Politecnico e non solo. Mi par utile richiamarne alcuni principali passaggi. Nei primi anni Sessanta, col sindaco Gino Cassinis non a caso già rettore del Politecnico, si anticipa la stagione politica del Centrosinistra e si dà luogo a scelte urbanistiche ed edilizie di fondamentale importanza: la realizzazione di grandi quartieri di edilizia economica e popolare col piano decennale Gescal, la realizzazione di decine di edifici scolastici per l’attuazione della riforma della scuola dell’obbligo, la istituzione del Consorzio del Piano Intercomunale Milanese per il coordinamento urbanistico e la programmazione dei servizi di 92 comuni dell’hinterland. In questo contesto la Facoltà di Architettura opera un repentino cambiamento sulla spinta della prima occupazione studentesca con la contestazione dei docenti dell’ “ancien regime” della precedente gestione di Piero Portaluppi. Da Venezia si trasferiscono Lodovico Belgiojoso e Franco Albini che con Ernesto Natan Rogers diventano un fondamentale punto di riferimento. Una politica dell’ascolto delle istanze studentesche, con una apertura ai temi del progetto dei servizi e dell’abitazione, con una primaria attenzione all’urbanistica. Un clima che apre la Facoltà agli ambienti politici e intellettuali della città, culminato con la cerimonia nel 1964 della laurea ad honorem a Alvar Aalto, Louis Kahn, Kenzo Tange, in occasione del centenario del Politecnico di Milano. L’anno prima era stata formata la Commissione Paritetica, con sette studenti eletti e i sette professori ordinari del Consiglio di Facoltà. Con Stevan ci incontravamo con loro per la discussione degli indirizzi didattici, non in modo formale ma con una dialettica, dove la nostra esuberanza giovanile trovava ascolto e accoglimento per un profondo rinnovamento dei contenuti e dei metodi d’insegnamento. Un vero laboratorio con la scuola aperta alla città, un approccio interdisciplinare e il coinvolgimento di tante figure. Il carisma di Rogers, con la rivista Casabella, era certamente da catalizzatore. Colpiva già in Stevan l’equilibrio e l’attenzione per gli aspetti istituzionali, la capacità di ascolto e anche di mediazione rispetto a nostri velleitarismi. Un equilibrio destinato a infrangersi con l’ondata del Sessantotto, che travalicava confini ed esondava da ogni parte, mettendo in discussione certezze e assetti. I fermenti dei primi anni Sessata in cui ogni agitazione era ricomposta da ragionamenti e da aperti confronti, avevano consentito l’arrivo a Milano anche di Paolo Portoghesi, certamente per volontà di Rogers e Belgiojoso. Scelta tutt’altro che facile nel settore della Storia dell’Architettura, tra i più arroccati. Le vicende successive della sospensione nel 1973 dei membri del Consiglio di Facoltà, e a cascata di un gruppo di docenti da loro incaricati, sono note. Un clima difficile, con quello che ne sarebbe conseguito. Con Stevan ci impegnammo nel contrasto al Comitato Tecnico che era subentrato al Consiglio di Facoltà, con il ricorso al Consiglio di Stato contro la nostra sospensione e la legittimità dei provvedimenti ministeriali. Seguivamo passo passo l’azione legale intrapresa, aprimmo diverse interlocuzioni con esponenti politici comunali e regionali, e ci recammo a Roma in occasione dell’udienza in Consiglio di Stato. Il fronte dei docenti sospesi nella difesa di era diviso, da un lato quelli d’area comunista e dall’altro socialisti ed “extraparlamentari”; nonostante lo sforzo di Stevan e mio di andare uniti. La sentenza del Consiglio di Stato accoglieva appieno le motivazioni della difesa del nostro gruppo, basate su questioni di principio e non di appartenenza politica. Prima dall’udienza, mi avvicinai con la disarmante disinvoltura giovanile al professor Giuseppe Guarino, poi futuro ministro democristiano, che rappresentava l’accusa del Ministero. Mi presentai e ne ebbi subito una breve paternale non priva di comprensione. La sua arringa concisa e per nulla avvocatesca, richiamava il clima difficile e la necessità di comprendere e dialogare per superare i conflitti: in pratica apriva a una sentenza favorevole alla nostra reintegrazione e al ripristino del Consiglio di Facoltà per illegittimità del Comitato Tecnico. Ho ritenuto opportuno ritornare su questo passaggio perché da allora si apre una nuova difficilissima fase per gli equilibri interni alla Facoltà, nella gestione del grande numero di iscritti a seguito della Riforma Codignola del 1969 che aveva liberalizzato l’accesso ai corsi universitari. Qui l’impegno di Stevan non manca, anche per frenare estremismi, mantenendo sempre aperto il dialogo con la variegata geografia di movimenti e gruppuscoli, di turbolenti momenti assembleari, di attacchi a docenti. Un decennio che nel 1982 lo posterà alla presidenza di Architettura. Una elezione che riproponeva la stessa divisione vissuta in Consiglio di Stato. Un confronto da lui condotto a viso aperto da cui era chiara la linea pluralista che avremmo imboccato. Rispettosa di ogni settore disciplinare, senza insegnamenti “ancellari” rispetto alla Composizione Architettonica. Abbiamo quindi vissuto gli anni Ottanta, a valle della legge che istituiva i dipartimenti, i dottorati di ricerca e riordinava la docenza, il suo impegno e per l’attuazione di quei provvedimenti. Importante il suo appoggio per il consolidamento e sviluppo dell’area della Tecnologia dell’Architettura, per un approccio alla progettazione integrata alle competenze economiche e gestionali, anticipatrice delle questioni ambientali. Nel 1981 era diventato professore ordinario di Architettura Sociale, disciplina da lui fondata e strutturata per ribadire la centralità dei servizi nell’assetto del territorio e della città. La Facoltà cresceva, con l’attenzione anche alla formazione permanente, a corsi extracurricolari, a master e rapporti internazionali, a partire dal fondamentale concetto di “libertà di insegnamento”. Stevan, un primus inter pares, per cui molti lo ricordano in molte occasioni culturali e istituzionali. Ma degli anni Ottanta è importante ricordare anche quanto avveniva nell’urbanistica cittadina: una fase controversa non priva di cambiamenti con il nuovo Piano Regolatore, con più di cinque milioni di metri di aree dismesse, i nuovi processi di terziarizzazione, la rete dei trasporti e dei servizi da potenziare. Qui il ruolo di Stevan si fa visibile nella interlocuzione con l’amministrazione comunale, promuovendo momenti di confronto sulle grandi funzioni urbane e per una urbanistica con i Piani d’Area di indirizzo e coordinamento. Una scala imprescindibile senza la quale il coacervo delle singole iniziative è destinato a far danno molto più di quanto non si creda. E la situazione odierna insegna. Allora la sua intuizione per il Politecnico alla Bovisa. Non un nuovo Ateneo, come in altre università, ma un articolato decentramento. Il PIM, fin dagli anni Settanta aveva ipotizzato una nova sede del Politecnico in una Città della Scienza a Gorgonzola sulle Celeri dell’Adda. Stevan, con il rettore Emilio Massa, coglie l’opportunità di un nuovo insediamento in Milano, per far fronte alla grande carenza di spazi. Una decisione allora nel Senato Accademico, limitato al rettore e ai due presidi di ingegneria e architettura. Prende avvio l’insediamento di Bovisa. Massa mi coinvolge, come membro eletto nel Consiglio di Amministrazione, nei primi sopralluoghi per l’affittanza della Ceretti e Tanfani per un primo insediamento del dipartimento di Tecnologia dell’Architettura. Nella Segreteria Tecnica per l’Accordo di Programma dei primi anni Novanta, con Valeria Erba prorettore e Giorgio Diana coordinatore dei direttori dei dipartimenti, operiamo con grande unità di intenti per quella iniziativa. Si apre un nuovo decennio: nuovi ordinamenti, nuovi corsi ed indirizzi didattici. Una fase di profondo cambiamento della struttura e articolazione territoriale delle università in tutta Italia. Qui Stevan mette in campo la sua consolidata esperienza e conoscenza dei complessi meccanismi istituzionali. Il suo, un approccio che mira sempre ai contenuti, per non farsi ingabbiare dalla rete burocratica. La sua è la carica elettiva di tutta la base docente, che gli riconferma la fiducia più volte e lo sostiene con un indirizzo maggioritario, anche quando una parte deciderà di dar luogo a un’altra Facoltà alla Bovisa. La divaricazione culturale dei nostri trascorsi si ripropone, nel merito della quale non mi dilungo, senza però non osservare la sua breve durata. Ritornava la presunzione di un primato di alcune discipline, di un diverso approccio al mercato al lavoro, delle competenze e dei ruoli professionali. Vengo ora al dopo Duemila. La presidenza Stevan si chiude e si apre al compito di prorettore del Polo di Mantova. Una in iniziativa che mi ha visto fin dalla sua incubazione negli ultimi anni Ottanta insieme e al suo fianco, promuovendo un articolato rapporto con istituzioni e numerosi contratti di ricerca con enti territoriali, che aprono a nuovi docenti e giovani ricercatori. Un contesto dove Stevan raccogli riconoscimenti per l’equilibrio e la capacità di strutturare la nuova sede nel quadro di un Politecnico a scala regionale. Richiamo anche il suo ruolo per una presenza dell’Architettura nella Facoltà di Ingegneria di Pavia, come pure la collaborazione con l’Accademia di Mendrisio dove abbiamo operato nel rapporto con Mario Botta e Aurelio Galfetti per il riconoscimento della loro laurea a livello europeo. Io da lui delegato, con il supporto di Aldo Castellano e Sergio Crotti. Nel 2002 Stevan fu a un passo per diventare rettore. Consistenti settori dell’ingegneria apprezzarono il suo programma per una cultura politecnica aperta alle problematiche sociali ed urbanistiche, e per un rinnovato impegno per la collaborazione tra Architettura e Ingegneria. Al ballottaggio Osvaldo De Donato, preside di ingegneria, espresse il suo appoggio, ma interferenze e defezioni portarono ad un diverso esito. Voglio chiudere questa breve disanima sulla figura di Cesare Stevan con un recente ricordo. Il primo maggio mi ha invito un suo scritto su Paolo Portoghesi per una pubblicazione a un anno della scomparsa. Più che un saggio una testimonianza della umanità e del tratto di Portoghesi, col titolo “Il disegno di una continuità”. Così scrive Stevan: “Tra gli aspetti che più ho apprezzato nel rapporto con Paolo è la maturità con cui sapeva veicolare un ‘messaggio-insegnamento’ rivolto in particolare ai giovani docenti: la necessità cioè di cambiare prioritariamente se stessi se si vuole operare un cambiamento seppur piccolo del mondo”. Questa riflessione mi è parsa la chiave che ha ispirato l’operato di Stevan nella sua lunga dedizione all’insegnamento e agli impegni istituzionali della Facoltà di Architettura e nel Politecnico. Fabrizio Schiaffonati . «ll 1984 è stata la tappa finale: passò quindi l’idea di avere un indirizzo di Laurea, per promuovere un Corso di Laurea in Disegno industriale. La realizzazione vide passare ancora dieci anni, dall’84 al ‘93, per riuscire ad arrivare, alla fine da me auspicata, di una Facoltà del Design. La cosa era da me auspicata non solo astrattamente, per ragioni culturali, perché vedevo in questa apertura sul design una cultura nuova, aperta, che affrontasse le nuove realtà di progetto, ma ci tenevo anche perché è stata, dalla fondazione del Politecnico, l’unica vera innovazione dell’Ateneo: passare da due a tre Facoltà.» Ricordo ad un convegno sulla Sanità qualche anno fa in Piazza Leonardo a Milano relativamente alla "Progettazione di Ospedali" , affermò di essere ancora vivo grazie alla sua meticolosa ricersa in campo Scientifico ! Il 10 febbraio 2024 il Ministero dell'istruzione ha confermato l'insegnamento della Matematica e Fisica nei Licei Scientifici. L'Uomo ha sempre bisogno di asseverare se stesso ! In primis vince la competizione con gli ingegneri, e successivamente crea un bacino di designer, in Bovisa Milano . Complimenti !!!! il gioco è fatto, in una città come Milano ove i laureati superano i non laureati per numero. Addio Preside ! Danilo Solari

Friday, April 4, 2025

PEI chi ne ha diritto

PDP per BES e DSA

Abolizione o meglio.... riformando l'Esame di Stato

Abolizione esame di Stato, meglio riformando Ingegneri - Architetti

Il disegno di legge sulle lauree abilitanti Nel suddetto articolo 4 del ddl in discussione alla Camera viene previsto che tutti i titoli universitari per i quali non è richiesto lo svolgimento di un tirocinio post lauream, possono essere resi abilitanti, su richiesta del CNAPPC con uno o più regolamenti su proposta del MIUR di concerto con il Ministro della Giustizia, oppure su iniziativa del MIUR di concerto con il Ministro della Giustizia, sentito il Consiglio Nazionale. Il testo, così come modificato in Commissione, consentirà una trasformazione delle attuali norme per svolgere la professione, prevedendo la semplificazione delle procedure per l’esercizio della professione. In tal modo, l’esame di laurea diventerà coincidente con l’esame di stato, e quindi semplificherà e velocizzerà l’accesso al mondo del lavoro da parte dei laureati, con un effettivo miglioramento qualitativo del titolo di studio universitario, grazie in particolare all’introduzione del Tirocinio obbligatorio. Si tratta del primo provvedimento del PNRR: si attende quindi l’ok definitivo entro l’autunno, con l’entrata in vigore della legge a partire dall’anno accademico successivo a quello dell’approvazione dei decreti rettorali, quindi potrebbe essere fissata già per settembre 2022. Per il Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, l’approvazione di questa legge rappresenterà non solo l’occasione per intervenire sul funzionamento del sistema universitario e sull’avvio all’esercizio della professione, ma anche un progetto di investimento sulla formazione e la professione degli Architetti. Le Commissioni Giustizia e Cultura della Camera dei Deputati hanno approvato il Testo del disegno di legge in materia di titoli universitari abilitanti. Al riguardo il CNAPPC (Consiglio Nazionale Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori) evidenzia con una nota che è stato riscritto interamente l’art. 4, che permetterà una discussione con il MIUR al fine di riorganizzare l’abilitazione professionale con l’obiettivo di creare professionisti pronti a entrare in tempi rapidi nel mercato del lavoro. Ricordiamo infatti che il testo, così come aveva fatto ingresso nelle Commissioni, prevedeva la possibilità di rendere abilitanti i soli titoli di accesso alle professioni di pianificatore, paesaggista e conservatore. Con la riscrittura dell’art. 4, tale possibilità è stata estesa anche al titolo di architetto.

Edipo RE

Cartan

Tuesday, March 25, 2025

Libera Professione e Ruolo di Dipendente

Per la firma di progetti di edilizia civile e per lo svolgimento di tutte le attività riservate per legge agli architetti è necessaria l’iscrizione all’Albo. Anche gli architetti dipendenti possono iscriversi all’Albo, qualora ne abbiano i requisiti, ovvero: laurea con indirizzo compatibile alle discipline dell’Ordine; superamento dell’Esame di Stato; pieno godimento dei diritti civili; non essere iscritto ad altro ordine professionale. Gli architetti dipendenti, iscritti all’Albo, privi di partita IVA, possono svolgere la propria attività esclusivamente nell’ambito del contratto di lavoro subordinato sottoscritto con il proprio datore di lavoro e nel rispetto delle previsioni del Contratto Collettivo di riferimento, anche per quanto riguarda gli aspetti retributivi. Ai sensi dell’art. 5 D.P.R. 137/2012 inoltre il professionista è tenuto a stipulare una idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall'esercizio dell’attività professionale. Il presupposto per il citato obbligo assicurativo è dunque rappresentato dall’esercizio di qualsiasi attività professionale, anche occasionale, svolta in forma autonoma (a prescindere dal tipo di prestazioni svolte) nei confronti di committenti pubblici o privati. L’architetto che svolge la propria attività esclusivamente alle dipendenze di un soggetto datore di lavoro non risulta quindi obbligato per legge a stipulare un’assicurazione per responsabilità civile professionale, dal momento che non assume la titolarità di alcun incarico professionale, che fa invece capo al datore di lavoro, il quale si doterà a proprie spese di una copertura assicurativa includendo anche i possibili danni derivanti dall’esercizio dell’attività del dipendente architetto. Appare opportuno, pertanto, che l’architetto controlli con il datore di lavoro la presenza di una adeguata estensione della copertura assicurativa. L’architetto dipendente rimane comunque personalmente responsabile (anche verso l’Ente Pubblico presso cui è depositata la pratica) nel caso sottoscriva false o erronee attestazioni/progetti o nel caso commetta altri illeciti penali, disciplinari e amministrativi. L’architetto dipendente, che abbia firmato il progetto o svolto altra attività con rilevanza esterna (es. direzione lavori), in caso di errori e di danni resta poi comunque responsabile verso il datore di lavoro ed eventualmente, in via extracontrattuale, anche nei confronti del cliente con cui il datore di lavoro abbia stipulato il contratto. Si aggiunga poi che, in linea generale, non è precluso all’architetto, dipendente privato e pubblico, svolgere anche attività autonoma di libera professione, sempre che il contratto di lavoro subordinato non lo vieti e sussistano comunque le eventuali autorizzazioni del datore di lavoro. In tale ipotesi l’architetto deve quindi dotarsi di partita IVA e di una propria adeguata assicurazione professionale, oltre che iscriversi alla gestione separata INPS e versare il contributo integrativo Inarcassa per i compensi derivanti da libera professione. La posizione lavorativa di libero professionista o dipendente non è una discriminante rispetto all’iscrizione all’Albo, quindi è facoltà dell’architetto decidere se rimanere iscritto o meno. Si sottolinea, tuttavia, che laddove si intenda esercitare la professione di architetto, p. p. o c., l’iscrizione all’Albo è per legge sempre obbligatoria. La chiusura della Piva, non comporta in modo diretto alcuna modifica alla propria posizione ordinistica e quindi non comporta alcuna automatica cancellazione dall’Albo, con la sola chiusura della P.IVA permangono quindi tutti gli obblighi di legge derivanti da tale iscrizione fra cui la necessità di assolvere all’obbligo formativo. Si ricorda infine che, come prescritto dal Codice Deontologico, è sempre necessario segnalare qualsiasi variazione dei propri dati all' Ordine di appartenenza.